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  • Mercoledì 28 dicembre 2011

Che cosa fa la Lega Araba in Siria?

Gli osservatori dovrebbero verificare cosa fa il governo con i manifestanti, ma il regime li controlla e il loro capo ha un passato discutibile in Darfur

I primi osservatori della Lega Araba sono arrivati in Siria il 26 dicembre, per una missione che dovrebbe stabilire l’effettiva situazione nel paese e porre fine alla brutale repressione degli oppositori che il regime di Bashar al-Assad porta avanti da mesi.

I membri della spedizione sono per ora limitati a dodici, a cui il governo siriano ha promesso libertà di movimento ma anche che sarà “responsabile” della loro sicurezza: nei fatti, questo significa che dipenderanno dal governo per i trasporti all’interno del paese. Gli osservatori hanno annunciato che oggi visiteranno tre città siriane in cui nei giorni scorsi gli attivisti dell’opposizione hanno denunciato violenze e uccisioni, Daraa, Hama e Idlib.

Ieri la missione è arrivata a Homs, dove rimarranno dieci osservatori su dodici. Homs è uno dei centri della protesta, che l’opposizione denuncia essere sotto assedio da parte dell’esercito siriano, con decine di morti ogni settimana. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, che ha sede a Londra ed è tra i gruppi più attivi nell’informare su che cosa accade in Siria dal punto di vista degli oppositori al regime di Assad, circa 30.000 persone hanno manifestato nella città all’arrivo degli osservatori della Lega Araba.

Ancora lunedì, denunciano gli attivisti, a Homs la repressione dell’esercito governativo (che avrebbe bombardato alcune zone della città) ha ucciso 30 persone, ma nel corso della notte parte dei mezzi pesanti e dei carri armati dell’esercito si è ritirata dalla città, poche ore prima dell’arrivo della missione della Lega Araba. Gli attivisti denunciano che i carri armati sono comunque rimasti nella città, nascosti all’interno degli edifici governativi, mentre un rapporto dell’organizzazione internazionale Human Rights Watch, riportato dalla CNN, dice che tra i 400 e i 600 detenuti sono stati trasferiti dalle carceri di Homs ad altre sedi, in primo luogo basi dell’esercito, per nasconderli agli osservatori.

Il capo della missione della Lega Araba è il generale sudanese Mustafa Dabi, che nelle sue prime dichiarazioni, a un giorno dall’inizio della missione, ha detto alle agenzie di stampa AFP e Reuters che le autorità siriane sono state finora “molto collaborative” e che è ancora presto per arrivare a un giudizio conclusivo sulla situazione a Homs. Dabi ha detto oggi al telefono a Reuters che “c’erano alcuni luoghi dove la situazione non era buona, ma non c’era niente di allarmante, almeno mentre eravamo lì. La situazione era tranquilla e non c’erano scontri”. Secondo quanto riporta il Telegraph, le prime mosse della missione della Lega Araba hanno scontentato molti cittadini di Homs, dato che gli osservatori si sarebbero rifiutati di visitare alcune zone particolarmente colpite e si sarebbero mostrati poco attenti alle loro rimostranze.

Foreign Policy ha dedicato ieri un ritratto al generale Dabi intitolato “Il peggior osservatore per i diritti umani del mondo”, in cui ricorda il ruolo che secondo molti testimoni il generale ha avuto nella repressione degli scontri etnici nella regione del Darfur:

[Il generale Dabi] è un fedele sostenitore del presidente del Sudan Omar al-Bashir, che è ricercato dalla Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini contro l’umanità a causa delle decisioni del suo governo in Darfur. E quello che ha fatto lo stesso Dabi nell’inquieta regione sudanese, dove è accusato di avere guidato la creazione delle temute milizie arabe chiamate “janjaweed”, è abbastanza per far impallidire qualsiasi attivista per i diritti umani.

I conflitti interetnici nel Darfur tra le comunità degli arabi e i Masalit, musulmani ma non di etnia araba, sono alla base delle violenze che a partire dal 2003 sfociarono in conflitto aperto, e in cui il governo sudanese si rese responsabile di un genocidio delle popolazioni non arabe. Dabi, che si dice “molto fiero” di quanto fatto nel Darfur, arrivò nella regione nel 1999 e creò una nuova milizia composta principalmente da membri delle tribù arabe di allevatori nomadi del nord del Darfur.

L’incarico in Darfur gli venne affidato, come ricostruisce Foreign Policy, dopo una carriera interamente al servizio del presidente al-Bashir, che prese il potere con un colpo di stato nel 1989: lo stesso giorno, Dabi fu messo a capo dei servizi segreti militari. Nel 1995 passò ai servizi segreti esteri sudanesi, e tra il 1996 e il 1999 fu il capo delle operazioni militari nel Sudan meridionale, dove stava nascendo la guerra civile (che ha diverse connessioni con il conflitto in Darfur) che ha portato alla nascita dello stato del Sud Sudan a luglio scorso.

Il suo ruolo di capo della missione degli osservatori in Siria, nota il periodico, gli viene però probabilmente dalla sua carriera successiva all’impiego in Darfur. Tra il 1999 e il 2004 Dabi è stato ambasciatore in Qatar, uno dei paesi arabi che ha già avuto un ruolo importante nel sostegno all’intervento occidentale in Libia e che oggi è tra i più critici del regime di Assad. Nel 2006, anche grazie alla “sponsorizzazione” del Qatar, è tornato ad occuparsi dei colloqui di pace nel Darfur, venendo nominato a capo della commissione per condurre le trattative, nonostante il posto dovesse essere affidato a un membro dell’opposizione, che si sono concluse con la firma del Documento di Doha per la Pace in Darfur tra il governo sudanese e un gruppo ribelle nel luglio 2011.

Il generale Dabi a Khartum, Sudan, il 21 dicembre 2011
foto: ASHRAF SHAZLY/AFP/Getty Images