C’è poco da stare allegri

Che cosa dice l'inquietante articolo di copertina dell'Economist di questa settimana

Ieri il parlamento tedesco ha approvato lo stanziamento di nuovi fondi per l’European Financial Stability Facility (EFSF), il fondo di stabilità europeo istituito per fronteggiare la crisi. I titoli bancari francesi, dopo le difficoltà delle ultime settimane, sono cresciuti di oltre il 20 per cento in due giorni, e ieri la giornata delle borse europee è stata molto positiva. Nonostante i segnali incoraggianti, sulla copertina dell’Economist di questa settimana c’è scritto “Be afraid” (“Preoccupatevi”) in mezzo alla raffigurazione artistica di un buco nero. L’analisi del settimanale britannico è che in questi giorni rimangano ancora molti motivi di preoccupazione per lo stato dell’economia mondiale, e che i piccoli passi avanti recenti rischino di rivelarsi addirittura controproducenti.

I problemi principali, dice l’Economist, sono tre. I leader europei sono ancora lontani dal raggiungere un accordo su come salvare l’euro: “il massimo che si può dire è che ora hanno un piano per avere un piano, probabilmente verso l’inizio di novembre”. In secondo luogo, anche se l’Europa eviterà i pericoli più gravi e immediati, le politiche di austerità fiscale avranno comunque un effetto depressivo sulla crescita proprio mentre anche le economie emergenti (come la Cina) mostrano segni di rallentamento. Il terzo problema è l’attuale situazione negli Stati Uniti, dove la classe politica minaccia di nuovo di stroncare la ripresa.

I timidi europei
I politici europei hanno finalmente compreso che bisogna agire con maggiore decisione, e si stanno concentrando su quelle che, anche secondo il settimanale, sono le reali priorità: mettere in atto meccanismi di difesa per paesi che possono pagare i loro debiti e hanno “solo” un problema di liquidità (ovvero di fiducia, ovvero di trovare abbastanza investitori disposti a prestare loro dei soldi per finanziarsi), come l’Italia; sostenere le banche; agire con più decisione a proposito della Grecia (due settimane fa, l’Economist aveva sostenuto la necessità di lasciarla fallire). L’obiettivo dei politici europei è avere un piano pronto per il prossimo G20, che si terrà a Cannes il 3 e il 4 novembre.

Su che cosa fare in concreto, però, i paesi europei sono divisi, e non è una novità. La Germania pensa che il problema principale sia lo scarso rigore fiscale e quindi concede con difficoltà sostegno ai meccanismi di salvataggio e ai fondi di stabilità, che anche dopo l’approvazione del finanziamento di ieri continuano ad essere insufficienti per essere veramente efficaci. E se i mercati si stabilizzano mandando segnali confortanti, argomenta l’Economist, molto probabilmente la classe politica europea non sarà abbastanza spaventata per mettere in atto le misure decisive che sono ancora da prendere.

Gli Stati Uniti non se la passano meglio
Negli Stati Uniti, intanto, il mercato azionario viene da un’estate di ribassi e i consumi non risaliranno nel prossimo futuro, secondo gli indicatori economici. In questo scenario, gli sgravi fiscali concessi da Bush e rinnovati una prima volta da Obama scadranno alla fine di quest’anno, così come alcune garanzie finanziarie per i disoccupati: ne seguirà un aumento molto considerevole della pressione fiscale, che ha effetti depressivi sull’economia e sui consumi in particolare.

I repubblicani e i democratici devono ancora trovare un nuovo compromesso sul deficit e sul piano di Barack Obama per la creazione di posti di lavoro, per evitare che dal 2012 le tasse strozzino ulteriormente l’economia e che nel 2013 si rendano necessari nuovi tagli alla spesa pubblica. L’Economist dice che entrambi i partiti sembrano in realtà più interessati a lavorare con l’obbiettivo della campagna presidenziale del 2012, invece che per arginare la rischiosa situazione dell’economia.

Conclusione: è un problema di classe politica
L’Economist conclude che i politici fanno soprattutto due errori: uno è quello di insistere nel preferire l’austerità fiscale alle misure per la crescita. L’orientamento del settimanale in materia di politica economica è sempre stato uno classical liberal (come dice il suo stesso direttore), decisamente favorevole al libero mercato e per un ridotto intervento dello stato nell’economia, e questo si riflette nel continuo invito ai governi, attraverso i suoi editoriali, di lasciar da parte le idee di nuove tasse per promuovere invece misure come liberalizzazioni, privatizzazioni e tagli alla burocrazia.

Il secondo errore, dice il settimanale, è la mancanza di onestà. La Merkel deve spiegare chiaramente ai tedeschi che il problema non riguarda solo la pigrizia dei greci o degli italiani, ma anche il sistema bancario tedesco e francese. Deve anche spiegare che salvare l’euro sarà costoso, ma che d’altra parte l’uscita di un qualsiasi paese dalla moneta unica sarebbe devastante. Negli Stati Uniti, invece, i repubblicani stanno facendo ostruzionismo sulle iniziative del governo in modo irresponsabile, ma anche Obama ha favorito lo scontro sociale sulle questioni fiscali. Le misure da prendere, dice l’Economist avrebbero bisogno di un coraggio che agli attuali leader dei paesi occidentali sembra mancare.

foto: PATRICK KOVARIK/AFP/Getty Images