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  • Venerdì 18 novembre 2011

La storia del massacro di Jonestown

Nel 1978, in Guyana, 913 membri di una setta religiosa morirono nel più grande suicidio collettivo della storia moderna

di Giovanni Zagni

Nel pomeriggio del 18 novembre 1978, 913 uomini, donne, anziani e bambini che facevano parte del Peoples Temple, “Tempio dei Popoli”, morirono in una colonia agraria fondata vicino al paese di Port Kaituma, nel paese sudamericano della Guyana. Il Tempio dei Popoli era il culto che si era sviluppato intorno al predicatore statunitense Jim Jones. Quello del 18 novembre del 1978 è ancora adesso considerato il più grosso suicidio di massa della storia moderna.

Indianapolis
James Warren Jones era nato il 13 maggio 1931 nella cittadina di Crete, in Indiana. I suoi genitori, un reduce invalido della Prima Guerra Mondiale e un’operaia impegnata molto attivamente nel sindacato, non erano credenti, ma il giovane Jim Jones diventò molto presto un membro della comunità pentecostale, attratto dalle loro forme di adorazione molto “fisiche”, entusiastiche e concrete. A sedici anni, predicava in strada il vangelo dell’uguaglianza davanti a Dio nei sobborghi neri di Richmond, Indiana, dove si era trasferito insieme alla madre dopo la separazione dei genitori. Jim era un bianco: nella città, alla fine degli anni Quaranta, la segregazione razziale era strettissima, e si stimava che circa metà della popolazione maschile adulta fosse appartenuta per un certo periodo di tempo al Ku Klux Klan.

Jones studiò pedagogia all’università dell’Indiana, e a 21 anni iniziò a fare il pastore alla Somerset Methodist Church di Indianapolis. L’integrazione era al centro delle sue prediche ma i suoi primi gesti concreti ebbero poco successo, dato che diverse famiglie lasciavano la chiesa quando i primi neri entravano dalla porta. Nel 1954 Jones fondò la sua chiesa. Andava casa per casa a invitare la popolazione nera a partecipare alle funzioni, con molto successo soprattutto tra le donne nere. Dopo due anni dovette comprare un edificio più ampio, che chiamò Peoples Temples Full Gospel Church. All’inizio degli anni Sessanta circa duemila persone partecipavano alle sue funzioni.

I suoi sermoni parlavano in modo molto esplicito di integrazione razziale e di giustizia sociale. Se la prendeva con le altre chiese cittadine: “L’ora in cui c’è più segregazione razziale, in America, è l’ora di preghiera della domenica mattina”. Dopo la funzione, accompagnava di persona alcuni membri neri della sua congregazione nelle chiese dei sobborghi bianchi, dove provavano ad assistere alle funzioni nonostante un’accoglienza invariabilmente ostile. Insieme alla moglie Marceline, adottò molti bambini, anche afroamericani o di origine orientale. Le sue battaglie e il successo della sua congregazione lo resero così noto a Indianapolis che nel 1961 il sindaco Charles Boswell lo nominò a capo della Commissione per i Diritti Umani.

Durante le funzioni i toni cominciarono a diventare cupi e visionari. Jones disse di aver avuto una visione di un fungo atomico sopra Chicago, e predisse che anche Indianapolis sarebbe stata spazzata via. Dopo aver letto un articolo sulla rivista Esquire intitolato “Nove posti nel mondo in cui nascondersi” (la guerra nucleare era una paura diffusa negli anni Sessanta), Jones si trasferì nel 1962 a Belo Horizonte, in Brasile, con la famiglia, uno dei posti in cima alla lista di Esquire. Rimase per quasi due anni in Brasile, faticando a trovare un lavoro e a mantenere la sua famiglia, mentre negli Stati Uniti la congregazione perdeva fedeli a causa della lontananza del suo leader carismatico.

Quando tornò in Indiana, Jones non aveva abbandonato i discorsi sulla catastrofe nucleare: predisse che l’Unione Sovietica avrebbe lanciato missili a testata nucleare sugli Stati Uniti il 16 luglio 1967, e invitò i membri della sua congregazione a trasferirsi nel nord della California (un altro dei luoghi elencati da Esquire). All’inizio dell’estate del 1965, quando chiusero le scuole, decine di famiglie crearono un corteo di auto e seguirono Jones nel viaggio di centinaia di chilometri verso ovest, diretti a Ukiah, California.

Ukiah, California
Partirono con Jones circa 150 persone, quelle che da allora, e fino alla fine, sarebbero state il nocciolo duro dei seguaci di Jones. Si stabilirono tra i vigneti della Redwood Valley a pochi chilometri da Ukiah, un paese di meno di 10.000 abitanti capoluogo della contea rurale di Mendocino, nel nordovest della California. Il quotidiano locale titolò “Ukiah dà il benvenuto nella comunità ai nuovi cittadini”, ma molti abitanti rimasero sempre diffidenti nei confronti dei nuovi arrivati, visto anche che molti di loro erano neri.

A Ukiah, Jones lavorava in continuazione per la comunità, a stretto contatto con i suoi membri, organizzando momenti di preghiera nei giardini delle abitazioni e assicurando tutti della buona riuscita della loro causa. I membri della comunità costruirono da soli la nuova chiesa, un semplice edificio in legno di sequoia.

Intanto il pensiero religioso di Jones stava subendo cambiamenti radicali. Partendo dal fatto che nella Bibbia Dio stesso giustificava molti atti di violenza, Jones iniziò a sostenere che l’adesione troppo fedele al testo fosse pericolosa, convinzione che più tardi avrebbe condensato nelle parole “la Bibbia uccide”. Scrisse un libretto in cui identificava sé stesso con il Messia del Cristianesimo, e durante i suoi sermoni arrivò a gettare a terra copie del libro sacro e a calpestarle. Qualche anno dopo, nella giungla della Guyana, i suoi fedeli erano fermamente convinti, da anni di sermoni, che la Bibbia era stata scritta dai bianchi per giustificare la schiavitù e l’oppressione dei neri.

San Francisco
E poi c’erano i miracoli. Jim Jones portava spesso a esempio del suo ruolo divino le guarigioni e le capacità di premonizione. Sembrava conoscere in anticipo i nomi delle persone che incontrava per la prima volta e guariva ciechi e zoppi durante le liturgie. Jones disse che poteva anche resuscitare i morti. Gli apparenti miracoli erano possibili grazie al gruppo più ristretto dei suoi fedeli, poche decine di persone che gli procuravano le informazioni necessarie alle sue rivelazioni apparentemente inspiegabili e organizzavano i trucchi più impressionanti.

Jones iniziò a fare pesante uso di farmaci, in particolare di anfetamine, per sostenere la sua attività continua per la comunità e i proclami di non aver bisogno di sonno. Allo stesso modo, Jones e i suoi collaboratori più ristretti utilizzavano farmaci e droghe per “punire” al momento giusto chi si era dimostrato poco convinto delle capacità sovrannaturali di Jones, per esempio avvelenando i cibi nel corso di una festa.

Iniziando dalle autorità della contea di Mendocino, la comunità di Jones si guadagnò in pochi anni sostenitori e amici. Presto si diffuse in tutta la California e in alcune città Stati Uniti. Il Tempio dei Popoli comprò tredici autobus Greyhound usati e iniziò un tour degli Stati Uniti, da Los Angeles a New York passando per Chicago, Detroit e Cleveland, che veniva pubblicizzato sui giornali locali con slogan come “il più grande guaritore, attraverso Cristo, presente oggi nel mondo”. I raduni diretti da Jones si concludevano con un invito a trasferirsi nella comunità della California, i “magnifici campi dell’Eden”.

Molti salirono sui pullman subito dopo la fine dei sermoni di Jones, per la maggior parte emarginati, senza fissa dimora, tossicodipendenti e madri sole e povere. La comunità di Ukiah aiutava chi aveva bisogno a uscire dalla droga, sosteneva economicamente le famiglie in difficoltà. Molti dei nuovi arrivati sentivano di essere entrati a far parte di una famiglia accogliente e benevola.

Jim Jones divenne sempre più famoso e richiesto, e iniziò a tenere raduni di preghiera nell’auditorium di una scuola superiore di San Francisco, la Benjamin Franklin Junior High. Nel 1972 vi trasferì la sede principale della sua comunità, comprando un edificio di tre piani, un ex tempio massonico con la facciata decorata, al numero 1859 di Geary Boulevard, tra il leggendario Fillmore Auditorium (dove avevano suonato Jimi Hendrix, Pink Floyd, Carlos Santana e tutti i gruppi rock più famosi della metà degli anni Sessanta) e un Kentucky Fried Chicken.

Nella primavera del 1973 iniziò un sermone dicendo: “Per una serie inspiegabile di ragioni, accade che io sia stato scelto per essere Dio”. Nella sua dottrina, che chiamava “socialismo apostolico” o “socialismo divino”, il ruolo di Jim Jones come autore di miracoli e salvatore dell’umanità si andava ampliando fino a mettere in ombra quello di Gesù Cristo.

Il lato più sinistro della presunta capacità di premonizione era l’abilità di prevedere gli attentati contro la comunità e la sua persona, dagli atti di intimidazione (come una sassaiola contro i vetri della chiesa) a un drammatico evento in cui alcuni uomini in motocicletta spararono verso Jones a un evento della comunità. Il predicatore si accasciò a terra con le mani al petto insanguinato, per tornare poco tempo dopo perfettamente “guarito”. Si trattava di una messa in scena dei suoi sostenitori più fedeli, organizzata con proiettili a salve e vernice rossa.

Dopo uno di questi finti attentati, nel 1974, all’ingresso dei luoghi di culto in cui predicava Jones venne organizzata una vera e propria perquisizione di tutti i partecipanti, mentre il predicatore si riferiva dal pulpito con toni sempre più minacciosi ed esaltati a immaginari nemici della comunità che mettevano in pericolo l’esistenza sua e dei suoi fedeli. Durante i sermoni Jones leggeva direttamente dai giornali degli episodi di cronaca più violenti di quegli anni, per dimostrare che era in atto un piano sistematico messo in opera dal governo per sterminare gli afroamericani. Alcune “guardie” delle sedi del culto iniziarono a portare armi, e più ci si avvicinava al centro della setta – a Jones – più cresceva l’atmosfera di sospetto, di segretezza e di militarizzazione.

Le comunità religiose di Jones rimanevano attivamente impegnate nell’aiuto agli emarginati e ai bisognosi di San Francisco e di Los Angeles, a cui offrivano cure mediche, cibo, aiuto legale e percorsi di disintossicazione. Il mondo politico si interessò del nuovo gruppo religioso, e nel 1975, all’apice del potere di Jones a San Francisco, il predicatore appoggiò pubblicamente l’elezione del sindaco George Moscone. In segno di riconoscenza, Moscone nominò Jones a capo della San Francisco Housing Authority, che curava la gestione dell’edilizia pubblica.

Da alcuni mesi Jones aveva invitato i fedeli a vivere in comune, in appartamenti presi in affitto dalla chiesa, in modo da realizzare un altro aspetto del “socialismo divino”. Prima di trasferirsi, i fedeli dovevano vendere o lasciare alla chiesa tutti i loro beni terreni.

Tra i molti modi che Jones utilizzò per legare a sè e alla chiesa i suoi fedeli c’erano fogli in bianco fatti firmare periodicamente al termine delle riunioni dei gruppi di preghiera o di discussione, chiamati “moduli di meditazione” o “di presenza”. Nello spazio sopra la firma poteva essere scritto di tutto, da deleghe di tutela legale a dichiarazioni di guarigione o a false confessioni: spesso era lo stesso Jones a dichiararlo, dicendo che stava mettendo alla prova dei fedeli.

I membri del consiglio direttivo, un organo di governo della chiesa formato da un centinaio di persone, dovevano scrivere e firmare di persona “confessioni” in cui dicevano di aver abusato delle proprie figlie o commesso altri gravi crimini. Le confessioni venivano ritirate e conservate negli archivi della chiesa, un’altra prova di fedeltà richiesta da Jones. Le defezioni non erano ammesse: chi provava a lasciare il culto veniva perseguitato e minacciato per molto tempo dai fedelissimi di Jones, che compravano spazio sui giornali per pubblicare l’annuncio funebre del fuoriuscito o noleggiavano carri da morto che parcheggiavano davanti alla sua abitazione. Dal pulpito, Jones non mancava mai di ricordare storie terribili di disgrazie o di morte che avevano per protagonisti i “traditori”. Allo stesso tempo, i giornali che pubblicavano storie critiche nei confronti del Tempio dovevano prepararsi a sostenere centinaia di telefonate e lettere di protesta dei lettori, insieme a minacciose lettere degli avvocati della chiesa.

Nel 1973, a San Francisco, Jones iniziò a parlare per la prima volta di suicidi che sarebbero potuti essere utili alla causa. Raccontò ai suoi più stretti collaboratori i progetti per eliminare interamente il consiglio di cento persone, formato da molte persone che avevano seguito Jones dall’Indiana. Uno dei modi su cui Jones stava riflettendo era quello di riempire degli autobus e farli precipitare dal Golden Gate Bridge. Un’altra possibilità era quella di far schiantare un aereo con a bordo il comitato. Jones arrivò a far prendere lezioni di volo a una delle sue molte amanti occasionali, una ragazza di ventun’anni di nome Maria Katsaris.

Jonestown, Guyana
A partire dal 1974 Jones iniziò a lavorare al nuovo progetto di una comunità agricola in Guyana, un paese del Sudamerica nordorientale. Inviò alcuni fedeli nel paese, su un terreno acquistato da lui, perché iniziassero a lavorare l’appezzamento nel cuore della giungla. Dopo diversi mesi di lavoro durissimo per liberare il terreno dalla giungla tropicale, la comunità era un insieme di baracche e campi ritagliati in mezzo alla densissima foresta equatoriale, a qualche chilometro dal piccolo villaggio di Port Kaituma; ma i resoconti che arrivavano negli Stati Uniti al resto della comunità dei fedeli, accuratamente suggeriti da Jones, parlavano di un luogo meraviglioso, nel cui clima perfetto le donne partorivano senza dolore.

Nell’estate del 1977, intanto, l’atmosfera per la chiesa in California si era fatta più difficile. Una serie di articoli raccolsero le testimonianze dei fuoriusciti del Tempio e raccontarono con abbondanza di argomenti i lati meno chiari del culto religioso. Uno degli articoli iniziava così: “Jim Jones è uno degli uomini con più forza politica, in questo stato. Ma chi è quest’uomo? E cosa succede dietro le porte chiuse della sua chiesa?” Gli ex membri del culto raccontavano sempre la stessa storia: Jones era inizialmente una guida compassionevole e attenta, che si era trasformata col tempo in un tiranno paranoico. Alcuni raccontarono i dettagli dei modi con cui venivano organizzate le finte guarigioni.

Dopo la pubblicazione del primo articolo critico verso il Tempio, Jones si trasferì in Guyana, dove passò diversi giorni alternando lunghe maledizioni ai nemici della comunità, trasmesse via radio negli Stati Uniti, a momenti in cui si drogava di farmaci fino all’apatia. George Moscone, il sindaco di San Francisco che Jones aveva contribuito a far eleggere, si rifiutò di aprire inchieste sull’operato del culto nella sua città. Dopo la fuga del capo, intanto, decine di volontari del culto iniziarono a premere sui fedeli perché si trasferissero in Guyana. Di solito si presentavano dopo la mezzanotte alla porta degli appartamenti comuni, e dicevano agli occupanti assonnati che Padre Jones li aveva chiamati nella terra promessa. Li aiutavano a fare i bagagli, evitavano che ricevessero o facessero telefonate, e chiarivano che quella sarebbe stata l’unica occasione per potersi trasferire a Jonestown gratuitamente. La durata della visita a cui erano stati invitati era tenuta nel vago, ma le comunicazioni interne allo staff erano chiarissime nell’indicarla come definitiva.

In quell’estate, intere comuni vennero svuotate nell’arco di pochi giorni, senza che alle famiglie e agli amici venisse data alcuna spiegazione. Un uomo che lavorava come macellaio tornò a casa una sera dopo il lavoro e non trovò a casa la moglie e i sette figli. Il suo appartamento era svuotato dei mobili, che erano stati portati via per essere venduti al negozio di oggetti di seconda mano della chiesa.

L’ex colonia britannica della Guyana era indipendente dal 1966. Il primo ministro della nuova nazione, Forbes Burnham, l’aveva dichiarata uno stato socialista (Forbes governò la Guyana in modo sempre più autoritario e violento con il passare degli anni, instaurando una dittatura personale che durò fino alla sua morte nel 1985). Negli anni Settanta la popolazione soffriva per la scarsità di cibo e per le malattie, e Burnham lanciò un programma dal semplice nome “Grow More Food”, invitando nel paese chiunque nel mondo volesse aiutare a coltivare i tre quarti del territorio ancora incolti, occupati dalla foresta e raggiungibili quasi solamente in barca, risalendo i fiumi.

La setta di Jones rispose all’appello, e affittò nel 1976 un’area di oltre quindici chilometri quadrati per circa mille dollari all’anno vicino al confine con il Venezuela. Il governo sperava di ottenere un doppio risultato dalla comunità agricola di Jones: fermare le ambizioni territoriali del Venezuela, che compiva continui attacchi militari nelle zone di confine, e dimostrare agli autoctoni che la coltivazione dell’interno era possibile e vantaggiosa. Da parte sua, il Tempio manteneva stretti contatti con membri del governo del paese attraverso un gruppo di giovani donne che abitavano a spese della chiesa a Georgetown, la capitale della Guyana: erano “prostitute politiche”, come si definì una di loro, che concedevano favori sessuali a ministri e diplomatici per ottenere l’accesso a informazioni riservate e tenere sotto controllo, per conto di Jones, l’atteggiamento del governo nei confronti della colonia di cittadini statunitensi che viveva nella foresta.

Dopo la campagna di stampa dell’estate 1977, centinaia di persone arrivarono a Jonestown, come veniva chiamato informalmente il gruppo di baracche in mezzo alla giungla della Guyana. Prima dell’estate ci abitavano circa un centinaio di persone: il lavoro era duro, ma il cibo non mancava e l’atmosfera era buona. L’arrivo improvviso di altre seicento persone, nell’arco di poche settimane, cambiò tutto. Ai nuovi arrivati veniva ritirato il passaporto e i documenti “per ragioni di sicurezza”. Lo spazio abitabile di ogni baracca era grande come un soggiorno, in cui erano costrette a vivere fino a diciannove persone su letti a castello a tre piani. Mancavano le porte. I bagni comuni erano all’esterno, file di assi di legno sopra buche scavate nel terreno.

Il governo degli Stati Uniti, attraverso la rappresentanza diplomatica in Guyana, monitorava periodicamente la comunità fin dal 1974, con valutazioni iniziali molto positive. Ma nel 1977 gli articoli della stampa californiana avevano reso le autorità statunitensi molto più sospettose. Jones, intanto, aveva fatto arrivare armi di contrabbando, una trentina di pistole e fucili Remington.

Sotto assedio
Nel settembre del 1977, mentre Jones era reso sospettoso e paranoico da pensieri di complotti alle sue spalle, e inseguito da azioni legali intentate contro di lui negli Stati Uniti, ricominciarono i finti attentati che avevano accompagnato l’ascesa del culto in California. Guardie armate del Tempio, agli ordini di Jones, si nascosero nella giungla intorno al villaggio e spararono colpi durante la notte verso la baracca in cui abitava il pastore. Questi dichiarò che la comunità era “sotto attacco”, la riunì nello spazio per le adunate e pronunciò discorsi incoerenti, lunghi ore, sull’attacco dei “fascisti” e dei traditori che avevano preso il controllo del paese e minacciavano la comunità. Gli abitanti vennero armati con forconi e coltelli, e dovettero rimanere per tutta la notte di guardia davanti alla giungla, in attesa di nemici immaginari.

Durante le adunate successive, il predicatore mise ai voti più volte la proposta del “suicidio rivoluzionario” per l’intera comunità, nel caso le cose fossero peggiorate ulteriormente. Era la prima volta che i fedeli del culto sentivano parlare di suicidio collettivo. Le prime due volte che propose la votazione, Jones non raccolse più di tre voti.

Dopo la morte della madre Lynetta, nel dicembre del 1977, l’unica che aveva un’influenza moderatrice su Jones e poteva permettersi di criticarne apertamente gli eccessi, il tema della morte iniziò a comparire sempre più spesso nei discorsi di Jones. Nel mezzo delle sue tirate contro i nemici veri o presunti della comunità, spesso lunghe, incoerenti e violente (Jones usava da anni parole volgari e oscene anche durante i sermoni dal pulpito) il predicatore parlava della necessità che i fedeli iniziassero a “programmare” la loro morte. Un evento così importante, diceva, non poteva essere lasciato al caso, ed era necessario programmarlo “per la vittoria del popolo, per il socialismo, per il comunismo, per la liberazione dei neri, per la liberazione degli oppressi”, come disse in un discorso pronunciato il 21 dicembre 1977.

I collaboratori più stretti di Jones progettavano il modo in cui si sarebbe potuto uccidere tutti gli abitanti della colonia, durante discussioni notturne sotto la direzione di Jones. L’unico medico della comunità era Larry Schacht, un 29enne che non aveva mai finito gli studi di medicina e che soffriva di una pesante forma di depressione. Il solo dottore in una comunità di circa mille abitanti, era pieno di lavoro. Nel suo giorno libero, il mercoledì, progettava il modo migliore per uccidere gli uomini che nel resto della settimana cercava di curare, crescendo colture di germi nocivi. Nelle riunioni notturne del gruppo di Schacht vennero discusse in dettaglio diverse soluzioni, tra cui accompagnare uno per uno i membri della comunità in un luogo isolato dove sarebbero stati uccisi con un colpo in testa, l’avvelenamento del cibo e dei pozzi o lasciare morire tutti di fame. Per evitare che si proponessero le soluzioni più terribili, un leader del movimento rimasto a San Francisco, al corrente dei piani di suicidio-omicidio, cercò di mandare in Guyana più munizioni per le armi.

Chi manifestava apertamente il desiderio di tornare a casa, o criticava le condizioni di vita di Jonestown, veniva assegnato a “squadre di rieducazione” costrette per giorni interi a lavori pesanti, e veniva criticato violentemente davanti a tutti da Jones, che li accusava di essere “controrivoluzionari” o “elitisti”, gli stessi termini usati in Cina o in Unione Sovietica contro i dissidenti. Gli altoparlanti trasmettevano fino a notte fonda i discorsi di Jones, che li leggeva in un altoparlante nella sua abitazione isolata su una collina e grande circa il doppio delle altre, o li registrava per quando sarebbe stato troppo rintontito dalle droghe o dall’alcool per leggerli. Quando Jones diceva di riportare le notizie dal resto del mondo, si trattava per lo più di notizie inventate sulle condizioni degli afroamericani negli Stati Uniti, che riportavano castrazioni forzate per le strade di Chicago o la distruzione di intere città a causa di scontri etnici. Venne introdotta una graduale censura delle lettere da e per la comunità.

Quando il console statunitense Richard McCoy arrivò nella comunità a metà gennaio del 1978 per una serie di controlli, seguendo le informazioni che parlavano di punizioni corporali e di come i membri fossero costretti a girare al Tempio tutto il denaro che arrivava dall’estero, trovò solamente persone disposte a giurare che a Jonestown erano perfettamente felici e che verso di loro non era stata fatta alcuna violenza. Anche chi era stato condannato alle squadre di lavoro non espresse alcuna critica su come la comunità veniva gestita.

La prima denuncia alle autorità degli Stati Uniti dello stato di separazione dal mondo esterno in cui erano tenuti gli abitanti di Jonestown arrivò nell’aprile del 1978, presentata a San Francisco da venticinque membri di un gruppo di fuoriusciti e parenti degli emigrati, i Concerned Relatives (“parenti preoccupati”). Il loro portavoce, Tim Stoen, disse che fino ad allora erano stati troppo spaventati per denunciare apertamente Jones. Questi, quando seppe della petizione, riunì la comunità e disse che “quasi tutti i vostri dannati parenti” erano coinvolti nella congiura delle autorità statunitensi per distruggere Jonestown. Dopo aver tenuto un lungo e confuso discorso, costrinse diverse persone a raccontare come avrebbero torturato i loro parenti, se ne avessero avuta la possibilità. Le confessioni, fatte spesso con toni esitanti, vennero registrate. Poi il discorso riprese, per ore. Al termine arrivò l’ennesimo richiamo al suicidio. In quei giorni, Jones fece pressione su Schacht perché velocizzasse le ricerche sugli strumenti per il “suicidio collettivo”.

E Schacht lo trovò. Dopo aver letto un articolo su una rivista specializzata australiana, che diceva che la dose letale di cianuro era di 250 mg, Schacht ordinò poco meno di mezzo chilo di cianuro di sodio, sufficiente ad uccidere quasi duemila persone, alla ditta J. T. Baker, un’azienda chimica di Hayward, in California. Il costo della sostanza fu di 8,85 dollari.

Leo Ryan
Leo Ryan, un deputato californiano democratico di 53 anni, era conosciuto per i suoi modi decisi e per alcune iniziative poco ortodosse per informarsi in prima persona dei problemi di cui si occupava. Quando era membro del Congresso della California, aveva trovato un lavoro come supplente in una scuola per documentare le condizioni dell’educazione nel sobborgo di Los Angeles di Watts, dove c’era stata una rivolta violenta della popolazione nera, e qualche anno dopo si fece rinchiudere per dieci giorni, usando uno pseudonimo, nella prigione di Folsom (quella diventata famosa per i concerti di Johnny Cash) per verificare le condizioni dei carcerati.

Nel 1977 Ryan aveva criticato al Congresso Scientology e la setta del reverendo Moon, ma non si interessò nello specifico al culto di Jones fino al 1978, quando un suo amico, Sam Houston, gli disse che era preoccupato per la moglie di suo figlio (morto poco tempo prima) e per le sue due nipoti, che si erano trasferite in Guyana. Houston mise Ryan in contatto con i Concerned Relatives, che si aggrapparono a lui come alla loro ultima speranza. Il primo novembre 1978, Ryan mandò a Jones un telegramma in cui annunciava che intendeva fare visita a Jonestown (e portare con sé una troupe televisiva della NBC). I membri della chiesa scrissero alla NBC e a Ryan per dissuaderli dal loro progetto, mentre Jones fece pressione sul governo della Guyana dicendo che permettere la visita sarebbe stato “un grave errore”.

Jones annunciò la visita ai residenti di Jonestown descrivendo Ryan come un violento razzista e giurando che non avrebbe mai messo piede nella colonia. In quei giorni le droghe e una forma di edema gli impedivano quasi di camminare.

Ryan arrivò in Guyana poco dopo la mezzanotte di mercoledì 15 novembre. Erano con lui una troupe della NBC, giornalisti del Washington Post, del National Enquirer e di due quotidiani di San Francisco, e una dozzina di parenti degli abitanti della colonia. Le autorità della Guyana cercarono in tutti i modi di intralciare la visita: un giornalista venne trattenuto in aeroporto con un’accusa fasulla per più di dodici ore, le prenotazioni degli alberghi dei membri del gruppo risultarono cancellate e la permanenza nel paese arbitrariamente ridotta a un giorno. L’ambasciata americana dovette intervenire diverse volte. Alla sede della chiesa di Georgetown, gli addetti alla sicurezza e tutti i membri della chiesa fecero capire chiaramente che la loro presenza non era gradita.

Il piccolo aereo noleggiato da Ryan partì verso Port Kaituma venerdì 17 novembre, con a bordo Ryan, la sua aiutante Jackie Speier, due funzionari americani, uno guyanese, i giornalisti e i parenti dei Concerned Relatives. Mentre l’aeroplano era in volo, Jones fece comunicare dalla torre di controllo di Georgetown che la pista di Port Kaituma era troppo fangosa per atterrare. Il pilota del piccolo bimotore la sorvolò e la trovò in perfette condizioni.

Ryan e Speier passarono la serata a un tavolo sotto il padiglione delle adunate di Jonestown, intervistando i residenti. Come sempre, nessuno parlò male della sua condizione e nessuno si dichiarò disposto ad andarsene: le sere precedenti all’arrivo di Ryan, Jones aveva tenuto i soliti discorsi minacciosi contro i delatori e i traditori della causa. Ma Speier notò che le risposte erano sempre molto simili e che gli abitanti sembravano intimiditi. Alcuni di loro, poi, che il deputato e la sua aiutante avevano chiesto espressamente di incontrare, non si presentarono: i membri del Tempio dissero che erano troppo malati o che erano impossibilitati a venire. Ryan consegnò alcune lettere di parenti preoccupati: gli abitanti le consegnarono, senza aprirle, ai membri della sicurezza del Tempio.

Al tavolo principale, Jones tenne un discorso sulle cospirazioni. I giornalisti si chiesero se Jones fosse sotto gli effetti di stupefacenti o semplicemente pazzo, sia per l’incoerenza del suo discorso, sia per il tono impastato e a tratti incomprensibile con cui lo pronunciò. Jones negò decisamente, alle precise domande dei cronisti, di aver mai sostenuto l’idea del suicidio di massa. Poi Ryan venne presentato alla comunità riunita sotto la struttura per le adunate. Nei filmati della NBC, Ryan appare tranquillo, rilassato, molto sicuro del proprio ruolo. Dice: “Dalle poche conversazioni che ho avuto con qualcuno di voi già questa sera, ci sono persone qui che credono che questa sia la cosa migliore che sia mai successa loro in tutta la loro vita”. I presenti applaudono molto a lungo, gridano, suonano, fanno rumore. Ryan li guarda con un sorriso imbarazzato, un po’ a disagio, e non riesce a riprendere a parlare.

Jones permise che solamente quattro persone (Ryan, la sua aiutante, e due funzionari, Dick Dwyer e Neville Annibourne) rimanessero a Jonestown per la notte. Gli altri sarebbero dovuti tornare a Port Kaituma. Mentre Dwyer stava lasciando il padiglione al termine della serata, un uomo gli si avvicinò e gli disse che si chiamava Vernon Gosney, e che se ne voleva andare “immediatamente” da Jonestown. Dwyer gli disse che ormai l’ora era troppo tarda e che ne avrebbero parlato il giorno successivo. Quando riferì l’incontro a Ryan, questi gli mostrò un biglietto che era stato passato di nascosto a un membro della troupe della NBC e che diceva solo: “Vernon Gosney e Monica Bagby. Aiutateci a lasciare Jonestown”.

Il giorno dopo, un’anziana donna di nome Edith Parks si avvicinò a Dwyer, che stava a poca distanza da Jones, e gli disse che lei e i sei membri della sua famiglia volevano andarsene. Quando Jones lo venne a sapere interruppe l’intervista con la NBC e, mentre le telecamere continuavano a registrare, si avvicinò a Edith pallido e stravolto pregandola di non abbandonare Jonestown. Lei e i membri della sua famiglia rifiutarono tutte le offerte di Jones di ritardare di un paio di settimane la partenza, lasciandolo allontanarsi solo e apparentemente distrutto. Edith era con lui dai tempi dell’Indiana. Un’altra ventina di persone prese coraggio e andò a chiedere a Ryan di poter ripartire con lui.

L’atmosfera intorno a Ryan si stava facendo tesa. Mano a mano che si avvicinava la sua partenza, moltissime altre persone si erano avvicinate per dirgli che volevano lasciare la colonia: Ryan stava registrando i loro nomi, ma molti altri abitanti di Jonestown lo guardavano ora in modo apertamente ostile. Dwyer decise che era meglio se il deputato si allontanasse subito dalla colonia, e decise di accompagnarlo personalmente al piccolo aeroporto di Port Kaituma. Mentre stavamo camminando verso il camion, si unì a loro anche Larry Layton, un uomo che poco prima avevano visto parlare fittamente con Jones: sospettarono che potesse essere un infiltrato, ma lo portarono con loro lo stesso.

Quando riuscirono ad arrivare all’aeroporto, trovarono due piccoli aerei ad aspettarli. Mentre caricavano i bagagli, comparve in fondo alla pista un grosso camion della colonia, che portava una dozzina di guardie di Jonestown. Il veicolo si fermò a circa 200 metri da loro. Poco dopo accese i motori e si avvicinò all’aereo fermo sulla pista, affiancandolo a circa dieci metri di distanza: molti del gruppo in partenza erano ancora a terra, tra cui alcuni giornalisti che discutevano animatamente su chi dovesse imbarcarsi sul primo aereo. Ciascuno di loro era ansioso di mandare il suo pezzo su Jonestown.

Sei uomini armati si alzarono dal cassone e saltarono a terra. Per prima cosa spararono alla ruota del carrello anteriore dell’aereo. Poi si rivolsero contro le persone. Bob Brown, un cameraman della NBC, riuscì a filmare l’attacco fino a quando un proiettile non gli si conficcò nella gamba.

Gli uomini armati si avvicinarono poi ai quattro feriti rimasti sulla pista e li uccisero uno a uno con un colpo alla testa. Tra questi, Bob Brown e Leo Ryan, il primo e unico deputato nella storia del Congresso degli Stati Uniti a essere stato ucciso mentre era in servizio. Una ventina di persone riuscì a salvarsi la vita chiudendo il portellone dell’aereo dopo l’inizio della sparatoria. I sei uomini risalirono sul camion e si allontanarono verso Jonestown, facendo segni di vittoria con le mani.

Nell’altro aereo, un piccolo Cessna a cinque posti che era dall’altra parte della pista, Layton estrasse una pistola che teneva nascosta sotto i vestiti, e ferì tre persone prima di essere disarmato. A bordo c’era anche Jackie Speier, l’aiutante di Lee Ryan. Oggi Jackie Speier è una deputata democratica, eletta nello stesso collegio che fu di Ryan.

A Jonestown, Jones chiamò a raccolta tutti gli abitanti della colonia con gli altoparlanti. Quando tutti furono sotto il padiglione, annunciò che era giunto il momento di commettere il “suicidio rivoluzionario”. Il discorso di Jones fu lungo, oltre tre quarti d’ora. Fu Jones stesso, come aveva fatto molte volte in passato, ad azionare il registratore prima di iniziare a parlare, e fu Jones stesso a interrompere la registrazione una trentina di volte per non registrare cose che non voleva venissero registrate. Il discorso inizia al passato: “How very much I’ve loved,” “vi ho amato veramente tanto”.


(trascrizione)

Jones disse che uno del gruppo in partenza era in realtà un suo uomo (Layton, probabilmente), e che avrebbe sparato al pilota dell’aereo quando questo si fosse alzato in volo. L’esercito della Guyana avrebbe invaso Jonestown, disse. I paracadutisti sarebbero arrivati per ucciderli e torturarli.

La mia opinione è che dobbiamo essere gentili verso i bambini e verso gli anziani e prendere il preparato [the potion] come facevano di solito nell’antica Grecia, e passare oltre tranquillamente, perché non ci stiamo suicidando. È un atto rivoluzionario. Non possiamo tornare indietro.

Jones disse che chiunque fosse contrario all’idea poteva prendere la parola. Parlò solo Christine Miller, 60 anni, di Brownsville, in Texas, che era arrivata in Guyana senza parenti e da mesi aveva chiesto a Jones di poter lasciare la colonia. Fu l’unica a dirsi contraria. Altre persone presero la parola, chi in lacrime, chi chiamando Jones “papà”, dad, ma tutti per dire che erano pronti a morire, se Jones riteneva che fosse il momento di farlo.

Jones fece portare un grosso bidone preso dalle cucine e lo fece mettere su un tavolo davanti al padiglione. Conteneva una mistura rosso scuro, preparata da Schacht, con succo di frutta, cianuro di potassio, Valium, idrato di cloralio (un anestetico) e cloruro di potassio. Gli aiutanti portarono bicchieri di carta e pacchi di siringhe. Il padiglione era circondato dalle guardie, una ventina delle quali erano armate. Nonostante l’annuncio dell’invasione imminente, erano rivolte verso l’interno del padiglione, e non verso la giungla.

Si formarono delle lunghe file davanti al tavolo. Molte madri portarono i loro figli e somministrarono loro “il preparato” se questi erano troppo piccoli per farlo da soli. Jones aveva ordinato di iniziare dai bambini. Dopo aver bevuto, le persone si sedevano tranquillamente nei campi vicino al padiglione, molti di loro in lacrime. Alcune persone fecero resistenza, qualche bambino iniziò a piangere disperatamente. Jones e altri salirono sul palco e, mentre l’avvelenamento continuava, dissero che morire era come “un po’ di riposo” e rassicurarono i presenti sulla vita migliore che li aspettava. Qualche volta Jones sgridò chi si lasciava andare “all’isteria”, e invitò tutti a “morire con un po’ di dignità”.

Aveva smesso di piovere, ma il cielo restava nuvoloso. Il veleno faceva effetto in pochi minuti, e le persone morivano con qualche convulsione e schiumando dalla bocca. Alcuni aiutanti prendevano i cadaveri e li disponevano in file ordinate, in modo da fare spazio agli altri. Altri giravano tra la gente e somministravano il veleno con le siringhe alle persone troppo sconvolte per camminare da sole fino al bidone. Molti, bambini e adulti, furono costretti a bere con la forza. Persino gli animali della colonia vennero uccisi, avvelenati o a colpi di pistola. Quando tutti gli abitanti della colonia, eccetto i pochi che riuscirono a fuggire nella confusione degli ultimi momenti, furono uccisi col veleno, e dopo che le guardie si suicidarono, molte con un colpo di pistola, Jones si sparò alla tempia.

La notizia del massacro arrivò alle autorità statunitensi nell’arco di pochi minuti, dopo che l’FBI riuscì a decifrare i messaggi in codice che da Jonestown erano partiti verso San Francisco e Georgetown, allo scopo di ordinare il suicidio anche ai membri della colonia momentaneamente altrove e ai membri del Tempio rimasti in California. Eccetto quattro persone, una donna e le sue tre figlie nella sede del Tempio nella capitale della Guyana, nessuno eseguì l’ordine. La notizia del massacro arrivò improvvisamente su tutti i mezzi di informazione americani la sera del giorno successivo, quando i canali televisivi e radiofonici interruppero la programmazione per trasmettere la notizia. Time e Newsweek misero le foto dei corpi in copertina, entrambi con lo stesso titolo: Cult of Death.

Morirono in totale 913 persone, 909 a Jonestown e quattro a Georgetown, a cui vanno aggiunti i cinque membri della spedizione di Ryan. Circa il 70 per cento dei membri del Tempio dei Popoli erano afroamericani. Un terzo erano anziani. 304 erano minorenni, di cui 131 minori di dieci anni. Tutti i cadaveri vennero portati negli Stati Uniti da aerei dell’esercito, dato che la Guyana rifiutò l’autorizzazione di seppellirli a Jonestown. Solo la metà furono seppelliti dai parenti: molti non avevano abbastanza soldi per pagare le spese di trasporto e di sepoltura, altri si vergognavano che un membro della famiglia fosse rimasto coinvolto nel “culto della morte”. I corpi di Jim e di Marceline Jones vennero cremati, e le loro ceneri disperse sull’Atlantico.

Dick Tropp, che nella colonia era un insegnante di inglese, lasciò prima di uccidersi una nota molto lunga, che iniziava così:

18 nov. 1978 – L’Ultimo Giorno del Tempio dei Popoli
A chiunque trovi questa nota:
raccogliete tutti i nastri, tutte le carte, tutta la storia. La storia di questo movimento, questa azione, deve continuare ad essere esaminata. Deve essere compresa in tutte le sue incredibili dimensioni. Le parole vengono meno. Abbiamo donato le nostre vite a questa grande causa. Siamo fieri di avere qualcosa per cui morire. Non abbiamo paura della morte. Speriamo che il mondo realizzi un giorno gli ideali di fratellanza, giustizia e uguaglianza per i quali Jim Jones è vissuto ed è morto. Abbiamo scelto tutti di morire per questa causa. Sappiamo che non c’è modo, per noi, di evitare le interpretazioni sbagliate. Ma Jim Jones e questo movimento erano nati troppo presto. Il mondo non era pronto per lasciarci vivere.

(attenzione: foto impressionanti)