• Mondo
  • Domenica 18 settembre 2011

Chi era Dag Hammarskjöld

La storia del segretario delle Nazioni Unite che cambiò per sempre l'organizzazione, morto cinquant'anni fa in un incidente che continua a essere giudicato sospetto

di Giovanni Zagni

Il 18 settembre 1961, cinquant’anni fa, l’aereo che trasportava l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjöld e altre quindici persone si schiantò vicino a Ndola, una delle città più grandi della Rhodesia del Nord (oggi Zambia). Lo svedese Dag Hammarskjöld fu il secondo segretario delle Nazioni Unite, in carica per due mandati consecutivi dal 1953 al 1961. Il suo operato come uomo politico, le circostanze sospette dell’incidente aereo in cui morì e la sua profonda spiritualità, che divenne nota al grande pubblico solo dopo la sua morte, lo resero una figura molto conosciuta e un simbolo dell’uomo di Stato che si mette al servizio totale della comunità fino alla morte.

Uppsala
Dag Hammarskjöld nacque nel 1905 a Jönköping, una città della Svezia meridionale. Era l’ultimo di quattro fratelli e apparteneva a una famiglia ricca: come ricorda lui stesso, da parte di padre discendeva da diverse generazioni di funzionari pubblici e militari, al servizio del re di Svezia fin dal sedicesimo secolo. Lo stesso cognome di famiglia sarebbe nato quando il re concesse uno stemma con un martello (hammare) e uno scudo (sköld) ai progenitori di Dag. Da parte materna invece discendeva da studiosi e pastori luterani. In un certo senso, le sue origini spiegano già molto di Hammarskjöld: il suo fortissimo spirito di servizio e di sacrificio, la consapevolezza di sé e della propria missione, l’intensa religiosità.

Passò gran parte della giovinezza a Uppsala, oggi la quarta città della Svezia e sede di un’università molto antica, dove la famiglia si trasferì nel 1907 al seguito del padre, che era diventato governatore della provincia. Il padre di Dag, Hjalmar, fu in seguito primo ministro di Svezia dal 1914 al 1917. Gli anni a Uppsala lasciarono un grande ricordo su Dag, che nella locale università studiò legge e economia politica. Uno degli ultimi testi che scrisse fu La collina del castello, una sorta di breve memoria autobiografica dei tempi della sua giovinezza a Uppsala, e ricostruisce a molti anni di distanza, con una sorta di prosa d’arte ricca di descrizioni e di immagini poetiche, il ciclo delle stagioni intorno al Castello di Uppsala, la massiccia struttura del XVI secolo che era (ed è tuttora) la residenza del governatore provinciale e il centro amministrativo della città.

Studente brillante, Hammarskjöld seguì la tradizione di famiglia intraprendendo la carriera del funzionario statale. Nel 1936, due anni dopo la laurea, entrò nella Banca Nazionale di Svezia, prima come segretario e poi, dal 1941, come presidente. Le sue doti di economista gli fecero guadagnare anche diversi incarichi politici a partire dagli anni Quaranta, e anche se non si iscrisse mai a nessun partito, nel 1951 fu nominato ministro senza portafoglio in un governo socialdemocratico. Nello stesso anno iniziarono i suoi incarichi presso l’ONU (in precedenza, Hammarskjöld aveva già rappresentato la Svezia in molti organismi e incontri internazionali, come la conferenza che stabilì il Piano Marshall) e, quando il norvegese Trygve Lie si dimise dalla carica di segretario generale delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza indicò proprio Hammarskjöld per sostituirlo.

Le Nazioni Unite
Dag Hammarskjöld assunse la carica di segretario generale dell’ONU nell’aprile del 1953. Per la diplomazia, si trattava di tempi difficili: la Guerra di Corea era alle sue battute finali, la Guerra Fredda era ormai una situazione drammaticamente reale – negli Stati Uniti si era nelle fasi finali del maccartismo, la caccia ai comunisti statunitensi, reali o immaginari – e la fine del colonialismo era ormai imminente. Senza contare la perennemente difficile situazione mediorientale.

Hammarskjöld affrontò tutti questi problemi seguendo alcuni principi fondamentali, al di là della sua indiscutibile abilità personale nella politica e nella diplomazia. Per prima cosa cercò di aumentare l’autonomia e la capacità di intervento dell’ONU, insistendo perché si creasse un gruppo di funzionari stabile e che questi ultimi non venissero semplicemente “prestati” per un tempo limitato dai vari paesi. L’ONU doveva avere una sua amministrazione in cui i funzionari potessero fare carriera interna.

In secondo luogo, l’ONU doveva intervenire, con decisione e con indipendenza di giudizio, nelle situazioni di crisi internazionali. Spesso si recò personalmente, o inviò suoi diretti rappresentanti, nelle zone in cui nascevano violenze o tensioni. Negoziò di persona il rilascio di prigionieri statunitensi durante la guerra di Corea, inviò per la prima volta nella storia dell’organizzazione forze dell’ONU con funzioni di peacekeeping per impedire che degenerasse la crisi di Suez (1956) e intervenne anche nella crisi ungherese. Quanto alle decisioni politiche, Hammarskjöld sostenne i diritti delle piccole nazioni che cercavano l’indipendenza, anche a costo di contrapporsi alle grandi potenze, e appoggiò il processo di decolonizzazione: in questo modo si attirò molte critiche da parte dei paesi occidentali.

La morte
Nel 1960 una nuova crisi si aprì in Congo, che in quell’anno divenne indipendente dal Belgio. La situazione nel paese era molto complessa: la provincia del Katanga, nel sudest del paese, si dichiarò indipendente, sostenuta da soldati belgi e con l’interesse molto vivo delle compagnie minerarie europee. Il leader secessionista, Moise Tshombe, rifiutò la proposta delle Nazioni Unite di sostituire ai soldati belgi quelli dell’ONU, temendo di perdere un sostegno militare alla secessione. L’altra parte in lotta, il governo del Congo del primo ministro Lumumba, era sostenuta dall’Unione Sovietica, che si dichiarò molto insoddisfatta del ruolo assunto nella situazione da parte delle Nazioni Unite. In un celebre discorso davanti all’Assemblea Generale, Khruschev chiese di sostituire la carica di segretario generale allora rivestita da Hammarskjöld con un “triumvirato”, formato da un rappresentante dei paesi occidentali, uno dei paesi sovietici e uno dei paesi di nuova indipendenza. Hammarskjöld rispose con un netto rifiuto, ricevendo gli applausi dell’Assemblea.

Per cercare di risolvere la complessa situazione, in cui i soldati di una missione delle Nazioni Unite cominciavano a essere coinvolti pesantemente in azioni militari e in attacchi contro i civili per porre fine, in sostanza, al movimento secessionista del Katanga, Hammarskjöld si recò di nuovo nell’Africa meridionale per incontrare le parti in causa e negoziare un cessate il fuoco. In Congo si trovavano al momento circa 20.000 soldati delle Nazioni Unite.

La sera del 17 settembre, intorno alle 18, il segretario generale delle Nazioni Unite partì insieme ad altre quindici persone dalla capitale del Congo, Leopoldville (oggi Kinshasa) su un quadrimotore Douglas DC-6 della compagnia charter svedese Transair, diretto a Ndola, a sudest, dove avrebbe dovuto incontrare il leader secessionista Tshombe. Poco dopo l’una di notte del 18 settembre, dopo molte ore di volo, l’aereo si schiantò in una zona ricoperta dalla foresta vicino alla città di Ndola, in Rhodesia del Nord, che allora era un “regno federato” dipendente formalmente dalla corona britannica, ma già avviato all’indipendenza (dalla federazione nasceranno nel 1964 gli stati dello Zambia, dello Zimbabwe e del Malawi). L’unico superstite dello schianto fu Harold Julian, una guardia del corpo, ma morì tre giorni più tardi.

Nel 1961, poche settimane dopo l’incidente aereo, a Dag Hammarskjöld fu assegnato il premio Nobel per la Pace. Fu uno dei soli due casi in cui il vincitore di un premio Nobel era morto al momento dell’annuncio dell’assegnazione del premio (l’altro fu il premio Nobel per la Letteratura del 1931, Erik Axel Karlfeldt). I regolamenti furono modificati leggermente nel 1974 in modo da evitare che si potesse ripetere un’attribuzione postuma.

Le cause dell’incidente
Sull’incidente aereo si condussero almeno tre inchieste ufficiali, una delle Nazioni Unite e le altre delle autorità della Rhodesia, con un ruolo di primo piano di funzionari britannici. Nessuna riuscì a stabilire con precisione le cause dell’incidente, indicando solo un probabile errore del pilota, ma allo stesso tempo nessuna trovò prove di un attentato o di un abbattimento del velivolo.

Da subito, però, la sua morte venne vista da molti come sospetta e Dag Hammarskjöld viene considerato oggi, generalmente, vittima di un attentato: dietro cui ci sarebbero, alternativamente, i servizi segreti britannici (dato che il Regno Unito, come il Belgio, era interessato al controllo delle miniere di rame del Katanga), l’Unione Sovietica, il Belgio o gli Stati Uniti. La lentezza nei soccorsi venne giudicata sospetta, dato che il relitto dell’aereo fu trovato solo quindici ore dopo l’incidente a pochi chilometri di distanza dall’aeroporto di Ndola.

I sospetti continuano ancora oggi: proprio in occasione del cinquantesimo anniversario della morte sono comparse nuove ricostruzioni e nuove ipotesi sulla sua morte. Il dibattito si è riacceso a causa di un articolo del Guardian che ha riportato circa un mese fa le conclusioni di un operatore umanitario svedese, Göran Björkdahl, che negli ultimi tre anni ha intervistato presunti testimoni oculari del disastro che vivevano nei villaggi vicini ed erano “troppo spaventati per farsi avanti”. Secondo Björkdahl, le testimonianze e gli altri elementi da lui scoperti proverebbero che un secondo aereo abbattè il DC-6 che trasportava Hammarskjöld, e che l’esercito rhodesiano intervenuto nella zona del disastro nascose le prove e ritardò i soccorsi. I responsabili più plausibili sarebbero il Regno Unito e gli Stati Uniti, scontenti dell’intervento ONU in Congo.

Oltre alle ricerche di Björkdahl, pochi giorni fa è stato pubblicato anche Who Killed Hammarskjöld, della ricercatrice londinese Susan Williams. Il libro critica il modo in cui vennero condotte le inchieste delle autorità della Rhodesia e conclude che ci sono molte prove del fatto che lo schianto non fu accidentale. Knut Hammarskjöld, 89 anni, nipote di Dag e suo più prossimo discendente, ha chiesto che venga aperta una nuova inchiesta pubblica per tenere conto delle ultime scoperte.

Davanti a questa ripresa delle teorie sull’assassinio di Hammarskjöld, Brian Unwin, uno dei funzionari britannici presenti a Ndola la notte dell’incidente, ha risposto sul Guardian respingendo con molta decisione tutte le accuse. Un’inchiesta dell’Associated Press pubblicata pochi giorni fa dal Washington Post, basata su nuove ricerche, sostiene che la causa più probabile dell’incidente sia stato un errore dei piloti dovuto alla stanchezza: i piloti delle Nazioni Unite in servizio durante la crisi del Congo erano soliti volare più volte al giorno, per più di otto ore, con lunghe attese tra un volo e l’altro che aumentavano la probabilità di incidenti dovuti alla stanchezza e al calo di attenzione.

Tracce di cammino
Hammarskjöld, che conosceva diverse lingue, amava molto la letteratura, la musica e la pittura (oltre ad avere un interesse per la botanica). Dopo la sua morte, nella sua abitazione di New York si trovò un diario scritto su diversi fogli dattiloscritti contenuti in un raccoglitore, accompagnato da un biglietto non datato che diceva a Leif Belfrage, sottosegretario svedese agli Affari Esteri e amico di Dag, di “prendersene cura” e di pubblicarlo, se lo ritenesse opportuno. Il titolo era, in svedese, Vägmärken (“segni”, “tracce”).

Il libro contiene una serie di brevi annotazioni che sembrano essere state scritte da Hammarskjöld nel corso di tutta la sua vita adulta, e che si fanno più fitte con il passare degli anni: per il periodo che va dal 1925 al 1949 ci sono solo una ventina di pagine, più o meno lo spazio occupato dalle annotazioni per il solo 1961. Con il passare del tempo le poesie si fanno sempre più frequenti. Di solito sono componimenti brevi: Hammarskjöld inserì nel libro anche diverse poesie di soli tre versi che volevano imitare la metrica (e i temi) degli haiku giapponesi. Una poesia di una trentina di versi occupa anche l’ultima pagina del diario, datata 24 agosto 1961, tre settimane prima della sua morte.

I temi sono quasi unicamente spirituali e filosofici, ruotando intorno alla solitudine, alla sofferenza nella vita quotidiana, al rapporto con Dio. Il libro è percorso da diverse contrapposizioni dolorose e insanabili: tra la vita attiva del funzionario pubblico e la vita contemplativa dell’uomo religioso e devoto, tra le tentazioni della carne e l’ascetismo del dovere. Un paio di annotazioni (per esempio una del 1952) vagheggiano l’idea del suicidio. Vengono citati molto spesso testi e autori molto celebri della mistica cristiana medievale: in primo luogo L’imitazione di Cristo, testo di enorme successo in tempi antichi e moderni scritto intorno al XIV secolo, ma ricorrono anche Giovanni della Croce, Meister Eckhart e il filosofo e scrittore ebraico Martin Buber (1878-1965), verso cui Hammarskjöld aveva una grandissima ammirazione.

Hammarskjöld, oggi
Il suo operato energico e indipendente alla guida dell’ONU lo rese un personaggio molto celebre e apprezzato già in vita, ma la sua fama postuma aumentò molto dopo la pubblicazione di Tracce di cammino, che uscì in Svezia nel 1963 e venne in breve tempo tradotto in diverse lingue. La prima edizione italiana è del 1966, per Rizzoli, con il titolo Linea della vita; una nuova edizione e traduzione, con il titolo Tracce di cammino, è stata pubblicata nel 1992 dalle Edizioni Qiqajon della Comunità monastica di Bose, poi più volte rivista e ristampata. Molti libri sono stati dedicati alla sua spiritualità (forse più di quelli che riguardano il suo operato politico) e Hammarskjöld ha trovato spesso un posto nei dizionari biografici o enciclopedici dei mistici.

Al di là degli aspetti spirituali, l’operato di Hammarskjöld è stato importantissimo per definire e ampliare i ruoli del segretario generale delle Nazioni Unite e della stessa organizzazione. Per la prima volta, con Hammarskjöld, l’ONU è stata una forza di primaria importanza nello scenario della politica internazionale globale. La risolutezza della sua leadership, ricorda il suo principale biografo Brian Urquhart, “non è mai stata eguagliata”, e questo è ancora più notevole, aggiunge, se si tiene conto del difficile e pericoloso momento storico in cui questa si è svolta, e il fatto che al momento della sua elezione nessuno si aspettava un’azione così energica da parte di un ligio e scrupoloso funzionario statale come Hammarskjöld era stato fino ad allora.

Dag Hammarskjöld rimane una figura molto importante in Svezia. A Uppsala ha sede la Fondazione Dag Hammarskjöld, che intende portare avanti l’eredità di Hammarskjöld nel campo della politica internazionale, raccoglie documentazioni e saggi sulla sua figura e organizza iniziative commemorative o di studio. La banca nazionale svedese ha annunciato lo scorso aprile che la nuova banconota da 1000 corone (il taglio più grande) avrà l’immagine di Hammarskjöld.

foto: AP-Photo