Gli stranieri italiani di Radio 3

Fanno meno paura, dice il direttore Marino Sinibaldi: e lunedì occupano il palinsesto della radio, per arricchirla

di Marino Sinibaldi

Orson Welles delivers a radio broadcast from a New York studio in 1938. On the same year on Oct. 30, he broadcasted the adaptation of H.G. Wells’ “War of the Worlds.” The realistic account of an invasion from Mars caused thousands of listeners to panic. (AP Photo)

Orson Welles delivers a radio broadcast from a New York studio in 1938. On the same year on Oct. 30, he broadcasted the adaptation of H.G. Wells’ “War of the Worlds.” The realistic account of an invasion from Mars caused thousands of listeners to panic. (AP Photo)

Vorrei darvi una notizia e offrirvi una riflessione. La notizia, lo ammetto, è un po’ autoriferita. Ma insomma, lunedì prossimo tutti i programmi di Radio3 verranno condotti da stranieri. Si tratta di persone diversissime tra loro per età, sesso, provenienza, professione. La lista potete leggerla qui e scoprirete che niente li unisce se non il nome che suona esotico e una condizione, diciamo così, che vorremmo evidenziare e, in un certo senso, onorare.

Nulla di patetico: non ospiteremo solo emigrati “per necessità” ma anche professionisti, artisti, persone che per arte o per amore hanno scelto di vivere in Italia. E nulla di demagogico, dunque, perché ad animarci è soprattutto la curiosità: come leggerà i giornali e converserà con gli ascoltatori un giornalista francese? Come commenteranno i nostri ascolti musicali una pianista kazaka, una musicista somala, un tenore albanese? Cosa racconteranno del nostro paese una psicologa islandese, una ragazza brasiliana, un sociologo senegalese? Insomma si tratta soprattutto di raccogliere e valorizzare punti di vista diversi che escano dal recinto delle nostre opinioni, tanto più angusto in momenti in cui dovremmo tutti provare a cercare, cambiare, oltrepassare, inventare.

E dunque, qualcosa come una piccola provocazione c’è, inutile negarlo. Ma che in questi giorni suona particolare: non meno importante ma come fosse – e per fortuna! – un po’ marginale.
Ecco dunque la riflessione: vi siete accorti che gli stranieri fanno meno paura? Lo dicono certe statistiche un po’ più accurate della media e l’infallibile aria-che-tira. A conferma spettacolare delle teorie sulla liquidità della paura, che la definiscono come una massa ingente di sentimenti che si accumulano e poi, periodicamente, si “fissano” a qualcosa – o su qualcosa. Una cosa alla volta, e dunque ora l’economia e non l’immigrazione. Questa banale considerazione implica due corollari. Il primo invita alla prudenza: la xenofobia non è scomparsa, le cronache sono gravide di razzismi ordinarie straordinarie tanto che su questo è inutile insistere. La paura liquida è mobile e reversibile, ondeggia, sbanda, torna facilmente dov’era.

Ma – in secondo luogo – è possibile cogliere l’occasione di questo parziale e magari temporaneo indebolirsi dei pregiudizi per tentare un discorso diverso e osare un passo in avanti? Abbiamo, senza paura della retorica, l’alto esempio del presidente della Repubblica che ha finalmente imposto il tema dei nuovi italiani già nati qui. Si può cogliere l’occasione e dire quanto è ricco un paese capace di valorizzare la diversità che arriva o nasce tra noi? E quanto è necessaria oggi questa alterità per uscire dal recinto delle idee e delle pratiche che ci hanno condotto sull’orlo del baratro?

(AP Photo)