• Mondo
  • Sabato 18 febbraio 2012

Come vanno le cose in Siria

Gli scontri continuano anche a Damasco dove oggi era in visita il viceministro degli esteri cinese, intanto il Washington Post dice che è ora di armare i ribelli

Anonymous/AP/dapd
Anonymous/AP/dapd

Oggi in Siria è arrivato il viceministro degli esteri cinese Zhai Jun. Dopo un incontro con il presidente siriano Bashar Al Assad, Zhai ha chiesto al governo e ai ribelli di “porre fine a ogni violenza” e accelerare le riforme sull’esempio “di quanto intrapreso sino a questo momento”. Zhai ha confermato che la Cina (come la Russia) si opporrà a ogni cambio di regime imposto dall’esterno e ha approvato il referendum costituzionale annunciato da Assad per il prossimo 26 febbraio, che poi sarà seguito, nel giro di pochi mesi, “da elezioni multipartitiche”.

Teoricamente, infatti, nella nuova bozza è stato modificato, tra le altre cose, l’articolo della Costituzione che prevede il Baath come unico partito del Paese. La nuova Costituzione, dunque, dovrebbe aprire a nuovi partiti, purché siano pluralisti per quanto riguarda la religione, l’etnia e la provenienza dei loro affiliati. Riguardo alle elezioni presidenziali, invece, potrà candidarsi un esponente di ogni nuovo partito purché abbia il sostegno di 35 deputati del parlamento siriano. L’opposizione siriana e molti paesi occidentali considerano queste aperture di Assad solo di facciata.

Gli attivisti, tra l’altro, hanno detto che non accetteranno l’offerta di Assad fino a quando il regime non fermerà le persecuzioni nei confronti degli oppositori. Anche oggi è proseguito l’assedio dell’esercito a Homs, centro principale dei ribelli dove oggi è anche nevicato. Colpi di mortaio e irruzioni dei soldati nei quartieri sunniti, soprattutto in quello di Baba Amro, sono dal 4 febbraio scorso molto frequenti. Alcune zone della città sono completamente isolate, senza luce né acqua, manca il carburante e dunque è difficile verificare il numero di morti e feriti degli ultimi assalti.

Continua l’attacco delle forze governative anche ad Hama, un’altra città dei ribelli, mentre stamattina c’è stata tensione anche nella capitale Damasco, fino a ora ben controllata dalle forze governative. Secondo gli attivisti, durante il funerale di alcune vittime del regime che si è tramutato in protesta contro Assad a pochi chilometri dalla sua residenza ufficiale, le forze di sicurezza hanno sparato su una folla di 30mila persone, causando due morti e diversi feriti. Ieri sarebbero state uccise almeno altre 26 persone in tutto il paese, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani.

Ieri, il Regno Unito e la Francia hanno consigliato le opposizioni siriane, attualmente molto divise soprattutto per motivi religiosi e interetnici, di unirsi e trovare una linea comune. L’appello non è venuto per caso, perché il prossimo 24 febbraio si riuniranno a Tunisi, in Tunisia, “Gli amici della Siria”, ossia le delegazioni di Stati Uniti, paesi dell’Unione Europea e buona parte dei membri della Lega Araba per fare il punto della situazione e porre le basi per il futuro riconoscimento di un Consiglio nazionale di transizione dell’opposizione, come già visto in Libia.

Questo scenario però sarà possibile solo con l’opposizione unita, cosa che per il momento appare irrealistica. Per ora il Regno Unito ha annunciato l’invio di 2 milioni di sterline di aiuti, mentre gli Stati Uniti continuano a escludere un intervento militare. Con un editoriale, oggi il Washington Post chiede a Stati Uniti e Europa di fornire sostegno morale e materiale ai ribelli, facendo entrare in Siria armi e risorse per difendersi attraverso i confini con la Turchia e i paesi del Golfo Persico. Secondo il Washington Post, la repressione di Assad non può essere fermata in altro modo e chi dice che così si potrebbero armare gli estremisti dimentica che a rafforzare gli estremisti è invece l’impotenza della comunità internazionale.

foto: Anonymous/AP/dapd