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  • Venerdì 10 febbraio 2012

Roberto Bolle e Twitter

La ricostruzione di una bega eccessiva ma che racconta della delicatezza dell'uso della parole in rete

Una piccola tempesta in un bicchier d’acqua di quelle tipiche del rapporto italiano tra media tradizionali, internet e stati di indignazione permanente, si è sviluppata nei giorni scorsi grazie a due elementi molto fertili in queste occasioni: Twitter e una celebrity, nel caso Roberto Bolle, grande ballerino piemontese celebre in tutto il mondo. Al di là delle contestazioni volatili, è interessante per capire quanto sia ancora superficiale il dibattito intorno all’uso dei social network, ma anche per arricchirlo di esempi concreti utili a maggiori chiarezze e formazioni di cultura.

Bolle è di Casale Monferrato, ha 36 anni, è stato nominato dal 2002 “étoile” del Teatro alla Scala, nel 2009 “principal” dell’American Ballet Theatre, ed è probabilmente il più famoso ballerino del mondo. Lo scorso 6 febbraio ha scritto sul suo account di Twitter, da Napoli dove si trovava, questa considerazione: «I senzatetto che s’accampano e dormono sotto i portici del Teatro San Carlo, gioiello di Napoli, sono un emblema del degrado di questa città»

Alcuni degli utenti che lo leggono la prendono come un insulto a Napoli, altri come un insulto ai senzatetto, e molte reazioni sono critiche, aggressive o anche violente e volgari. Così Bolle decide di rimuovere il messaggio, e a chi gli chiede spiegazioni dice di essere stato equivocato e che la sua intenzione – abbastanza credibile e condivisibile – era segnalare che se ci sono dei senzatetto che dormono sotto i portici, c’è un problema: sostenendo che esista un più generale “degrado” di Napoli, opinione che tutto sommato ha una sua plausibilità. «Di certo mi sono espresso male io», aggiunge anche.

«Il mio attacco non era rivolto ai senzatetto, le persone più bisognose d’aiuto. Non è nella mia sensibilità. Credo di averlo sempre dimostrato».

La discussione resta animata in rete per un po’, ma si estende ulteriormente il mattino dopo, quando alcuni dei quotidiani maggiori mettono la storia in prima pagina e le dedicano commenti e analisi. Massimo Sideri sul Corriere della Sera critica Bolle e scrive:

il punto è se ha senso o meno usare Twitter in questa maniera, per commentare a caldo lo scibile umano o per raccontare cose riservate… c’era bisogno di Twitter per riempirlo con commenti su tutto ciò che ci capita? @RobertoBolle parlaci di arte e danza. Ti seguiremo (più) volentieri.

Bolle risponde ancora su Twitter – «Bolle anti-clochard. oggi titoli di giornali assurdi. ribaltano la realtà. Fortuna che chi mi conosce ( anche poco) lo sa bene» – e scrivendo una lettera al Mattino.

domenica mattina intorno alle 9 sono davanti al Teatro San Carlo, dove vado ad allenarmi spesso, e vedo un uomo seduto tra le coperte accanto al suo cane e altri due che ancora dormivano. Mi sono fermato a parlare con il primo, Mario.
Mi ha raccontato un po’ della sua vita e come era finito per strada. Il desiderio di un lavoro per rifarsi una vita. Mi dice che ha passato lì la notte. Ma la notte precedente faceva un freddo assoluto. Come è possibile? Mi arrabbio e twitto. Probabilmente uso parole sbagliate.
Non vivo proprio fuori dal mondo. Ho sempre dimostrato di sapermi spendere per gli altri e non solo perché ho l’onore di essere Ambasciatore dell’Unicef da 12 anni. Ma proprio per le mie radici. Per la mia educazione.
Uso la parola “degrado”, che successivamente vedrò pubblicata prendendo mille significati. Ma quello che volevo denunciare era proprio il “degrado dell’Uomo”. Il “degrado del nostro Paese”. Il “degrado culturale” che porta oggi, nel 2012, molti uomini a morire di freddo nelle nostre strade.

Sul merito, alla fine, le cose sembrano chiare: Bolle ha scritto quel che ha visto e niente di offensivo (addirittura con proficue conseguenze, forse) benché lui stesso arrivi ad ammettere diplomaticamente di aver forse usato “parole sbagliate”. Ma il tema dell’uso di Twitter e delle sue conseguenze in un paese in cui uno stato di indignazione permanente rende tutti troppo sensibili e troppo aggressivi resta: come quello della pretesa che a molti sia permesso usare la rete per esibire o condividere ogni proprio pensiero, e ad altri sia richiesto di trattenersi. Richiesta eccessiva e però forse saggia, insieme.