Il rapimento Dozier, trent’anni fa

Le Brigate Rosse lo tennero prigioniero per 42 giorni: poi la polizia lo liberò, dando inizio alla fine “militare” del terrorismo di sinistra

James Dozier con la moglie e la figlia e il presidente Sandro Pertini nel 1982
James Dozier con la moglie e la figlia e il presidente Sandro Pertini nel 1982

Intorno alle 18 del 17 dicembre 1981 quattro uomini appartenenti al gruppo terroristico di sinistra delle Brigate Rosse si presentarono a casa del generale americano James Dozier, a Verona, e lo sequestrarono fingendosi idraulici: immobilizzarono e legarono sua moglie e portarono via Dozier dopo averlo colpito alla testa, insieme ad altri due sequestratori che erano rimasti in un furgone con cui si allontanarono. Dozier, che aveva allora cinquant’anni, era il comandante NATO dell’Europa Meridionale e non aveva scorta né protezione.

Il sequestro del generale si concluse poco più di un mese dopo con l’azione dei Nocs (il Nucleo operativo centrale di sicurezza della Polizia), che lo liberarono entrando nell’appartamento dove era tenuto prigioniero a Padova. Il sequestro Dozier fu un momento di svolta nella guerra dello Stato contro il terrorismo di sinistra di quegli anni, come spiegava il programma La storia siamo noi:

In quegli anni la struttura delle Brigate Rosse appare ancora fortissima. In realtà  il sequestro Dozier rappresenta il punto di arrivo del lungo processo di decomposizione delle BR, che si dividono al loro interno in diversi gruppi relativamente autonomi e in dissenso tra loro.

Le indagini sul sequestro erano avvenute con intense collaborazioni di polizia e politica, con gli Stati Uniti allora guidati dal presidente Ronald Reagan. All’inizio del 1982 venne arrestato Giovanni Senzani, uno dei capi delle Brigate Rosse, e qualche giorno dopo Massimiliano Corsi, tra gli ideatori del sequestro Dozier. Fu l’avvio di una serie di azioni – anche molto violente, i sequestratori di Dozier saranno torturati (e gli agenti successivamente condannati per questo) – che portarono alla confessione di alcuni arrestati – in particolare quella di Ruggero Volinia, che aveva guidato il pulmino da Verona a Padova – e alla liberazione di Dozier, svolta per la successiva sconfitta “militare” delle Brigate Rosse.