“Se c’è un imputato, ci deve essere un’imputazione”

Il testo integrale della requisitoria del procuratore Iacovello sul caso Dell'Utri, che contesta il reato di concorso esterno in associazione mafiosa

La settimana scorsa la Corte di Cassazione ha deciso di annullare la condanna di secondo grado a Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, stabilendo che il processo dovrà essere rifatto. La Corte ha quindi accolto le ragioni del procuratore generale presso la Cassazione Francesco Iacoviello, che aveva parlato di “gravi lacune” giuridiche della sentenza d’appello per mancanza di motivazione e mancanza di specificazione della condotta contestata a Dell’Utri. “Nessun imputato deve avere più diritti degli altri ma nessun imputato deve avere meno diritti degli altri: e nel caso di Dell’Utri non è stato rispettato nemmeno il principio del ragionevole dubbio”. La decisione ha fatto molto discutere del senso e dell’attualità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Oggi il Foglio ha pubblicato il testo integrale della requisitoria di Iacovello, utile lettura per farsene un’idea.

Schema di requisitoria integrato con le note d’udienza
del Sostituto Procuratore Generale Cons. Francesco Iacoviello
(Cass. pen., sez. V, ud. 9 marzo 2012, imp. Dell’Utri)

1. Premessa.
Non si tocca il fatto, se non nella misura in cui si tocca il diritto.
In altri termini, non si intende contestare ciò che dicono i pentiti.
Non si valutano le prove e non si prospettano ricostruzioni alternative.
Anzi, si prende -faticosamente- per vero tutto ciò che hanno detto.
I fatti sono quelli. Ma quali ?
Gli anglosassoni parlano di teoria del caso per indicare la sintesi logica del fatto incriminato.
Un public prosecutor statunitense riassumerebbe così il caso: “te la sei fatta con i mafiosi e hai procurato per tanti anni un sacco di soldi alla mafia. Se non è concorso esterno questo… Dove è il problema?”.
Il problema c’è.

2. L’imputazione che non c’è.
C’è un capo di imputazione che riempie quasi una pagina.
Ebbene, dopo averlo letto, possiamo metterlo da parte.
Lì dentro non c’è il fatto per cui l’imputato è stato condannato.
Quell’imputazione è un fiore artificiale in un vaso senza acqua.
Ma non ci doveva essere una pronuncia di assoluzione per quelle imputazioni
dal momento che era emerso (in base all’attività integrativa) un fatto nuovo ?
In questo processo la cosa più difficile è trovare l’imputazione.
Bisogna andarsela a cercare nelle pagine del processo.
Estrarla da una mezza frase, da un verbo, da un sostantivo.
E’ un processo ad imputazione diffusa.
Le cripto-imputazioni, le imputazioni implicite, le imputazioni vaghe sono state poste al bando dal giusto processo.
Se c’è un imputato, ci deve essere un’imputazione.
Qui abbiamo un imputato, un reato. Ma non un’imputazione.
O meglio, un’imputazione liquida. Per una condanna solida.

2.1. Un cambio di prospettiva: dalla violazione dei diritti di difesa al vizio di motivazione.
Probabilmente la giurisprudenza CEDU è ancora un futuribile giuridico, a fronte di una granitica giurisprudenza nazionale che ammette una contestazione mediante prove e non mediante testo linguistico.
Ma qui si intende proporre una diversa prospettiva: l’esiziale effetto che la mancanza di una formale imputazione ha sulla motivazione della sentenza.
In altri termini, la mancanza di imputazione va vista non sotto il profilo della violazione del diritto di difesa, bensì sotto quello del vizio di motivazione.
Perchè senza le parole precise dell’imputazione l’accusa diventa fluida, sfuggente.
Si altera l’ordine logico del processo, riflesso nella struttura della sentenza: imputazione-motivazione-decisione.
Qui dalla motivazione si ricava l’imputazione.
Ma come si può ritenere valida una motivazione se manca il parametro di riferimento dell’imputazione ?
Si sovrappongono i piani della descrizione del fatto e della argomentazione sulle prove del fatto.
Si motiva dando per scontato un fatto e si trae il fatto da spezzoni di frasi, da un verbo, da un sostantivo.
La motivazione diventa assertoria, non indica -non dico le prove- ma neppure i fatti, sovrappone i piani della condotta, dell’evento e del dolo, copre i vuoti logici con slittamenti semantici.
E’ quello che è avvenuto.

3. Alla ricerca della imputazione. Il paradosso di un concorrente esterno che dà il suo contributo in una vicenda estorsiva, ma non concorre nell’estorsione.
Qui abbiamo pacificamente un’estorsione continuata.
Il contributo dell’imputato (concorrente esterno) è un contributo al realizzarsi dell’evento estorsivo perché si inserisce nei momenti cruciali della trattativa tra vittima ed estorsori.
Il risultato è che l’imputato risponde di concorso esterno ma non di estorsione !
Si potrà dire: è un affare del Pm il fatto di non aver contestato l’estorsione.
Ma non è evidentemente questo il punto.
Il problema non è di diritto processuale, ma di diritto sostanziale.
Si tratta di definire la condotta del concorrente esterno.
Il quesito giuridico è il seguente: “se il contributo del concorrente esterno consiste (come in questo caso) nel portare a buon fine una estorsione, la sua condotta deve avere i caratteri del concorso all’estorsione o deve avere un quid pluris o un quid minus ?”.
L’imputato partecipa ad un’estorsione, ma la sentenza non si pone il problema se la condotta dell’imputato deve avere i caratteri tipici di colui che concorre nell’estorsione.
Ma se in sentenza non si parla di estorsione, dovremmo giungere a questo: la condotta dell’imputato si inserisce in una estorsione ma è un quid minus rispetto al concorso in estorsione.
Questo quid minus non è tale da integrare l’estorsione, ma è tale da integrare il concorso esterno…
Ora.
Come si sa, il semplice fatto di concorrere in un reato-fine non è di per sé sufficiente ad integrare il concorso esterno.
Perfino partecipare ad un omicidio (a meno che non sia di quelli c.d. strategici) non basta per il concorso esterno.
La sentenza avrebbe dovuto seguire il seguente protocollo logico: a) l’imputato ha concorso nell’estorsione; b) trattandosi di un’estorsione strategica continuata per molti anni, possiamo argomentare che il concorso nel reato-fine è condotta di concorso esterno.
La sentenza ignora clamorosamente il problema.
Questo dimostra quanto andavamo dicendo a proposito di mancanza di una formulazione dettagliata dell’imputazione.

(continua a leggere sul sito del Foglio)

Il reato che non c’è, di Filippo Facci