Cambio di passo

Matteo Renzi ha quindi occupato il campo e può giocare la partita: ora gli mancano la squadra, l'allenatore e il modulo di gioco

di Luca Sofri

Il pensiero del Post sui rapporti tra Matteo Renzi e Pippo Civati resta quello che misi insieme qui qualche settimana fa, con lo stesso disincanto e la stessa richiesta di lucidità. Quello che è successo dopo e negli ultimi giorni rinnova e conferma sia le ragioni del disincanto che il bisogno di lucidità. È probabile che i due più avanzati esponenti di un rinnovamento e sopravvivenza del Partito Democratico abbiano trovato strade parallele su cui camminare per un po’, ma il loro cammino sarà molto più difficile se non trovano il modo di unire le forze, come ha capito saggiamente Pippo Civati andando a Firenze con molta umiltà e disponibilità.

E ha abbastanza ragione Civati anche nell’intervista di oggi a Repubblica, che il titolista cerca di rendere più aggressiva di quello che non sia (d’altronde, la giornata alla Leopolda era diventata una notizia da apertura per siti e giornali solo quando era arrivato un telegrafico e inutile scambio a base di asini tra Bersani e Renzi). Come dice Civati, quasi tutto quello che è emerso in termini di contenuti dalla riunione della Leopolda era stato presentato, discusso, messo sul piatto in pubbliche occasioni successive negli ultimi anni, e in particolare in quella sempre alla Leopolda 2010. È come se Renzi, che si è mosso più tardi di altri promotori del ricambio a livello nazionale – avendo legittimi altri impegni fiorentini – fosse passato in ritardo dal “complesso dei contenuti”, l’accusa usata spesso strumentalmente contro ogni nuova classe dirigente a cui si chiedono cose che non si chiedono alla vecchia (è più chiara e articolata l’eventuale piattaforma di leadership di Rosy Bindi? O di Chiamparino? O persino di Bersani?) e a cui nessuno è davvero interessato (che sono numerosissime da anni, da parte di Serracchiani, da parte di Civati, da parte di Renzi, eccetera).

Renzi ha voluto rintuzzare quelle accuse con un carico da cento (che quasi nessuno leggerà o ricorderà tra una settimana), e da un punto di vista di comunicazione il weekend della Leopolda è stato un fruttuoso e indiscutibile salto di qualità. Come ha scritto Concita De Gregorio, adesso Renzi c’è: “spostati ragazzino, lasciaci lavorare” non potranno più dirlo, gli assediati della vecchia classe dirigente. Ma se è vero che i “100 punti” sono stati una specie di cartellino da timbrare per accreditarsi (ognuno sarà d’accordo con alcuni, in disaccordo con altri), nel sostenere che manchi la “politica” Civati è un po’ ingeneroso e un po’ nel giusto. Perché la politica di Renzi è una politica, e il suo è un modo di fare la politica che ha il pregio – letto da molti come un difetto – di conoscere i tempi e l’Italia e non pretendere di riferire tutto a meccanismi e cliché che vanno evidentemente ripensati (chi continua a riferirsi come modello di leader a Enrico Berlinguer, si illude che il mondo di oggi sia quello del 1976: giusto o no, non lo è e non lo tornerà).

Ma è anche vero che il progetto Renzi – “un po’ candidato”, come dice Civati – ha bisogno di strutturarsi idealmente e concretamente, sempre che non voglia limitarsi a creare la burrasca necessaria ad accogliere Zingaretti come un rassicurante compromesso: scenario tra i meno improbabili. Il progetto Renzi ha bisogno di essere altro che non solo una persona e i suoi pensieri – non sempre leggibilissimi -, ha bisogno di altre teste, ha bisogno di prendere esempio da Montezemolo (solo in questo, per carità) e costruire e aggregare un gruppo, un movimento, una “corrente” nel senso di un’idea strutturata e fattiva alternativa a quella dell’attuale classe dirigente del Partito Democratico: a partire dai partecipanti alla Leopolda e dai loro progetti ma andando oltre. L’alternativa non può essere concentrata in una persona, che peraltro fa il sindaco di Firenze (oggi spiega che non è sicuro di poter essere alla manifestazione del PD a Roma) e non ha ancora detto cosa vuole fare, ed è riuscita a raccogliere un pesante carico di personalissime insofferenze da cui dovrà lavorare per liberarsi.

Se Renzi lo vorrà fare coinvolgendo Civati e il suo lungo lavoro di costruzione di reti, partecipazione, competenze, rispetto, sarà più facile. Se, come sembra probabile, le distanze personali prevarranno – che poi la politica e la vita sono fatte soprattutto di persone e psicologie – gli si consiglia di essere lungimirante abbastanza da non darlo a vedere, e creare un letterale “movimento” – dentro e fuori il PD – con cui cambiare l’Italia e da oggi: farlo da soli, con la prima pietra della tramvìa da posare, è più difficile.