Dove va Civati

Intervista al possibile prossimo segretario del PD sull'importanza di avere una rete che raccoglie 50 mila firme per il referendum, sul PD e Penati, sulle primarie di coalizione, sulle elezioni anticipate, e sul suo essere il possibile prossimo segretario del PD

di Luca Sofri

Dopo che avevo scritto qualche tempo fa della validità del sodalizio politico tra Matteo Renzi e Pippo Civati, e della delusione di molti simpatizzanti del Partito Democratico per l’apparente declino di quel sodalizio, qualcuno mi ha segnalato un altro dato interessante per capire la sua potenziale forza: ovvero l’estensione numerica e territoriale della rete di sostenitori – “gli attivisti di Prossima Italia” – che Civati ha saputo costruire in questi anni in tutta Italia (Civati è consigliere regionale in Lombardia e presidente di uno dei forum nazionali del PD), e la sua forza operativa che si sta dispiegando in questi giorni nella raccolta di firme per i referendum sulla legge elettorale. Il Post ne ha voluto chiedere direttamente a lui – a un mese dall’appuntamento bolognese che ha organizzato con Debora Serracchiani – e parlare anche di altri temi a cui si gira molto intorno con poca chiarezza.

Quante firme risultano raccolte a oggi?
Intorno alle quattrocentomila, una stima credibile. Il weekend decisivo è questo, perché poi ci sono i tempi tecnici di raccolta, spedizione e controllo alla sede nazionale.
Quindi le raccolte pubbliche sono operative fino a quando?
Sono operative fino alla fine del mese, il mio consiglio, però, è quello di attivarsi subito, sia per chi vuol raccogliere, sia per chi vuol firmare. La raccolta dura tre mesi, solo che quelli estivi ce li siamo un po’ giocati, tra schermaglie e vacanze, diciamo.
E una volta consegnate che tempi si prevedono su un eventuale accoglimento?
Questo non si sa con chiarezza, ma la scelta di partire d’estate è funzionale alla possibilità di riuscire a votare il prossimo anno per il referendum, altrimenti ci sarebbe stato il rischio di scivolare al 2013.
Hai letto Michele Ainis sul Corriere, stamattina? Dice che firma volentieri per i referendum, ma secondo lui sono inammissibili.
Il rischio c’è, lo scrissi anch’io, ma i promotori rassicurarono tutti
Cosa ha fatto la rete di Prossima Italia per la raccolta delle firme?
Beh, abbiamo fatto un macellum. Con Prossima Italia abbiamo distribuito moduli per più di cinquantamila firme, abbiamo messo in contatto i famosi territori con il comitato nazionale. Personalmente, poi, mi sono riservato una quota per consumo personale che ho distribuito, “di persona personalmente” dalla Valsusa a Reggio Emilia, dalla mia città alla Puglia, dove andrò tra qualche ora. All’inizio sembrava come Forrest Gump quando inizia a correre. Poi il fenomeno è diventato collettivo.

Come descriveresti oggi le posizioni del PD sulla raccolta?
Penso che ancora una volta i protagonisti siano stati gli elettori del PD. Hanno determinato l’agenda del partito molto più di quanto abbiano fatto i dirigenti, che hanno dato prova di incertezza, confusione e irresolutezza. Il PD è un partito che offre il meglio di sé dal basso verso l’alto, diciamo.
Ma oggi i dirigenti ti sembrano riallineati e il loro appoggio soddisfacente? O c’è altro che il PD “ufficiale” potrebbe fare?
Il PD ora è in partita. A me interessa l’obiettivo politico. È l’unica cosa che conta, non la resa dei conti all’interno, che poi non porta da nessuna parte, come ampiamente dimostrato. In ogni caso, l’altra cosa curiosa è che ora tutti dicono cose che fino ad un anno fa sarebbero state impensabili: a cominciare dalla battaglia per le primarie per i parlamentari, da me condotta in totale solitudine in direzione nazionale. Anche questo è merito di una mobilitazione interna al PD, tra i suoi elettori. Che chiedono solo di essere ascoltati e guidati.
Con obiettivo politico ti riferisci al raggiungimento delle firme necessarie?
Come obiettivo mi riferisco alla battaglia referendaria, certamente, ma anche a una diversa concezione della politica, in cui quello che si muove nella società civilissima di questo Paese sia considerato con prontezza e responsabilità dal principale partito italiano. Siamo ancora fermi a Gargonza, nel dibattito tra politica e società, e fa un po’ sorridere, perché il mondo è cambiato e anche il dibattito pubblico nel nostro Paese.
Ma questo non implica rischi di derivepopulistiche, demagogie, e svilimento del ruolo di guida e filtro e competenza delle leadership? Non è che poi quando nella società civilissima si muove qualcosa di discutibile, non ci sia più la forza per contrastarlo?
Per nulla. Perché le questioni sollevate sono profondamente politiche. Pensa alla necessità di unire la coalizione di centrosinistra, che è una questione irrisolta. Bersani, Di Pietro e Vendola non si sono mai incontrati in pubblico, nonostante i ripetuti inviti (anche miei). E questa per esempio è una richiesta forte da parte di tutto l’elettorato del centrosinistra. Per ora, siamo al “Tre uomini e una gamba”, in cui tutti attendono messianicamente l’arrivo del Terzo Polo, che poi molto probabilmente non arriverà. Questo è un altro messaggio da raccogliere. Quanto al rischio della deriva populista sulla proposta politica, compito di un grande partito è interpretare le spinte che provengono dalla società con una funzione che in filosofia si direbbe trascendentale: organizzando il consenso su proposte di governo, credibili e di qualità. Al vento servono i mulini, per rendere tutta questa energia una funzione vitale per il Paese.
Di occasioni, peraltro, ne abbiamo perse già molte. I ritardi sull’acqua, ad esempio. Ma anche la questione della casta, che non è stata interpretata politicamente da nessuno, con i rischi che si arrivi sì a una deriva, perché nessuno ha ancora fatto nulla di significativo.
Come mai l’eventuale ripristino del Mattarellum suscita anche diffuse perplessità?
Il ritorno al Mattarellum suscita preoccupazioni in chi non ha una coalizione credibile: il problema è soprattutto della Lega, che si troverebbe a esprimere candidati insieme al Pdl. E infatti non reggerebbe al cambiamento del sistema elettorale (che ha inventato la Lega, guarda caso). Se vuoi, per il nostro campo è una straordinaria occasione: immagina la possibilità di costruire candidature condivise da tutti i partiti del centrosinistra, a parlamentari scelti come si scelgono i sindaci, davvero rappresentativi della propria comunità e individuati attraverso percorsi democratici, senza imposizioni “romane”. Perché per me il Mattarellum è sempre e comunque accompagnato dalle primarie locali. Per il ruolo di guida dei partiti un 25% di quota proporzionale è largamente sufficiente.
È la fine della vocazione maggioritaria?
No, è il suo compimento. Perché la vocazione maggioritaria non può essere che realizzata così, non solo attraverso conventiones ad excludendum. SeL chiede le primarie per il premier, di coalizione? Benissimo, le si facciano, di coalizione, anche per i parlamentari. L’IdV chiede la trasparenza e di uscire dall’epoca di Scilipoti? Ottimo, individui candidati spendibili che si possano confrontare nei collegi. Per i famosi equilibri, perché quelli rimangono, c’è il dato proporzionale, lo ripeto. Se vogliamo un Parlamento che sia una vera Assemblea costituente dobbiamo immaginarlo così, con le energie migliori, con la qualità delle persone, non con il trionfo delle correnti e delle nomine.

C’è ancora la possibilità che le primarie di coalizione non si facciano, secondo te?
Secondo me, sarebbe un errore gravissimo, non farle. Non credo che nessuno possa immaginare di saltare questo passaggio, anche se, prima di scendere in campo, ci vuole il campo. E bisogna accelerare, confrontarsi sulle proposte e sull’idea di Paese che vogliamo offrire agli elettori. Come dimostra il caso di Milano, alla massima apertura deve corrispondere la miglior cultura di governo. La responsabilità di chi come Stefano Boeri si mette a disposizione del progetto, pur ‘perdendo’ le primarie. E fa vincere anche il suo partito.
Secondo te, se ci si arrivasse, a Renzi – o ad altri nel PD – dovrebbe essere consentito di partecipare in deroga allo statuto che impone che il solo candidato sia il segretario?
Questione delicatissima, perché noi ci siamo sempre richiamati, anche alla Leopolda l’anno passato, allo Statuto del PD, a cominciare dal rispetto del limite dei mandati e alla scelta primaria delle primarie. E lo Statuto prevede che il candidato sia naturalmente il segretario, eletto con le primarie. Quello che dovrebbe fare un partito maturo, è aprire un dibattito sull’argomento, nell’assemblea nazionale, senza pregiudizi, né chiusure pregiudiziali. E dovrebbe farlo alla svelta, anche per capire una cosa piccola piccola a cui nessuno sembra far caso: che per ora Bersani non si è candidato… Perché se non si candida lui, le primarie sono aperte. Non solo a Renzi, o alla giovane donna che ha detto di voler candidare, ma anche a chi – a cominciare da Rosy Bindi – ha fatto capire di essere interessata…
Bersani non è inevitabilmente candidato, per come la mette lo statuto?

Qualora il Partito Democratico aderisca a primarie di coalizione per la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri è ammessa, tra gli iscritti del Partito Democratico, la sola candidatura del Segretario nazionale.

Lo è di norma, ma se non si vuole candidare, perché ha un altro nome in mente, o perché non lo ritiene utile, o perché – come sembrava qualche mese fa – si vuole candidare Casini, le cose cambiano. La ratio della norma è questa, mi pare. In ogni caso, sia che si intenda precisare la norma, sia che si intenda candidare qualcuno di diverso, è l’assemblea nazionale del Pd, con i suoi mille e mille delegati, a decidere.

Da uno come te, per le cose che dici da sempre, ci si aspetta che il tuo auspicio sia però per un’apertura massima, per dare opportunità al ricambio e alle alternative, per non sedersi su questa leadership su cui sei spesso critico: è così, oppure pensi che ridiscutere anche le leadership interne ora generi ulteriori problemi?
No, se ne può parlare, anzi, si deve farlo: però bisogna discuterne nel rispetto delle regole e in un dibattito serio, non solo attraverso le dichiarazioni sui giornali e le autocandidature. La scorsa settimana di candidati possibili ce n’erano addirittura cinque. E ricordo che chi fa il segretario del PD è passato attraverso un congresso e attraverso le primarie per scegliere segretario, appunto, e candidato premier.
Come è fatto “un dibattito serio”, per capirsi e non usare sempre formule generiche?
Si pone la questione in assemblea nazionale, dove noi siamo sempre andati a far proposte, e si chiariscono i termini dell’eventuale competizione. L’anno scorso facemmo la stessa cosa proponendo le primarie dei parlamentari e il limite dei mandati. In un caso ci ascoltarono almeno un po’ e si votò. E ora, come dicevo, a distanza di qualche mese, ne parlano tutti. L’assemblea nazionale è convocata ogni tre mesi, più o meno. Si può proporre un ordine del giorno e partire dalla modifica dello Statuto, se si vuole porre la questione in termini politici. Chi si vuole candidare al posto di Bersani, dovrebbe fare così.
Secondo te quale strada dovrebbe prendere il PD rispetto alla crisi politica berlusconiana? Continuare a chiedere dimissioni, proporre un’alleanza di grosse koaltion, chiedere le elezioni, o cosa? O lasciar fare e starne fuori?
Secondo me, ci vuole il voto. Le soluzioni di transizione e di unità nazionale paiono improbabili, in un Parlamento di fatto largamente delegittimato. Non credo a soluzioni che vedano la partecipazione di Alfano e di Maroni. E segnalo che comunque tra un anno e mezzo si voterebbe. Bersani a Pesaro ha ribadito di voler costruire la coalizione di centrosinistra e valutarne un allargamento. Lo aveva già detto lo scorso anno, e per ora si è solo valutato l’allargamento (prima si comprendeva anche Fini, ora ci si limita a Casini) senza aver costruito la coalizione di centrosinistra. Ripartirei da qui. E soprattutto da quello che si è mosso in questi mesi nella società italiana. Che è ricchissima di idee e di spunti.

C’è qualcosa di ancora non detto da parte dei dirigenti del PD sul caso Penati? O condividi la linea “non parliamo delle cose che escono sui giornali fino a sentenze” e “lui ha fatto un passo indietro e ci basta”?
C’è quasi tutto da dire, per trasformare la questione “morale” in questione politica a tutti gli effetti. C’è da lanciare una grande campagna contro la corruzione e per la riforma dei rapporti della politica con i soggetti economici e della sua organizzazione interna, a cominciare da finanziamento e selezione dei gruppi dirigenti. C’è da prendere le distanze dal tratto correntizio e a volte clientelare che riguarda anche il Pd. E c’è da capire cosa è successo davvero, tra Sesto e la Serravalle, senza limitarsi a frasi di circostanze. Perché sono soprattutto le circostanze che vanno chiarite. E diffusamente spiegate.
Perché nessuno delle nuove generazioni del PD dice al segretario “vogliamo spiegazioni”? Non è ugualmente preoccupante sia che la dirigenza nazionale sapesse oppure che non sapesse?
Beh, lo stanno chiedendo tutti, senza malizia, da settimane. Personalmente l’ho fatto in varie occasioni e ovviamente i sostenitori dell’attuale maggioranza del PD mi hanno dato dello stronzo. Minacciare querele e non rispondere alle domande (anche se vengono da Libero) è sbagliato. Bisogna dare il doppio delle spiegazioni, non la metà. E deve farlo tutto il PD, non solo Bersani, perché i “casi” vanno da Milano alla Puglia, passando dall’Umbria e dal Lazio, e sono “casi” nostri.
Tu insisti quindi che i temi del partito siano discussi davvero e nelle sedi appropriate: ma in quelle sedi tu cosa andrai a dire, concretamente, sui destini e le scelte future? Civati, dove va?
Quello che dico in direzione nazionale, in assemblea, lo dico in giro per l’Italia, lo scrivo e discuto tutti i giorni sul blog: è diventato un fatto collettivo e non solo personale grazie a Prossima Italia. Ora sono a Matera, dove sono stato a confronto con associazioni e partiti locali. Sono battaglie per la democrazia interna e soprattutto esterna. Sono cose che cambiano il PD e la politica italiana, se sviluppate con coerenza e determinazione. La priorità per me è la coalizione e la scelta, da parte dei cittadini, dei nostri rappresentanti in Parlamento, due questioni centrali, imprescindibili. La questione della premiership dovrebbe porla chi si candida alla premiership. Per me, che sono tra i pochi a non averlo fatto, c’è la voglia di organizzare il centrosinistra, di dargli qualità e modernità e di costruire relazioni, “ospitando” le proposte dei movimenti e della società in generale. E poi ci sarà un Congresso del PD, nel 2013, e magari sarà la volta buona per capire dove va Civati.