Le icone di Susan Kare

La storia dell'artista che ha creato le icone del primo Macintosh, dal Mac sorridente alla temibilissima bomba

Chiunque abbia usato i primi Mac ricorda con affetto l’icona del computer sorridente, che appariva su sfondo grigio all’avvio del sistema, e con angoscia la bomba che si manifestava ogni volta che il sistema si impallava: alcuni utenti storici della mela definiscono ancora il blocco del computer “andare in bomba”. Lo splendido lavoro grafico sulle icone dell’interfaccia Mac è opera dell’artista Susan Kare, di cui oggi Personal Report pubblica un po’ di immagini prese direttamente dal suo album degli schizzi.

Pochi giorni fa Steve Silberman ha scritto per PLoS un articolo avvincente dedicato alla figura leggendaria di Susan Kare, la «Betsy Ross del personal computer», ripercorrendo la storia che l’ha portata nel 1984 a disegnare le icone per il sistema operativo del primo Macintosh.

Primi anni Ottanta, Susan fa l’artista su commissione per studi e mostre. È nel suo garage a Palo Alto, sta lavorando alla scultura metallica di un cinghiale per un museo dell’Arkansas quando riceve una telefonata: è Andy Hertzfeld, un suo ex compagno di liceo e ora lead software architect alla Apple Computer Inc. Sta lavorando a un nuovo computer e ha bisogno di un artista per mettere a punto la grafica del sistema operativo. Lei, mica scema, accetta.

Il primo compito assegnato a Susan è quello di creare delle nuove font digitali. Fino ad allora si erano usati solo font monospaziate — cioè con caratteri della stessa larghezza e con uguale spaziatura, come il Courier — retaggio della macchina da scrivere, ma ne risultavano composizioni goffe e blocchi di testo disarmonici. Le nuove font avrebbero dovuto essere proporzionali: per rendere la lettura fluida come quella su carta serviva che ogni carattere si prendesse lo spazio necessario alla convivenza armonica con gli altri caratteri, nè più, nè meno. Susan crea alcune font e le chiama come le stazioni ferroviarie di Philadelphia. Steve Jobs, che pensa in grande, non è d’accordo e dà alle font i nomi delle «World Class Cities»: New York, Geneva e la mitica Chicago.

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