15 canzoni di Paul Simon

Tanti auguri - che è il più bravo di tutti (più di Bob Dylan?) - e le sue canzoni migliori da sentire qui

Musician Paul Simon, plays at the conclusion of the induction ceremony for the American Academy of Arts and Sciences, At Harvard University, in Cambridge, Mass., Saturday, Oct. 1, 2011. Simon was among the 179 influential artists, scientists and institutional leaders inducted into the American Academy of Arts and Sciences. (AP Photo/Josh Reynolds)

Musician Paul Simon, plays at the conclusion of the induction ceremony for the American Academy of Arts and Sciences, At Harvard University, in Cambridge, Mass., Saturday, Oct. 1, 2011. Simon was among the 179 influential artists, scientists and institutional leaders inducted into the American Academy of Arts and Sciences. (AP Photo/Josh Reynolds)

Oggi, giovedì 13 ottobre 2011, Paul Simon compie settant’anni. È stato da poco invitato a cantare The sound of silence alla cerimonia ufficiale per i dieci anni dagli attentati di New York, e nel celebrare il suo compleanno il giornale online Salon ha chiesto che lo si ritenga uno dei grandi della canzone americana al pari di Bob Dylan, Lou Reed e Neil Young, e non un gradino sotto. Il Post aderisce alla mozione e pubblica la rituale playlist del peraltro direttore Luca Sofri (che sottovaluta molto la parte terzomondista del repertorio di Simon), tratta dal suo omonimo libro.

The sound of silence
(Wednesday morning, 3 AM, 1964)
Magari ve la rovino, ma pare che “hello darkness, my old friend” traesse la sua ispirazione dal fatto che Paul Simon – l’ha raccontato lui – amava comporre al buio in bagno, per via dell’eco creato dalle piastrelle. In una versione acustica “The sound of silence” era uscita nel primo disco del duo, che era andato malino. Loro si erano separati e si stavano facendo i fatti loro – Paul Simon era in tour con un suo disco in Inghilterra – quando qualche radio americana cominciò a passarla e il produttore Tom Wilson (che aveva appena finito di lavorare a “Like a rolling stone” di Dylan) decise di riarrangiarla più rock senza nemmeno avvertirli. Quando seppe che era entrata in classifica, Simon stava suonando a Copenhagen. Rientrò in America, e con Garfunkel si precipitarono a registrare un nuovo disco, mentre “The sound of silence” arrivava al numero uno.

I am a rock
(Sounds of silence, 1966)
Sono uno scoglio, sono un’isola: si cita John Donne, poeta inglese seicentesco e la sua Nessun uomo è un’isola. Sullo star soli, chiudersi a casa con i propri libri e le proprie cose distanti dal mondo e dagli altri, al sicuro: “uno scoglio non soffre, e un’isola non piange mai”. Malgrado faccia dell’ironia, il ritmo è talmente allegro che uno quasi si convince all’esilio. L’aveva incisa Paul Simon già nel 1965, nel suo disco senza Garfunkel. Una barzelletta racconta che fosse la canzone preferita di Saddam Hussein: “I am Iraq!”.

Homeward bound
(Parsley, sage, rosemary and thyme, 1966)
“I’m sittin’ in the railway station got a ticket for my destination” Paul Simon la scrisse quando era in Inghilterra, e voleva tornare a casa.

A hazy shade of winter
( Feeling groovy, 1967)
Il pezzo più rock di Simon e Garfunkel, con un giro di chitarra da antologia. Ne fecero una cover ancor più tosta le Bangles, che fece il giro del mondo.

Mrs. Robinson
(Bookends, 1968)
C’è una cosa che si sa: fu scritta per Il laureato. Ma il testo non c’entra niente con il personaggio di Ann Bancroft. È vero che si riferiva a Eleanor Roosevelt (“goin’ to the candidates debate…”)? È vero che parla di Marilyn (in questo caso il “candidato” sarebbe Kennedy, e poi c’è Joe Di Maggio)? Lei è in un ospedale, vero? O in un centro di recupero? E “coo coo ca choo”, è lo stesso di “I am the walrus” dei Beatles? Forse sì, no, sì, sì, boh.

Old friends
(Bookends, 1968)
Vecchi amici, anziani su una panchina, visione del futuro: inevitabile una riedizione nel 2011 con un video di loro due settantenni su una panchina in Central Park, e foglie morte che svolazzano.
“Can you imagine us years from today,
Sharing a parkbench quietly
How terribly strange to be seventy”

Bookends theme
(Bookends, 1968)
“Time it was, and what a time it was…”

At the zoo
(Bookends, 1968)
“Someone told me it’s all happening at the zoo”
“E gridare aiuto aiuto è scappato il leone”, aggiungerei.

America
(Bookends, 1968)
Racconto di un viaggio da giovani spiantati e spensierati, “in cerca dell’America” su un bus Greyhound, in cui si intravede una metafora di generazioni e cambiamenti. Lo stesso vale per i pensieri e le delusioni che arrivano durante il viaggio.

Bridge over troubled water
(Bridge over troubled water, 1970)
E che vuoi dire di “Bridge over troubled water”, gospel da antologia?: “Sail on silver girl, sail on by…”.

The boxer
(Bridge over troubled water, 1970)
È quella di “lailalài”, che Paul Simon spiegò poi dicendo che non gli era venuta nessuna parola da metterci, e che ancora oggi quando la canta è un po’ imbarazzato. Un’intera strofa – quella che comincia con “now the years are rolling by me”, che si può ascoltare nel concerto di Central Park – fu tolta dalla registrazione originale, ma poi è stata quasi sempre eseguita dal vivo.

Still crazy after all these years
(Still crazy after all these years, 1975)
“Ieri sera ho incontrato la mia vecchia fidanzata, per strada: sembrava contenta di vedermi, io ho appena sorriso”. Comincia così, piccola storia di tempo che passa, ricordi e commozioni: “ancora due matti, dopo tanti anni”.

Late in the evening
(One trick pony, 1980)
Dichiarazione d’amore in forma di autobiografia musicale. Ma il testo è un pretesto per un formidabile divertissement di fiati e percussioni che prelude alle cose africane che Simon vorrà fare negli anni seguenti. Fu usata nella colonna sonora di un fallimentare film con lo stesso Simon, One trick pony.

René and Georgette Magritte with their dog after the war
(Hearts and bones, 1983)
Il 19 settembre 1981 Simon e Garfunkel si riunirono per un mitologico concerto in Central Park, a Manhattan. Sembrò che dovessero tornare a fare dischi assieme, e c’erano già le canzoni pronte. Ma erano molto paulsimonesche e le avrebbe cantate Garfunkel, e quindi entrambi erano scontenti: così non se ne fece niente. Simon ci la-
vorò sopra e ne fece un disco da solo, stupendo. Una canzone prendeva il titolo dalla didascalia di una 435 vecchia foto di René Magritte e sua moglie, e immaginava la coppia nelle sue piccole gioie e passioni, dondolando dolcemente il ritornello.

The late great Johnny Ace
(Hearts and bones, 1983)
Splendida autobiografia per drammi musicali, scritta poco dopo la morte di John Lennon e cantata per la prima volta al concerto di Central Park (durante l’esecuzione, uno squinternato salì sul palco e interruppe Paul Simon, che poi riuscì a finire la canzone). Comincia come un ricordo di Johnny Ace, cantante che si era sparato nel 1954 giocando alla roulette russa. “When a man came on the radio, and this is what he said: he said, I hate to break it to his fans, but Johnny Ace is dead”. Paul Simon racconta che lui non era un grande fan di Ace, ma la notizia lo colpì e scrisse perché gli mandassero una sua foto, che arrivò firmata “from the late great Johnny Ace”. Poi Simon ricorda il decennio precedente – “era l’anno dei Beatles e degli Stones” – e la musica che stava cambiando la sua vita. Fino a un natale del 1980, quando uno sconosciuto per strada gli chiese se aveva sentito che avevano sparato a John Lennon. E finiscono assieme a bere e a suonare in un bar, “for the late great Johnny Ace”. E qui si piange, durante la chiusa di archi, meravigliosa.