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  • Sabato 28 gennaio 2012

Le accuse di tortura in Libia

Medici Senza Frontiere ha annunciato la sospensione delle sue attività a Misurata, dopo aver denunciato inutilmente decine di casi di tortura sugli ex soldati di Gheddafi

Giovedì 26 gennaio Medici Senza Frontiere (MSF) ha annunciato l’immediata interruzione delle sue attività a Misurata, la terza città della Libia e uno dei centri della resistenza contro Gheddafi, dopo aver più volte denunciato casi di tortura su persone detenute nelle prigioni della città. Dopo la decisione di MSF, anche altre organizzazioni umanitarie, come Amnesty International, hanno detto che le torture sono molto diffuse sui prigionieri delle milizie che ora controllano la Libia. Il responsabile delle Nazioni Unite per i diritti umani, la sudafricana Navi Pillay, ha invitato il governo temporaneo del Consiglio Nazionale di Transizione libico a prendere pieno controllo dei centri di detenzione.

Misurata
Medici Senza Frontiere, che opera a Misurata da agosto, ha deciso di sospendere le attività dopo alcuni casi in cui i gestori dei centri di detenzione hanno chiesto all’organizzazione di curare vittime di tortura, in modo che i prigionieri potessero essere torturati ancora. MSF ha detto di aver curato 115 persone che mostravano segni di tortura, e di aver riportato tutti i casi alle autorità di Misurata. Amnesty International ha annunciato di aver raccolto le prove che alcuni sostenitori dell’ex dittatore libico Muammar Gheddafi sono stati torturati fino alla morte in centri di detenzione improvvisati e gestiti dalle milizie degli ex ribelli.

Un giornalista della BBC, Gabriel Gatehouse, è andato a visitare il centro di detenzione segnalato da MSF e ha parlato con i prigionieri, che hanno detto di essere stati più volte picchiati e frustati con cavi elettrici. Le violenze non sono avvenute all’interno della prigione, ma in basi gestite dall’esercito del CNT o dalle milizie, dove i prigionieri sono trasferiti temporaneamente per essere interrogati.

Il capo del consiglio militare di Misurata, Ibrahim Beitelmal, ha respinto decisamente tutte le accuse e ha detto, secondo la BBC: “Penso che le persone che lavorano sotto la maschera delle organizzazioni per i diritti umani, o i dottori senza frontiere, siano la quinta colonna di Gheddafi. Ci sono stati pochi casi di ex ribelli che si sono vendicati, ma questo non vuol dire che dal mio ufficio siano usciti ordini di torturare i prigionieri.”

I diritti umani in Libia
Le accuse di tortura arrivano in un momento in cui la situazione libica appare molto difficile. All’inizio della settimana un gruppo di uomini armati ha ripreso il controllo della città petrolifera di Bani Walid e ha issato la bandiera verde della Libia di Gheddafi. Il Consiglio Nazionale di Transizione finora non è riuscito a prendere il pieno controllo del paese, che continua ad essere largamente controllato dalle diverse milizie che hanno partecipato alla guerra civile dello scorso anno: milizie che sono pesantemente armate, e ricalcano le antiche divisioni tribali e i centri di potere locali del paese.

In questa situazione, i gruppi per i diritti umani hanno più volte denunciato casi di tortura contro sospetti oppositori. Un bersaglio frequente sono gli africani subsahariani, che durante il regime di Gheddafi sono arrivati in molte centinaia di migliaia per lavorare nel paese. Ma gli africani che provengono dai paesi a sud della Libia hanno anche formato parte delle milizie mercenarie che hanno sostenuto il regime anche nelle ultime settimane della guerra civile, e questo li ha resi bersaglio di ritorsioni e violenze dopo la caduta del regime. Secondo le stime dell’ONU, in tutto il paese sono tenute prigioniere circa 8.500 persone, per la maggior parte accusate di essere sostenitori di Gheddafi, e spesso in centri di detenzione che sfuggono al controllo del governo del CNT.

foto: JOSEPH EID/AFP/Getty Images