L’Europa secondo George Soros

L'uomo d'affari e filantropo americano si associa ai critici della Germania, e spiega perché dalla crisi si esce con gli eurobond e più poteri alla BCE

George Soros (BRENDAN SMIALOWSKI/AFP/Getty Images)
George Soros (BRENDAN SMIALOWSKI/AFP/Getty Images)

Sulla New York Review of Books, George Soros ha scritto un lungo articolo sulla crisi dell’euro. Soros ha 81 anni, è un americano di origini ungheresi ed è uno degli uomini più ricchi del mondo: ha alle spalle una lunga carriera di finanziere e uomo d’affari, diventata negli ultimi vent’anni anche una prolifica carriera filantropica. Si stima che dal 1979 al 2011 Soros abbia devoluto in attività benefiche, politiche e culturali oltre 8 miliardi di dollari, a sostegno di cause come i diritti umani, l’assistenza sanitaria universale, la democrazia, la libera informazione e l’istruzione (Open Society è uno dei progetti più interessanti finanziati di recente). Per via del suo attivismo Soros è spesso stato accusato dall’opinione pubblica conservatrice, soprattutto americana, di perseguire con le sue finanze un’agenda politica di sinistra.

Nel suo articolo sulla New York Review of Books, Soros ripercorre più o meno minuziosamente gli errori e le negligenze dei politici che hanno portato alla situazione in cui si trova oggi l’Europa, un tempo un fantastic object, oggi un sistema che se non impara dai suoi errori potrebbe facilmente crollare.

Per limitare gli effetti della crisi, scrive Soros, le autorità europee hanno scelto il metodo del Long-Term Refinancing Operation (LTRO), ossia un sistema di rifinanziamento degli Stati indebitati a lungo termine organizzato generalmente così: la Banca Centrale offre liquidità praticamente illimitata alle banche per tre anni circa; le banche comprano i titoli di Stato emessi dai singoli paesi dell’eurozona; i governi si finanziano dalla vendita dei titoli di Stato. L’altro metodo, che Soros attribuisce a Tommaso Padoa-Schioppa (l’ex ministro dell’Economia in Italia ed ex membro del Comitato esecutivo della BCE), vedrebbe invece la Banca Centrale Europea (BCE) farsi garante diretta e pressoché illimitata dei prestiti direttamente agli Stati. La differenza tra i due modelli è che nel primo caso i tassi di interesse nel breve termine non scendono, costringendo i paesi a rischio a pagare interessi relativamente alti e restare in una posizione di rischio, mentre aumenta la pressione sulle banche che detengono più titoli di paesi esposti al rischio di fallimento. Nel secondo caso, invece, la sola presenza rassicurante della BCE minimizzerebbe il rischio e farebbe scendere più o meno rapidamente i tassi di interesse.

Questo però non si è potuto fare, spiega Soros, per due ragioni molto semplici: l’articolo 123 del Trattato di Lisbona che vieta alla BCE di prestare direttamente denaro ai singoli Stati e l’intransigenza della Germania nel far rispettare a tutti i costi questa regola. La Germania, come è noto, pensa che un simile intervento della BCE sia diseducativo e dispendioso, premi l’irresponsabilità invece che i comportamenti virtuosi, impedendo la risoluzione definitiva dei problemi dei paesi che vivono al di sopra delle loro possibilità. Così facendo però, osserva Soros, la Germania mette a repentaglio tutta l’Unione Europea, compresa se stessa.

Il comportamento della Germania è stato deleterio per diversi motivi, secondo Soros. Innanzitutto ha spinto la Grecia ancora di più verso il fallimento con sanzioni che hanno solo peggiorato la situazione. Non aver bloccato subito il crollo della Grecia ha fatto sì che il pericolo di un suo default alzasse i tassi di interesse dei bond di Spagna e Italia, lasciando campo libero, dunque, al cosiddetto “contagio”. Inoltre, la decisione di coinvolgere i privati nel risanamento del debito ha messo in serio pericolo le banche. Infine, il rigido attaccamento alle regole e all’oramai stantio status quo del continente sta creando sempre più divisioni tra i singoli membri dell’Unione Europea e portando consensi ai gruppi ultranazionalisti, come sta succedendo in Ungheria.

Tuttavia, oltre agli errori della Germania e degli altri leader europei, c’è da considerare, scrive Soros, che l’Europa è nata male: il trattato di Maastricht, che regola l’unione monetaria dell’euro, non corrisponde a una vera unione politica. In più, quando si è istituito l’euro, non si è pensato a una possibile via d’uscita né ad altre soluzioni nel caso qualche paese si fosse trovato in difficoltà. Inoltre la Banca Centrale Europea è un’istituzione che non ha gli stessi poteri delle altre banche centrali dei singoli paesi. Infine, i leader europei hanno dimostrato di non capire come funziona il mercato finanziario: pensavano che il settore bancario avesse retto e si fosse riequilibrato da solo, anche con capitali minimi nelle loro casse. E non si sono resi conto che il mercato ha bisogno di sicurezze, mentre sinora le mosse di Germania e Unione Europea hanno generato l’effetto opposto. Le idee di Soros ricalcano quelle che si sono sentite in questi mesi da fronti molto diversi, ideologicamente: dal superliberal Paul Krugman alle pagine dell’Economist.

Cosa fare dunque per risolvere questa situazione? Soros è piuttosto pessimista sul futuro dell’euro e dell’Europa, ma secondo lui la situazione non è ancora disperata. L’Europa può tornare a essere quel fantastic object che era un tempo, ossia una società aperta e profondamente democratica, ma per farlo ha bisogno di cambiare lo status quo in due fasi, come già visto dopo la crisi del 2008: il rigore sì, ma anche stimoli per la crescita, anche se questo significherebbe, per qualche tempo, andare contro le regole a cui si attiene strenuamente la cancelliera tedesca Angela Merkel. Conseguentemente, la seconda soluzione è in una semplice parola: eurobond, ossia le obbligazioni emesse da tutta l’Unione Europea che fermerebbero la speculazione e darebbero stabilità al continente. Ma la Germania sinora ha sempre scartato questa soluzione e non sembra che cambierà idea, almeno nel futuro prossimo.

foto: BRENDAN SMIALOWSKI/AFP/Getty Images