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  • Lunedì 9 gennaio 2012

La caccia agli attivisti in Messico

Sono presi di mira dai narcos e non adeguatamente protetti dallo Stato: tra loro c'è anche il movimento del poeta Javier Sicilia

di Eugenio Cau

Thousands of people wearing white march against gang violence in Mexico City, Sunday May 8, 2011. The group carrying signs reading "Stop the War," Mexican flags and white balloons began their march Thursday in Cuernavaca. They are expected to arrive in Mexico City's Zocalo or main plaza Sunday. (AP Photo/Eduardo Verdugo)
Thousands of people wearing white march against gang violence in Mexico City, Sunday May 8, 2011. The group carrying signs reading "Stop the War," Mexican flags and white balloons began their march Thursday in Cuernavaca. They are expected to arrive in Mexico City's Zocalo or main plaza Sunday. (AP Photo/Eduardo Verdugo)

Javier Sicilia è uno dei massimi poeti e intellettuali messicani. Il 28 marzo 2011 il corpo di suo figlio Juan Francisco Sicilia, ventiquattrenne, fu trovato senza vita e con segni di tortura a Temixco, presso la città di Cuernavaca, nello stato di Morelos. Juan Francisco fu ucciso insieme ad altri sei ragazzi da una cellula armata legata al narcotraffico. Un messaggio lasciato accanto ai cadaveri diceva che i giovani erano stati assassinati per aver tentato di denunciare il gruppo di narcotrafficanti alle autorità.

Una settimana dopo l’esecuzione del figlio, il 3 aprile, Javier Sicilia annunciò il suo ritiro dalla poesia. «La poesía ya no existe en mi», non vi è più poesia in me. Contestualmente, Sicilia si propose come portavoce di chi avesse perso una persona cara a causa delle violenze dei narcotrafficanti e della guerra combattuta alle bande dal presidente messicano Felipe Calderón. In quella data il numero delle persone uccise si avviava già verso l’impressionante cifra di 50.000 morti. Al grido di slogan come “No más sangre”, basta sangue, e “Estamos hasta la madre”, che può essere tradotto come “Ne abbiamo abbastanza”, Sicilia nelle settimane successive porrà le basi per la nascita del Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad, il cui programma prevede un cambio deciso di approccio da parte della politica messicana, il ritiro di esercito e marina dalle strade, la fine dell’impunità accordata alla violenza e all’illegalità.

Negli ultimi mesi Sicilia e il suo movimento hanno organizzato numerose Caravanas por la Paz, lunghe marce che hanno percorso tutto il Messico raccogliendo le storie e le rimostranze di decine di migliaia di cittadini, stanchi tanto della violenza imposta dal narcotraffico quanto di quella imposta dall’Esercito. L’attività del movimento è culminata in due “tavoli di dialogo”, uno a giugno e uno a settembre, in cui il presidente messicano Calderón si è offerto di ascoltare le richieste di Sicilia e dei delegati del Movimiento por la Paz, senza però effettivamente accoglierne nessuna.

Nonostante questo il Movimiento por la Paz è riuscito in pochi mesi a diventare un punto di riferimento non solo per chi si oppone alla violenza generata dal narcotraffico ma anche tra gli attivisti in favore dei diritti umani, tra i sostenitori delle lotte indigene e tra tutti coloro che combattono il clima di violenza che vige in Messico. La rivista Time, nel numero che ha eletto come Uomo dell’anno la figura del manifestante, ha messo Javier Sicilia insieme ai ragazzi egiziani di piazza Tahrir e a quelli di Occupy Wall Street.

La violenza ha preso di mira il Movimiento por la Paz di Javier Sicilia piuttosto rapidamente. Negli ultimi due mesi tre esponenti del movimento sono stati uccisi. Don Nepomuceno Moreno Muñoz è stato ucciso a colpi di arma da fuoco il 28 novembre del 2011. Nepomuceno Moreno, uno dei simboli del movimento, chiedeva giustizia per suo figlio, scomparso da più di un anno dopo essere stato rapito da una banda di sequestratori formata da poliziotti corrotti.

Le altre due esecuzioni sono state quelle di Pedro Leyva Domínguez, avvenuta il 6 di ottobre, e quella di Don José Trinidad de la Cruz Crisóstomo, conosciuto come Don Trino, avvenuta il 7 di dicembre. Pedro Leyva e Don Trino erano entrambi indigeni nahua della comunità di Santa María Ostula, nello stato messicano di Michoacán. Il 29 giugno del 2009 i Nahua di Santa María Ostula occuparono 1300 ettari di terreno coltivabile concesso loro dal Governo messicano decenni fa, ma nel corso degli anni accaparrato con minacce e violenza da alcuni proprietari terrieri. Il conflitto fra gli indigeni e i proprietari terrieri vide in poco tempo l’intervento di gruppi paramilitari assoldati da questi ultimi. I paramilitari hanno posto un vero assedio alla comunità nahua: a oggi sono morti 28 indios, 5 sono scomparsi.

Il caso di Don Trino, 73 anni, uno dei leader della comunità indigena e suo volto più riconoscibile, è eclatante. Al momento di essere rapito e ucciso, Don Trino stava accompagnando una delegazione del Movimiento por la Paz a Santa María Ostula, affinché fungesse da osservatore delle consulte interne che avrebbero portato al negoziato con le autorità statali e federali, allo scopo di risolvere una volta per tutte il conflitto per le terre. Nei mesi precedenti don Trino aveva ricevuto minacce di morte e il 14 novembre era stato vittima di un fallito attentato.

L’omicidio di Don Trino è significativo anche per le sue modalità. Alcuni chilometri di strada isolata separano la comunità di Don Trino e il luogo dove si sarebbe tenuta la consulta. Al momento della partenza, il contingente della Polizia Federale che fino a quel momento aveva scortato i delegati del Movimiento da Città del Messico, si rifiutò di proseguire fino al luogo della consulta, lasciando inerme la camionetta di Don Trino e dei delegati. Lungo la strada la camionetta venne fermata da quattro uomini incappucciati, armati di pistole e di kalashnikov, che fecero scendere tutti i passeggeri. Mentre alcuni uomini armati facevano da guardia, altri portavano Don Trino in un luogo appartato e iniziavano a minacciarlo e colpirlo. Dopo poco i paramilitari decisero di lasciar andare i membri del Movimiento por la Paz, sequestrando però Don Trino. Il suo cadavere sarà ritrovato il giorno dopo con evidenti segni di tortura e quattro ferite da arma da fuoco.
Lo stesso giorno del sequestro e dell’omicidio di Don Trino, altri due membri del Movimiento por la Paz di Javier Sicilia sono stati rapiti nello stato di Guerrero: Marcial Bautista Valle e Eva Alarcón Ortiz, attivisti per i diritti degli indigeni.

Il giorno successivo il quotidiano La Jornada, uno dei principali in Messico, mettendo insieme gli attentati degli ultimi due mesi contro i membri del Movimiento por la Paz e le numerose uccisioni di altri attivisti nell’ultimo anno, si chiedeva in un editoriale se non stesse iniziando in Messico una caccia agli attivisti per i diritti umani. In particolare veniva messo in evidenza come molti degli attivisti uccisi, a iniziare da Don Trino, fossero stati oggetto di minacce e attentati precedenti alla loro uccisione, e come da più parti si fosse chiesta per loro una protezione che le autorità statali e federali avevano deciso di non accordare.

I rapporti tra le autorità federali e i movimenti per i diritti umani sono compromessi a tal punto che il 12 dicembre la Secretaría de la Defensa Nacional ha dovuto emettere un comunicato in cui nega che il sequestro di Marcial Bautista Valle e Eva Alarcón Ortiz sia opera dell’Esercito messicano o che soldati vi abbiano preso parte. A oggi non si hanno notizie ufficiali dei due attivisti. Verso la fine dell’anno il governo dello stato di Guerrero avrebbe avuto incontri con i familiari di Marcial Bautista e Eva Alarcón, comunicando loro che ci sarebbero “buone notizie” riguardo la permanenza in vita dei due attivisti rapiti. Non ci sono sviluppi sulle indagini.

La violenza che nell’ultima metà del 2011 si è espressa contro gli attivisti per la pace e per i diritti umani in Messico ha allertato anche l’Unione Europea, che il 21 dicembre 2011 ha diffuso una dichiarazione [pdf] in cui condanna i “recenti attacchi, sequestri e assassini a danno dei difensori dei diritti umani” in Messico. Il testo dice che l’Europa rinnova la sua fiducia alle autorità messicane affinché queste pongano in atto ogni possibile sistema di protezione degli attivisti. Il fatto stesso che il documento menzioni la necessità di proteggere i difensori dei diritti umani, tuttavia, dice molto sull’impegno delle autorità messicane in proposito.

foto: AP Photo/Eduardo Verdugo