Il nuovo flop sugli stipendi dei politici

La commissione di saggi incaricata di stilare la media europea delle retribuzioni si è arresa, a fronte di un compito vago e "impossibile": ed era ovvio che finisse così

La manovra finanziaria approvata lo scorso luglio dal governo Berlusconi [pdf] introduceva una norma piuttosto tortuosa volta a ridurre gli stipendi dei parlamentari. La norma dava mandato a una commissione speciale di individuare un “trattamento economico omnicomprensivo” che non superi “la media degli analoghi trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi negli altri Stati dell’Area Euro”. La commissione, presieduta dal presidente dell’ISTAT e composta da quattro “esperti di chiara fama”, sarebbe stata quindi chiamata a provvedere alla “ricognizione e all’individuazione della media dei trattamenti economici […] riferiti all’anno precedente ed aggiornati all’anno in corso sulla base delle previsioni dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza”.

La commissione – definita dalla stampa “commissione Giovannini”, dal nome del presidente dell’ISTAT – ha consegnato ieri il suo rapporto [pdf] al ministero della Funzione Pubblica. Ed è una resa. Come era prevedibile, infatti, costruire una media di quel tipo con l’affidabilità e l’ufficialità richiesta, è praticamente impossibile: alcuni paesi danno ai parlamentari l’indennità per pagare i collaboratori, altri no, alcuni paesi hanno aggiustamenti automatici all’inflazione, altri no, alcuni paesi hanno l’assicurazione sanitaria, altri no, alcuni paesi fissano lo stipendio lordo e altri fissano il netto, eccetera. La commissione – che lavorava gratis, almeno – scrive di avere “preso atto dell’impossibilità di completare il lavoro ad essa affidato” e rinuncia.

Nonostante l’impegno profuso e tenendo conto della estrema delicatezza del compito ad essa affidato, nonché delle attese dell’opinione pubblica sui suoi risultati, la Commissione non è in condizione di effettuare il calcolo di nessuno delle medie di riferimento con l’accuratezza richiesta dalla normativa.

Pur nell’impossibilità di fare una media sensata, la relazione fornisce diversi dati relativi ai sette paesi europei presi in esame nei suoi lavori: Italia, Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Austria e Belgio. L’indennità lorda mensile dei parlamentari italiani (intorno agli 11.000 euro) è più alta di quella degli altri paesi europei, per quanto l’aliquota di tasse da pagare fa una bella differenza nel determinare quale somma finisca poi nella disponibilità diretta del deputato o senatore. La diaria è alta (3984 euro) ma meno di quella della Germania, e viene decurtata in proporzione alle assenze. Quella del portaborse è la voce più controversa: in Italia si danno 4.000 euro al mese, cifra più bassa degli altri paesi, ma i parlamentari non devono giustificare le spese. Altrove, invece, i portaborse sono assunti direttamente dal Parlamento per la durata del mandato (così da evitare anche il vergognoso fenomeno dei collaboratori parlamentari assunti e pagati in nero) e permettere una rendicontazione precisa, caso per caso. La tessera dei parlamentari italiani per la libera circolazione sui mezzi di trasporto non ha eguali in Europa, dove invece si fanno rimborsi puntuali, e con un tetto massimo di spesa.

Niente che non sapessimo già, comunque. E anche lo stesso flop della commissione si poteva immaginare. Proprio la commissione, infatti, fa notare che la legge che gli conferisce l’incarico è scritta male, poco chiara, fumosa.

La Commissione considera i dati contenuti del tutto provvisori e di qualità insufficiente per una loro utilizzazione ai fini indicati dalla legge. […] Di fatto è stato chiesto alla Commissione di condurre in pochi mesi lo studio degli assetti istituzionali e organizzativi di sei Paesi, più l’Italia, con un dettaglio mai realizzato in letteratura e visto l’utilizzo a fini legali dei risultati, con l’esigenza di raccogliere dati di elevata qualità, inconfutabili e pienamente comparabili.

Il governo Monti qualcosa aveva intuito, visto che nella prima stesura della sua manovra prevedeva che, nell’eventuale mancanza di un parere certo da parte della commissione, avrebbe provveduto a stabilire per decreto l’ammontare dei trattamenti economici di politici e parlamentari. Ne seguì una sollevazione di Camera e Senato, che si dissero offesi a morte dall’invasione di competenze e invitarono il governo a occuparsi d’altro. Ora del taglio degli stipendi dei parlamentari dovranno occuparsi Camera e Senato, che avrebbero potuto farlo in qualsiasi momento e che finora non l’hanno fatto. Intanto abbiamo perso altri sei mesi.

foto: Mauro Scrobogna/LaPresse