«A l’Aquila è tutto fermo»

Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo spiegano come vanno le cose nella città a tre anni di distanza dal terremoto che l'ha colpita

Sul Corriere della Sera di oggi, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella spiegano la situazione all’Aquila a quasi tre anni di distanza dal terremoto. Il bilancio per quanto riguarda il centro città è sconfortante, con interi quartieri ancora da risistemare e le macerie che rimangono per strada. È tutto fermo, spiegano, anche a causa del “groviglio di norme, leggi e regolamenti” che complicano le operazioni di recupero.

«Soldi spesi finora? Chi lo sa…». Basta la risposta di Fabrizio Barca, il ministro delegato al problema, a dare il quadro, agghiacciante, di come è messa l’Aquila quasi tre anni dopo il terremoto del 2009. Nel rimpallo di responsabilità ed emergenze, dopo gli squilli di tromba iniziali, s’è perso il conto. Un numero solo è fisso: lo zero. Quartieri storici restaurati: zero. Palazzetti antichi restaurati: zero. Chiese restaurate: zero. Peggio: prima che fossero rimosse le macerie (zero!), è stata rimossa l’Aquila. Dalla coscienza stessa dell’Italia.

È ancora tutto lì, fermo. Le gonne appese alle grucce degli armadi spalancati nelle case sventrate, i libri caduti da scaffali in bilico sul vuoto, le canottiere che, stese ad asciugare su fili rimasti miracolosamente tesi, sventolano su montagne di detriti e incartamenti burocratici. Decine e decine di ordinanze, delibere, disposizioni, puntualizzazioni, rettifiche e precisazioni che ammucchiate l’una sull’altra hanno fatto un groviglio più insensato e abnorme di certe spropositate impalcature di tubi innocenti e snodi e raccordi che a volte, più che un’opera di messa in sicurezza, sembrano l’opera cervellotica di un artista d’avanguardia.

Ti avventuri per le strade immaginandoti un frastuono di martelli pneumatici e ruspe e betoniere e bracci di gru che sollevano cataste e carriole che schizzano febbrili su e giù per le tavole inclinate. Zero. O quasi zero. Tutto bloccato. Paralizzato. Morto. Come un anno fa, come due anni fa, come tre anni fa. Come quando la protesta del popolo delle carriole venne asfissiata tra commi, virgole e codicilli.

«Noi sottoscritti ufficiali di Pg… riferiamo di aver proceduto, alle ore 10.20 circa odierne, in corso Federico II, di fronte al cinema Massimo, al sequestro di quanto in oggetto indicato perché utilizzato dal nominato in oggetto per una manifestazione non preavvisata…». Trattavasi di «una carriola in pessimo stato di conservazione con contenitore in ferro di colore blu con legatura in ferro sotto il contenitore e cerchio ruota di colore viola» oltre a «una pala con manico in legno».

Sinceramente: se lo Stato italiano avesse affrontato il problema della ricostruzione con lo stesso zelo impiegato nel reprimere l’esasperazione sacrosanta degli aquilani, saremmo a questo punto, trentacinque mesi dopo? Quaranta persone che quel giorno entrarono nella zona rossa per portare via provocatoriamente le macerie sono ancora indagate. Quanti soldi sono stati spesi per questo procedimento giudiziario surreale, oltre al tempo gettato inutilmente per compilare verbali e riempire i magazzini di grotteschi corpi di reato? Boh!

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