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  • Mercoledì 28 dicembre 2011

Adesso tocca a Ron Paul

L'ultimo candidato repubblicano in ascesa nei sondaggi è probabilmente il più estremista di tutti, in questi giorni sotto accusa per le sue newsletter razziste

WASHINGTON, DC – OCTOBER 5: Republican presidential candidate U.S. Rep. Ron Paul (R-TX) speaks during a luncheon at the National Press Club on October 5, 2011 in Washington, DC. Paul was addressing those in attendance on his strategies to deal with many of the nation’s problems. (Photo by Patrick Smith/Getty Images)

WASHINGTON, DC – OCTOBER 5: Republican presidential candidate U.S. Rep. Ron Paul (R-TX) speaks during a luncheon at the National Press Club on October 5, 2011 in Washington, DC. Paul was addressing those in attendance on his strategies to deal with many of the nation’s problems. (Photo by Patrick Smith/Getty Images)

Osservando le curve con l’evoluzione dei sondaggi condotti in Iowa fino a questo momento, si può avere un’idea piuttosto chiara di quello che è successo con i candidati repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti. Le primarie cominciano tra pochi giorni, il 3 gennaio proprio in Iowa, e praticamente tutti i candidati in corsa hanno passato un periodo di tempo più o meno lungo in testa ai sondaggi. Il candidato dato per favorito sul piano nazionale, Mitt Romney, è quello che in Iowa è stato più costante ma ha passato meno tempo in testa, sorpassato prima da Michele Bachmann, poi da Rick Perry, poi da Herman Cain, poi da Newt Gingrich e ora dall’ultimo candidato a godere di inaspettata e improvvisa popolarità in questa campagna elettorale, Ron Paul.

Ron Paul ha 75 anni, è un deputato texano e la carica di deputato è la più alta che abbia rivestito nel corso della sua carriera: non è mai stato senatore, non è mai stato mai governatore. Ha provato a candidarsi alla Casa Bianca altre due volte, nel 1988 e nel 2008, e tutte e due le volte non gli è andata bene. È il padre di Rand Paul, candidato dei tea party eletto senatore in Kentucky alle ultime elezioni di metà mandato, ed è un personaggio colorito e molto popolare nella destra americana. Le sue idee economiche sono ultraliberiste, le sue idee in campo fiscale sono ultraconservatrici ma ha anche posizioni più spiazzanti: è stato contrario alla guerra in Iraq, è aperto alla legalizzazione della marijuana. In sintesi, crede che lo Stato debba occuparsi davvero del minor numero di cose possibili.

Ron Paul è anche un efficace demagogo, è uno strenuo difensore della Costituzione (che secondo lui gli dà ragione su tutto), ha usato la rete meglio e prima di molti suoi colleghi e negli anni si è costruito una solida popolarità di vecchio e affidabile paladino delle idee ultraconservatrici. Questo anche perché nel tempo ha assunto posizioni molto estremiste, tanto estremiste che oggi nessun osservatore serio gli attribuisce le minime possibilità di ottenere nemmeno la nomination repubblicana, figuriamoci la Casa Bianca. Tra le molte altre cose, Ron Paul ha proposto l’abolizione della Federal Reserve, il taglio di un terzo del budget federale e di tutti gli aiuti destinati all’estero. Si è opposto alla legge sui diritti civili del 1964. Considera un’ingerenza dello Stato qualsiasi intervento dello Stato, tanto da sostenere nel tempo parecchie bislacche teorie complottiste pur di dar contro al governo americano. E negli ultimi tempi l’improvvisa notorietà lo sta costringendo a fare i conti con le cose particolarmente assurde e razziste scritte in alcune newsletter inviate negli anni Ottanta e Novanta ai suoi sostenitori.

(tutti gli articoli del Post sulle primarie repubblicane)

Quei testi, scrive oggi un editoriale del New York Times, “mescolano opinioni di stampo libertario con fanatismo razziale, antisemitismo e paranoie di estrema destra”. Dentro c’è di tutto: la tesi per cui il 95 per cento degli uomini neri di Washington sono criminali, la definizione del Martin Luther King Day come “il giorno dell’odio per i bianchi”, gli strali contro “la scomparsa della maggioranza bianca”, le teorie complottiste su presunti coinvolgimenti del Mossad nell’attentato del 1993 al World Trade Center e le accuse alla comunità gay di diffondere volutamente il virus dell’AIDS.

Ron Paul ha detto di non riconoscersi in quelle idee e in quegli articoli, dicendo che non sono stati scritti da lui e che non era a conoscenza del contenuto delle newsletter. Cosa che sarebbe già di per sé abbastanza assurda, specie se detta da uno che vorrebbe occupare la Casa Bianca, se non fosse che quando quelle newsletter gli furono rinfacciate alla fine degli anni Novanta non disse niente del genere, non negò e non smentì. Domenica il New York Times ha raccontato di come milizie di estrema destra, gruppi neonazisti e suprematisti bianchi si stiano mobilitando a suo favore durante le primarie. Invece di cacciare queste persone dai gruppi di volontari che gli danno una mano, Ron Paul ha detto che spera di “convertirli” alle sue idee.

foto: Patrick Smith/Getty Images