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  • Mercoledì 14 marzo 2012

Perché lascio Goldman Sachs

Un dirigente ha annunciato le sue dimissioni dalla banca d'investimento con una pesantissima lettera pubblicata sul New York Times

Oggi un dirigente di Goldman Sachs, una delle maggiori banche di investimento e società di servizi finanziari del mondo, ha annunciato che lascerà la società dopo 12 anni di lavoro con una lettera pubblicata nella pagina delle opinioni del New York Times in cui si scaglia apertamente contro il presidente della banca, Gary Cohn, e il suo amministratore delegato, Lloyd Blankfein.

Goldman Sachs ha la sua sede centrale a Manhattan, New York, e oltre trentamila dipendenti in tutto il mondo. L’autore della lettera, Greg Smith, è stato dirigente aziendale del settore dei derivati azionari in Europa, Africa e Medio Oriente. Smith ha scritto che negli ultimi anni la società è cambiata molto e che oggi mette da parte costantemente gli “interessi del cliente” a vantaggio del “far soldi”, che sembra essere diventata l’unica preoccupazione dei massimi responsabili della società.

Oggi è il mio ultimo giorno a Goldman Sachs. Dopo quasi 12 anni nella società – prima con un incarico estivo mentre ero a Stanford, poi a New York per 10 anni e ora a Londra – credo di aver lavorato qui abbastanza per capire la traiettoria della sua cultura, delle sue persone e della sua identità. E posso dire onestamente che l’ambiente ora è tossico e distruttivo in un modo che non ho mai visto in passato.

In passato, scrive Smith, la cultura aziendale basata su “lavoro di squadra, integrità, spirito di umiltà” è stata molto importante per il successo di Goldman Sachs, ma oggi di questa cultura non è più rimasta traccia.

Le scelte societarie della Goldman Sachs sono state molto criticate dopo l’inizio della crisi economica negli Stati Uniti nel 2008 ed è spesso usata, nei recenti movimenti di protesta come Occupy, come esempio delle grandi società del settore finanziario in grado di guadagnare dalla crisi economica globale che loro stesse avrebbero contribuito a creare. Nel 2010, dopo l’inizio dei debiti pubblici nell’area dell’euro, Goldman Sachs è stata accusata di aver aiutato il governo greco a truccare i bilanci del paese a partire dalla fine degli anni Novanta per entrare a far parte della moneta unica.

Quando i libri di storia scriveranno di Goldman Sachs, scrive Smith, “diranno che l’attuale amministratore delegato, Lloyd C. Blankfein, e il presidente, Gary D. Cohn, hanno visto sotto i loro occhi la cultura dell’azienda andare persa. E sono convinto con tutto me stesso che il declino della fibra morale dell’azienda rappresenta la più grave minaccia alla sua sopravvivenza”.

Smith si dice irritato da come “fare soldi” sia diventata la sola preoccupazione dell’azienda, tanto che “se un marziano arrivasse sulla Terra e assistesse a certe riunioni si chiederebbe se la soddisfazione del cliente faccia o no parte dell’intero processo”, e denuncia il modo irrispettoso con cui molti dirigenti parlano dei clienti in loro assenza. “Ho visto almeno cinque dirigenti definire i loro clienti muppets, pupazzi, nelle email interne”. Smith dice di non sapere di “nessun comportamento illegale” ma dice che la strada ormai è segnata: non si vogliono più fare i soldi insieme al cliente, ma si vogliono fare i soldi a qualsiasi costo, anche a spese del cliente.

Smith chiarisce che non si tratta necessariamente di comportamenti illegali, di cui lui non è a conoscenza, ma di un tradimento del rapporto di fiducia che Goldman Sachs era solita stabilire con i propri clienti. Smith conclude la sua lettera esprimendo la speranza che questa suoni come un “campanello di allarme” per la direzione.

Il presidente di Goldman Sachs, Gary Cohn
foto: AP Photo/Mark Lennihan