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  • Venerdì 16 dicembre 2011

Capire la Siria

Come è diventata il paese diviso che è oggi, e come è nato il sostegno al regime degli Assad: c'entrano la CIA e il padre del batterista dei Police

La situazione in Siria è molto lontana da una soluzione, violenta o pacifica che sia: la repressione del regime di Bashar al-Assad continua da mesi, con migliaia di persone uccise, mentre il paese è sempre più isolato sul piano internazionale. Ma in questi mesi, nonostante le migliaia di morti, ci sono state anche manifestazioni affollatissime per le piazze di Damasco a sostegno di Assad, e in generale il pericolo che da diverse settimane gli esperti indicano per la Siria è quello della guerra civile. La storia di come Hafez al-Assad, padre di Bashar, sia diventato il leader di un paese diviso e complesso è una storia che ha per protagonisti il partito Baath e l’utopia di una patria araba unita, il padre del batterista dei Police e la CIA.

Il gioco delle nazioni
Miles Axe Copeland junior (1916-1991) iniziò a lavorare per i servizi segreti dell’esercito all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, e fu tra i primi membri dell’Office of Strategic Services (OSS) al momento della sua fondazione, a metà del 1942, così come della Central Intelligence Agency, la CIA, che ne prese il posto pochi anni dopo. Sposò l’archeloga scozzese Lorraine Adie, che conobbe a Londra mentre lei lavorava nei servizi segreti britannici, e da cui ebbe quattro figli, tra cui il celebre produttore Miles Copeland III e Stewart Copeland, il batterista dei Police.

Copeland trascorse gran parte della sua carriera nel Medio Oriente e, dopo il suo ritiro, scrisse diversi libri in cui raccontò con grande chiarezza il modo di operare dei servizi segreti degli Stati Uniti nella complicata situazione mediorientale. Una delle prime operazioni in cui la nuova CIA si impegnò fu quella di cercare di dirigere il cambio di governo in Siria, con l’obiettivo ultimo di stabilire nel paese un nuovo governo democratico. Gli Stati Uniti sentivano la minaccia dell’espansione comunista nel Medio Oriente, e allo stesso tempo valutavano che la popolazione siriana fosse particolarmente adatta alla democrazia. Il nuovo regime avrebbe garantito la pace e il progresso nel paese. Questo almeno negli obbiettivi finali del piano, che Copeland rivelò in un libro del 1968 intitolato The Game of Nations, “il gioco delle nazioni”. Il primo banco di prova sarebbero state le elezioni del 1947.

L’inizio del caos
Copeland disse che il piccolo ed eterogeneo gruppo degli agenti statunitensi a Damasco voleva dare “un colpetto qua e là” durante la campagna elettorale elettorale siriana, che a loro parere non era altro che una macchina molto poco funzionante e molto poco democratica, dove i candidati erano espressione delle grandi potenze straniere (la Francia, il Regno Unito, l’URSS) e dove i grandi proprietari terrieri, i siriani più ricchi, i commercianti e i capi della polizia erano in grado di orientare il voto di gran parte dell’elettorato.

Gli americani fecero sapere che non avrebbero gradito le usuali intimidazioni e “indicazioni di voto” dei vari potentati locali, fecero finanziare dalle compagnie petrolifere americane grandi cartelloni con scritte come “Votate per i vostri candidati preferiti” (un messaggio quasi incomprensibile per i siriani, che non capivano se dovessero leggervi un riferimento a un candidato in particolare) e pagarono in anticipo centinaia di taxi per portare gratuitamente gli elettori a votare.

La strategia si rivelò un completo fallimento. Durante le elezioni ci furono disordini e molte vittime, i sovietici, i francesi e i britannici pagarono molti candidati (compresi quelli filo-statunitensi, che però dagli Stati Uniti non avevano ottenuto denaro) e i tassisti promisero ai candidati che avessero dato loro un po’ di denaro che avrebbero convinto i passeggeri a farli votare per loro.

Il capo della missione a Damasco, James Keeley, decise allora per un cambio completo di strategia, rispetto alla convinzione naif e un po’ troppo ottimista che le storture della democrazia siriana si sarebbero aggiustate nell’arco di pochi mesi con i cartelloni pubblicitari. Nel piano di Keeley, quello che ci voleva era qualche anno di dittatura illuminata, che riformasse il sistema e consegnasse poco dopo il paese a una democrazia finalmente occidentale. L’incaricato del gravoso compito sarebbe stato il capo dell’esercito siriano, Husni al-Za’im, che una volta avvicinato dagli agenti statunitensi promise che avrebbe riformato il paese, lottato contro la corruzione, riconosciuto il neonato stato di Israele, e infine permesso lo svolgimento di libere elezioni. Il colpo di stato di Za’im avvenne nel marzo del 1949, il primo colpo di stato militare nel Medio Oriente dopo la Seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti ne parlarono come dell'”apertura della porta alla Pace e al Progresso” per la Siria, ma per la seconda volta si sbagliarono completamente.

Za’im si rivelò un tiranno così inadeguato e crudele che poco dopo l’estate di quell’anno venne ucciso da un gruppo di suoi sottoposti, mentre si trovava a casa sua. I sottoposti avviarono un altro colpo di stato di breve durata, in una lunga serie di cambi di governo violenti che durò fino al 1954, anno della reintroduzione del sistema parlamentare: ma la durata media dei governi, fino al 1970, rimase inferiore a un anno.

A metà degli anni Cinquanta gran parte dei siriani si era convinta di due sole cose: l’odio verso gli Stati Uniti, che erano visti non senza qualche ragione come istigatori di instabilità e irrispettosi dell’indipendenza del paese (ancora nel 1957 venne scoperto l’ennesimo colpo di stato militare orchestrato dalla CIA, l’Operazione Wappen), e l’odio verso il vicino Israele. Di conseguenza, trovarono un alleato nell’Unione Sovietica.

Il Baath
A parte la distante URSS, un’alleanza motivata più da argomenti strategici che da affinità ideologica, i siriani avevano un altro modello a cui ispirarsi, il neopresidente egiziano Nasser, colonnello dell’esercito, uno dei capi della rivoluzione che nel 1952 aveva portato alla fine della monarchia in Egitto. Nasser incentrava la propria politica estera e il proprio messaggio ai principi del panarabismo: la volontà di arrivare a una stretta unione tra tutti i paesi arabi, che uniti si sarebbero potuti contrapporre alle potenze occidentali. E in Siria quel messaggio aveva un grande successo e un partito che lo rappresentava: il partito Baath.

Il partito Baath era stato fondato nel 1945 da un gruppo di intellettuali siriani, tra cui il professore di storia nato a Damasco e di religione cristiana Michel Aflaq. Il motto del partito, il cui nome significa “rinascita, resurrezione”, era “Unità, libertà, socialismo”, la sintesi di un ambizioso progetto di liberazione dei paesi arabi e dell’uomo che si rifaceva alla Rivoluzione francese e alle teorie marxiste. Il panarabismo servì da sostituto alla debole identità nazionale siriana, un paese che era unanime solo nell’odio verso Israele e per il resto si divideva in gruppi religiosi e etnici molto netti: gli arabi sunniti nel centro del paese, tra Damasco, Homs e Hama, il gruppo di ascendenza sciita degli alauiti nelle montagne del nordovest, i drusi nel sud e diverse altre minoranze, tra cui cristiani di etnia araba, curdi e armeni.

Il sentimento panarabo era così forte in Siria che nel 1958 il governo siriano, preoccupato anche per la crescita del partito comunista, accettò di unire il paese all’Egitto in un unico stato guidato dal presidente Nasser. L’ordinamento dello stato, che prese il nome di Repubblica Araba Unita, era di tipo federale, ma Nasser impose lo scioglimento di tutti i partiti e una serie di riforme di tipo socialista che inizialmente i baathisti siriani accettarono volentieri, in nome della causa panaraba, ma che con il passare dei mesi (e la volontà sempre più chiara di Nasser di tenere lontani i siriani dai posti di governo) resero l’unione insostenibile. La Siria decise di tornare alla piena indipendenza nel 1960. Michel Aflaq, il fondatore del Baath, fu costretto all’esilio, e se ne andò in Iraq, accolto dal partito Baath iracheno. Dopo la sua morte, nel 1989, il governo di Saddam Hussein gli fece costruire un grandioso mausoleo, che dopo l’invasione occidentale, per uno scherzo del destino, diventò una palestra per i soldati americani.

Hafez al-Assad
La situazione in Siria peggiorava, e cinque ufficiali dell’esercito che erano anche membri del partito Baath decisero che avrebbero preso il controllo della situazione. Uno dei cinque era il giovane ufficiale dell’aviazione Hafez al-Assad. Il gruppo prese il potere nel marzo 1963 con l’ennesimo colpo di stato militare, questa volta senza nessun intervento degli Stati Uniti: a differenza di quanto era successo in Iraq un mese prima, quando il generale Qassim venne rovesciato da un gruppo di baathisti finanziati e organizzati dalla CIA. Uno dei contatti più stretti della CIA in Iraq era il giovane Saddam Hussein.

In Siria il governo rimase incerto e instabile per diversi anni, tra operazioni militari a sostegno della causa palestinese e lotte interne al partito. La situazione si risolse solo nel novembre 1970, quando Hafez al-Assad, allora ministro della difesa, assunse il ruolo di presidente della Repubblica senza spargimento di sangue. Hafez, per anni, lavorò a eliminare tutti i suoi avversari politici, compresi gli altri quattro membri del comitato segreto che aveva organizzato la rivoluzione baathista. Per tre decenni, la Siria è rimasta sotto il suo governo autoritario e crudele.

Il governo di Hafez al-Assad si basò su un culto della personalità sfrenato (i suoi ritratti e le sue statue riempivano le città siriane) e sul piazzamento sistematico di suoi fedelissimi in tutti i posti di potere nel governo e nell’esercito. Molto spesso i suoi fedelissimi appartenevano alla minoranza alauita, mentre tradizionalmente il potere in Siria era detenuto dai mercanti e proprietari terrieri sunniti, l’orientamento religioso predominante nel paese. Al-Assad fu accolto con grande favore dalle classi più povere della popolazione, che appartenevano spesso alle etnie e alle minoranze emarginate. Milioni di siriani reputavano che il governo di al-Assad rappresentasse l’ordine e la stabilità dopo venti anni di caos, e divennero suoi sostenitori.

Hafez al-Assad morì dopo trent’anni di dominio, macchiato da repressioni e stragi come quella di Hama, nel 1982, in cui vennero uccise decine di migliaia di persone. Subito dopo la morte di Hafez, il 10 giugno 2000, il parlamento modificò la Costituzione abbassando l’età minima per diventare presidente da 40 anni a 34, per permettere al figlio Bashar di diventare capo del Baath e presidente della Repubblica. Bashar, inizialmente destinato a diventare medico, diede speranza alla società siriana di aprirsi al dialogo e al confronto politico, permettendo la nascita di circoli di discussione più o meno informali a cui partecipavano politici e intellettuali cittadini che fecero sperare in prossime riforme dello stato in senso più democratico. Ma la cosiddetta “primavera di Damasco” finì nell’agosto del 2001, con una stretta repressiva che portò all’arresto di una decina di esponenti di primo piano dell’opposizione.