Come sono andate le cose alla Camera, oggi

La versione di Andrea Sarubbi, deputato del Pd, che ha tenuto i conti

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
14-10-2011 Roma
Politica
Camera – voto fiducia su comunicazioni presidente consiglio
Nella foto: Silvio Berlusconi acclamato dai suoi dopo il voto
Photo Mauro Scrobogna /LaPresse
14-10-2011 Roma
Politics
Chamber of Deputies – vote of confidence on Prime Minister statement
In the picture: Silvio Berlusconi

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
14-10-2011 Roma
Politica
Camera – voto fiducia su comunicazioni presidente consiglio
Nella foto: Silvio Berlusconi acclamato dai suoi dopo il voto
Photo Mauro Scrobogna /LaPresse
14-10-2011 Roma
Politics
Chamber of Deputies – vote of confidence on Prime Minister statement
In the picture: Silvio Berlusconi

La discussione intorno al voto di fiducia alla Camera, oggi, impazza più del solito, soprattutto in rete, perché oggi le variabili in ballo sono state maggiori di altri voti sul governo recenti. E perché le opposizioni hanno provato a sfruttare i numeri mancanti alla maggioranza approfittando delle norme sul numero legale. Le conseguenze, e il ruolo dei radicali, sono molto dibattute. Andrea Sarubbi del PD, accurato e alacre protagonista e testimone delle sedute alla Camera, soprattutto col suo account su Twitter, ha fatto questi conti e queste valutazioni sul suo blog.

Le opposizioni, tutte insieme, non superano quota 303. Può darsi che mi sbagli di uno o due, ma la sostanza non cambia: per sfiduciare il governo serve che 6 o 7 deputati della maggioranza gli votino contro, o che una quindicina non si presentino. Poi uno ogni volta può illudersi, guardando le cose da fuori, e aspettarsi chissà quale sorpresa; per noi che stiamo lì dentro, invece, la matematica ha ancora un senso. Il vero dubbio di oggi, facendo due conti, non era che Berlusconi avesse più o meno deputati delle opposizioni; era, semmai, che avesse abbastanza deputati (315) per garantire il numero legale e dunque rendere valido il voto. Se si fosse fermato a 314, per dire, si sarebbe trovato senza fiducia: il che, da un punto di vista regolamentare, avrebbe provocato soltanto una votazione bis, probabilmente lunedì o martedì, ma dal punto di vista politico sarebbe stato oggettivamente imbarazzante, sempre ammesso che l’imbarazzo sia una sensazione a lui conosciuta. Il regolamento della Camera calcola il numero legale non in base alla votazione, ma in base alla presenza in Aula; così, per non essere conteggiati, tutti noi (Pd, Idv, Udc, Fli, Api, minoranze linguistiche, radicali) abbiamo deciso di non entrare nell’emiciclo, neppure durante il dibattito. L’idea comune era quella di aspettare la fine della prima chiama (ce ne sono due, come sapete), ossia il primo giro di deputati, per capire se il Centrodestra fosse o meno in grado di garantire la validità del voto: appena raggiunta quota 315 da parte loro, noi saremmo entrati in Aula ed avremmo votato normalmente. Come è andata lo sapete: a votare la fiducia sono stati in 316, uno dei quali – sedicente frondista, fino a qualche ora fa – è arrivato a cose ormai fatte, per non restare fuori dal buffet. Sarebbero stati 315, a posteriori, ma quando i radicali hanno deciso di entrare in Aula e votare, garantendo comunque il numero legale, nessuno poteva saperlo con certezza: neppure io, che – insieme ad altri 5 o 6 colleghi – ero stato delegato dal gruppo a contare i voti, uno per uno, per tenere il polso della situazione e poter poi decidere se entrare in Aula o no. Marco Beltrandi, quello che fece saltare l’election day, è entrato per 298esimo, a prima chiama ancora in corso; via via tutti gli altri, e a quel punto è saltato il tappo: sono entrate prima le minoranze linguistiche (a numero legale ormai raggiunto, per la verità) e poi, alla seconda chiama, tutti noi. So che alcuni si aspetteranno un mio commento sui radicali. Io credo invece di averne già parlato abbastanza, in queste settimane, e non avrei molto da aggiungere: condivido tutte le loro battaglie – quella sulla Libia lo dimostra – quando sono battaglie di merito; quando invece sono iniziative per la propria visibilità, o quando cercano una sponda politica con il governo per ottenere qualcosa in cambio, non possono trovarmi dalla loro parte. Poi, per carità, uno può nobilitarle come vuole. Ma tra qualche mese vedremo se il fine di quella telefonata di Pannella – che ha costretto tutti i suoi ad entrare, nonostante il dibattito interno fosse piuttosto vivace – sarà stato nobile davvero, come spero, o se anche loro hanno ceduto al fascino dell’happy hour nel bazar di Silvio.

(leggi per intero sul blog di Andrea Sarubbi)