Da dove viene il nome dell’America

Cinquecento anni fa morì Amerigo Vespucci, battezzatore ufficiale (a sua insaputa) del nuovo continente: almeno stando alla versione prevalente, ma non unica

1719, A map of The Americas and the Pacific Ocean from Chatelain's Atlas. (Photo by Three Lions/Getty Images)
1719, A map of The Americas and the Pacific Ocean from Chatelain's Atlas. (Photo by Three Lions/Getty Images)

Il 22 febbraio del 1512 morì Amerigo Vespucci, navigatore, cartografo e mercante che gli studi accreditano come colui che diede il nome all’America, anche se non per sua scelta: lo raccontò qualche anno fa un articolo su Repubblica di Vittorio Zucconi che diede soprattutto spazio alle diverse teorie sull’origine del nome stesso.

Esattamente cinquecento anni fa il geografo Martin Waldseemuller disegnava e battezzava la ‘terra incognita’ scoperta a occidente. Salvo poi pentirsene e avviare una querelle che dura ancora oggi Amerrik era una catena di monti dell’ odierno Nicaragua, gli indiani Algonquin chiamavano la loro terra Em-merika, e c’ è un Ommerika nella lingua vikinga per definire lontane lande a Nordovest washington America. Il nome scivola sulla lingua come lo scafo di una caravella sulle acque del Caribe, canta con una gentilezza musicale che soltanto l’ italiano sa generare. Lo fa da cinque secoli esatti, dal giorno 25 aprile 1507 quando un cartografo tedesco, Martin Waldseemuller, letteralmente Martino “Il mugnaio del lago nel bosco”, immaginò quel nome e lo stampò per la prima volta su una striscia di terra intravista da Colombo e poi da Vespucci, agli estremi confini occidentali del mondo. E se non sono stati sufficienti cinque secoli per placare le discussioni sulle origini del nome, sull’ autenticità delle lettere di Amerigho, o Amerrigo, o Alberigo Vespucci a Piero de’ Medici, per sedare le rivendicazioni di studiosi anticolonialisti, nazionalisti, terzomondisti, revisionisti o soltanto invidiosi fradici, quella “mappa mundi” oggi conservata alla Libreria del Congresso di Washington è ormai definitivamente, irreversibilmente, il certificato di battesimo. Non v’è certezza assoluta, tra ipotesi, tracce, reperti, su chi per primo toccò quelle terre navigando da Est.

Ma se non sappiamo chi scoprì l’ America, sappiamo chi la inventò: Martino il Mugnaio del Lago nel Bosco. La storia di come quella enorme massa continentale – che copre il trenta per cento di tutte le terre emerse, eppure era rimasta sostanzialmente ignota per quasi diecimila anni a tutti coloro che non ci fossero arrivati a piedi dagli altipiani asiatici, come gli Inuit, gli Iroquesi, gli Anasazi, i Maya, i Toltechi, gli Aztechi – sia stata battezzata con il nome di un fiorentino mandato in Spagna per l’ allestimento di navi, è un romanzo che sa di complotti e di segreti e forse di inganni. Una storia “nel nome dell’ America” che profuma di conventi, di abbazie, di documenti falsi, di salsedine, di vento, di ambizioni umane, di muffa, e dell’ inchiostro spalmato sui blocchi di legno inciso che il “Mugnaio” usò per tirare mille copie della mappa che cambiò per sempre l’ anagrafe della Terra. Ma odora soprattutto di quell’ elemento impalpabile, immateriale e invisibile che indirizza tanto spesso il viaggio della conoscenza e quindi della storia. Il Caso.

Oggi – quando per decidere la toponomastica di un vicoletto insignificante in una qualsiasi cittadina si devono attendere anni, riunire commissioni e consigli comunali, ottenere nullaosta, sentire esperti, mercanteggiare tra fazioni e partiti – ci sembra incredibile che un’ enormità storica come battezzare un continente che occupa un terzo delle terre e occuperà poi l’ intera storia del mondo possa esser dipeso dall’ umore, dal ghiribizzo, dalla decisione casuale di un solo individuo, chiuso nell’ abbazia di San Deodato, oggi Saint-Dié-des Vosges, in Lorena. Ma fu esattamente così.

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