I cinquant’anni all’asciutto del Vasa

Era il fiore all'occhiello della marina svedese, andò a picco in pochi minuti e rimase affondata nel porto di Stoccolma per tre secoli, fino al 1961

di Emanuele Menietti – @emenietti

I trenta marinai attesero il segnale, poi si misero a correre insieme avanti e indietro sul ponte di coperta del Vasa. Sotto il caldo sole estivo fecero un’andata, un ritorno e un’altra andata prima di ricevere il comando dall’ammiraglio Klas Fleming di fermarsi immediatamente. Il vascello aveva iniziato a oscillare e c’era il concreto rischio che potesse imbarcare acqua e rovesciarsi.
«Se almeno fosse qui sua Maestà» commentò sconsolato l’ammiraglio mentre il Vasa si agitava imbizzarrito nel porto.

Carpentieri, falegnami, vetrai e intagliatori avevano il loro bel da fare nei primi giorni di agosto del 1628 nel cantiere navale di Skeppsgården in Svezia. Stavano mettendo a punto gli ultimi dettagli del Vasa, il vascello più costoso costruito fino ad allora nel paese e destinato – loro ignari – a entrare nei libri di storia e nei manuali di nautica per la sua disastrosa e brevissima carriera nautica. Decorato a festa e pieno di cannoni pronti a sparare a salve, il Vasa venne varato per il viaggio inaugurale il 10 agosto e affondò rovinosamente nelle acque del porto di Stoccolma dopo aver percorso meno di 1300 metri. Il mare inghiottì l’intero vascello, che rimase sul fondale per oltre tre secoli, prima di essere riportato a galla con una ambiziosa operazione di recupero eseguita nella primavera del 1961. Quest’anno si festeggiano i cinquant’anni del ritorno in superficie del vascello e della prima esposizione al pubblico, che avvenne nel novembre del ’61 a 333 anni dall’affondamento. Questa è la storia del Vasa, degli uomini che lo costruirono, della sua ingloriosa fine e di un paese che ha trasformato un enorme e storico fallimento in un successo tecnico e in una delle sue principali attrattive turistiche, collocata oggi vistosamente al centro di Stoccolma.

La Svezia nel XVII secolo
Gustavo II Adolfo di Svezia era un tipo molto ambizioso. Era diventato re nel 1611 e aveva deciso di proseguire la politica di militarizzazione, legando a questa l’economia del paese. Dopo essere stato per secoli un paese poco influente e povero nella storia dell’Europa del Nord, a partire dal 1600 la Svezia diventò uno dei principali protagonisti nel Baltico grazie al rafforzamento delle proprie capacità militari e una maggiore centralizzazione nella gestione del governo. In pratica lo Stato puntò tutto sulla potenza bellica, legando a questa la propria economia. La Svezia aveva un buon esercito, ma non si poteva dire altrettanto della sua marina, e Gustavo II decise di porvi rimedio.

Nei primi anni del Seicento, la marina svedese era principalmente costituita da piccole navi solitamente poco equipaggiate. Simili imbarcazioni potevano essere costruite in poco tempo e con poco denaro, inoltre erano l’ideale per pattugliare le aree di mare lungo le coste del Baltico. Molti altri Stati erano all’epoca dotati di potenti marine con vascelli molto grandi e l’ambizioso Gustavo II si convinse che anche la Svezia dovesse dotarsi di navi più grandi per mostrare la propria potenza agli alleati ed essere più minacciosa nei confronti dei possibili nemici del regno, anche oltre il Baltico: «Subito dopo Dio, il maggior garante del Regno è la flotta» diceva. Il re commissionò la costruzione di una flotta di cinque grandi vascelli e il Vasa sarebbe dovuto essere l’ammiraglia, la nave più grande e potente dell’intera flotta svedese.

Il Vasa
Il nome della nave faceva riferimento allo stemma del Casato di Vasa, termine che letteralmente significa “covone di grano”, ovvero la dinastia reale di Svezia salita al potere nel 1523 e che sarebbe durata fino al 1654. La costruzione del vascello iniziò nel 1625, anche sulla base delle misure fornite da Gustavo II, e subì diversi ritardi a causa di alcuni problemi finanziari al cantiere navale e alla mancanza di materiali per essere completato. Lo scafo fu terminato nel 1627, ma per l’aggiunta del resto del materiale fu necessario più tempo del previsto: l’industria svedese non era per esempio in grado di costruire vele di grandi dimensioni e molte materie prime furono ordinate all’estero.

I lavori andavano a rilento, ma il re premeva perché la nave fosse terminata rapidamente per rimpolpare la flotta e avere maggiori possibilità nella guerra contro la Polonia. Poche settimane prima del varo, la prova effettuata dall’ammiraglio Klas Fleming con i trenta marinai rivelò seri problemi di stabilità, ma negli ultimi giorni il re aveva inviato diverse lettere chiedendo che il vascello fosse pronto al più presto e senza ulteriori ritardi.

La nave aveva una lunghezza complessiva di 69 metri con uno scafo di 47,5 metri ed era larga 11,7 metri. L’altezza dalla chiglia alla bandiera di maestra era di 52 metri, mentre la parte di poppa era alta 19,3 metri. Il Vasa pesava circa 1.210 tonnellate e le sue dieci vele coprivano complessivamente un’area di 1.275 metri quadrati. Era armato con 64 bocche da fuoco, aveva un equipaggio di 145 uomini e poteva ospitare fino a trecento soldati, non presenti al momento del viaggio inaugurale.

Il viaggio inaugurale
La domenica del 10 agosto 1628 a Stoccolma c’era bel tempo con una leggera brezza da sud ovest. I pontili del porto erano stracolmi di persone, accorse per assistere alla partenza della nave più imponente e importante della flotta svedese. Davanti a numerose autorità, ma non al re che era impegnato in guerra, il capitano Söfring Hansson ordinò di far partire la nave per il suo primo viaggio, che l’avrebbe portata nel vicino porto di Älvsnabben. Il vascello fu trainato per alcune centinaia di metri e furono issate quattro vele, che avrebbero dovuto consentire alla nave di muoversi verso la meta.

Lentamente, il Vasa iniziò la navigazione tra gli applausi e le grida della folla esultante. I portelli dei cannoni erano tutti aperti e ci fu una scarica a salve per festeggiare solennemente la partenza della nave. Pochi minuti dopo una folata di vento fece inclinare la nave, ma con un’abile manovra il timoniere riuscì a recuperare. Una seconda folata di vento fece inclinare nuovamente il vascello, che iniziò a imbarcare acqua dai portelli dei cannoni del ponte inferiore rimasti aperti. La massa d’acqua piegò ulteriormente il Vasa che rapidamente si inabissò ad appena 120 metri dalla costa e dopo meno di un chilometro e mezzo di viaggio. Morirono almeno cinquanta delle cento persone a bordo tra membri dell’equipaggio, ufficiali, donne e bambini.

Il Consiglio di Stato comunicò il fallimento del viaggio inaugurale al re attraverso una lettera, che lo raggiunse un paio di settimane dopo il disastro:

Una volta uscita nel golfo all’altezza di Tegelviken, la nave prese un po’ di vento e cominciò a piegarsi molto sotto vento, per poi raddrizzarsi ancora un po’; arrivata però all’altezza di Beckholmen, si piegò completamente sul lato, l’acqua entrò attraverso i portelli dei cannoni e la nave si inabissò lentamente con tutto il suo arredo di vele e di bandiere.

L’inchiesta
Il re rispose furiosamente alla lettera del Consiglio, chiedendo l’immediata istituzione di una inchiesta per punire i responsabili dell’incidente, determinato sicuramente da «imprudenza e da negligenza». Il capitano Söfring Hansson, sopravvissuto all’affondamento, fu imprigionato e sentito dagli inquirenti: giurò di aver controllato e ricontrollato che tutti i cannoni fossero debitamente legati, cosa che escluse la possibilità che la nave si fosse sbilanciata così tanto a causa del loro spostamento da un lato all’altro dell’imbarcazione. Hansson confermò poi che tutto l’equipaggio era completamente sobrio, smentendo un’ipotesi che era molto circolata nelle ore successive al disastro: era domenica e avevano preso poche ore prima la comunione, spiegò l’ufficiale.

La commissione di inchiesta, formata da diversi ammiragli e alcuni consiglieri del re, consultò tutti i sopravvissuti all’incidente e gli appaltatori che gestirono la costruzione del vascello. In pochi giorni fu chiaro che i due gruppi avevano iniziato ad accusarsi a vicenda e le prove raccolte non portarono molto lontano: tutti avevano sostanzialmente fatto il proprio dovere.

L’inchiesta si concentrò allora su chi materialmente aveva costruito il Vasa e si era occupato dei progetti. Fu interpellato il costruttore di navi Hein Jacobsson, che però se la cavò dicendo di aver semplicemente rispettato gli ordini di Henrik Hybertsson, il progettista olandese che aveva ideato la nave e che era morto l’anno precedente. Hybertsson a sua volta aveva seguito le richieste del re sulle dimensioni del vascello e il suo equipaggiamento. Quando iniziarono a diventare evidenti le responsabilità del sovrano, l’inchiesta si arenò arrendendosi alla Provvidenza divina come spiegazione più plausibile.

Le cause
L’affondamento del Vasa non fu solamente un duro colpo per l’immagine della Svezia, ma anche per le casse dello Stato. Tra materiali, costruzione, armi e decorazioni la nave era costata circa 40mila Riksdaler, la valuta ufficiale svedese dell’epoca. La paga di un marinaio in quel periodo era pari a circa 50 Riksdaler. Costruire navi di grande stazza a quei tempi portava con sé diversi rischi perché mancavano molte basi scientifiche: calcoli e caratteristiche della nave erano nella mente del progettista, che spesso basava il proprio lavoro sui dati contenuti nei libretti tramandati dai suoi predecessori, veri e propri segreti di fabbrica da non mostrare alla concorrenza. L’esperienza era uno dei fattori determinanti e necessari per stabilire i parametri fondamentali come il baricentro della nave.

Il Vasa aveva un ponte di coperta, quello superiore, e procedendo verso il basso due ponti di batteria dove trovavano anche posto i cannoni, un ponte di corridoio e la stiva nella quale erano state collocate le pietre per zavorrare la nave e abbassarne il baricentro. Il peso complessivo delle pietre era pari a 120 tonnellate, ma si trattava di una zavorra insufficiente per controbilanciare il peso di tutto quello che stava al di sopra del livello dell’acqua. La stabilità del vascello era anche messa a dura prova dalla decisione di inserire una batteria di 24 cannoni pesanti anche sul ponte superiore, invece dei dodici più leggeri previsti inizialmente.

Le navi da guerra dell’epoca erano di loro natura poco stabili: alte e con lo scafo stretto, dovevano essere equipaggiate con molta attenzione per mantenerle in equilibrio nella navigazione e durante le battaglie in mare. Lo scafo del Vasa non differiva da quelli di molte altre navi costruite in quel periodo, dunque la struttura era sostanzialmente corretta, mentre i pesi erano mal distribuiti.

Le colpe
Storici ed esperti che hanno studiato e ristudiato il disastro del Vasa sono arrivati alla conclusione che l’incidente si sia verificato per una combinazione di colpe, non riconducibili a una sola persona. Il re fece male a imporre le misure di massima e a insistere per il completamento del vascello in tempi rapidi, l’ammiraglio Fleming preferì soprassedere sul fallito test di stabilità con i marinai per assecondare il sovrano che voleva la nave in mare il prima possibile, costruttori e progettisti si fecero meno scrupoli del dovuto e non vanno dimenticate le responsabilità di chi decise di riempire la nave con così tante bocche da fuoco pesanti.

I primi tentativi di recupero
Ian Bulmer era un ingegnere inglese e tre giorni dopo il disastroso viaggio inaugurale del Vasa ottenne l’esclusiva per riportare a galla il vascello. L’accordo con il Consiglio di Stato prevedeva che il pagamento per Bulmer venisse effettuato solo a Vasa riemerso. L’ingegnere fallì miseramente, riuscendo solo a far peggiorare la situazione incagliando ulteriormente il relitto nel fondale fangoso. Nei mesi seguenti l’ammiraglio Fleming le provò tutte per recuperare la nave, ma dopo un anno di tentativi anche creativi si dovette arrendere, scrivendo al Consiglio che la «nave ha un peso molto più grande di quanto avessi mai potuto immaginare».

Negli anni seguenti a Stoccolma arrivarono inventori, cercatori di tesori e avventurieri attirati dalla sfida di recuperare il Vasa o per lo meno i suoi tesori, a partire dai preziosi cannoni che erano stati caricati a bordo. Solo negli anni Sessanta del Seicento due esperti di operazioni di recupero di navi, Albreckt von Treileben e Andreas Peckell, proposero di usare una campana subacquea per raggiungere il fondale e recuperare almeno i cannoni. Il sistema funziona sfruttando la bolla d’aria che si forma quando viene calato un contenitore capovolto in acqua, ciò che accade se immergete un bicchiere vuoto rovesciato, per farvi un’idea.

Usando ganci, corde e altri arnesi i sommozzatori ante litteram si misero a lavorare a trenta metri di profondità. Completamente al buio nelle acque gelide del mare dovevano staccare i cannoni dai loro affusti, farli uscire dai portelli, assicurarli alle corde e riportarli a galla. Un’impresa complicata e sulla quale in pochi avrebbero scommesso, eppure tra il 1664 e il 1665 riuscirono a recuperare più di 50 cannoni. Ma il relitto rimase sul fondo, senza alcuna possibilità di smuoverlo e riportarlo in superficie per tre secoli.

Il recupero del 1961
Nel 1956 l’esperto di guerre navali svedesi del XVI e XVII secolo Anders Franzén identificò con precisione il punto dove si trovava il relitto. Insieme alla Marina svedese e ad altre organizzazioni, si decise di riportare a galla il vascello con un’ambiziosa operazione di recupero. Tra grandi difficoltà e molti pericoli, nel 1957 i sommozzatori iniziarono a scavare sei tunnel al di sotto dello scafo, facendosi largo nel fondale viscido e fangoso. Per farlo furono utilizzate alcune particolari lance che sparavano acqua a forte pressione, ma i rischi erano altissimi perché c’era sempre la possibilità che il vascello si assestasse mentre un sommozzatore si trovava sotto lo scafo per realizzare il tunnel, schiacciandolo e seppellendolo sul fondale.

L’opera di preparazione dei tunnel andò avanti per un paio di anni e vi lavorarono circa 1.300 sommozzatori, senza che si verificassero gravi incidenti. Nei tunnel furono fatti passare cavi di acciaio, collegati a due piattaforme in superficie che avrebbero teso i cavi facendo salire lentamente il relitto. Il Vasa fu spostato per la prima volta verso la fine di agosto del 1959 tra mille incertezze e la possibilità che lo scafo non reggesse alle sollecitazioni, spezzandosi in più parti. L’operazione invece andò a buon fine, ma era ancora troppo presto per riportare il relitto in superficie. Sedici tappe successive consentirono di riavvicinare il Vasa alla costa e di inserire perni e corde al posto dei fermi di metallo originali, arrugginiti e distrutti dopo tre secoli in fondo al mare.

Il 24 aprile del 1961 ad assistere all’ultima fase del recupero c’erano centinaia di persone, radio e televisioni da tutto il mondo per raccontare il ritorno del Vasa. La nave fu issata molto lentamente, mentre alcune potenti pompe per il drenaggio iniziarono a rimuovere acqua e fango dall’interno del relitto. Il 4 maggio la nave era nuovamente in grado di galleggiare da sola e fu trainata in una darsena del porto.

Conservare il Vasa
Recuperata la nave si presentò il problema di preservare il legno di quercia di cui era fatta, che era rimasto sul fondale marino per più di tre secoli. Conservare 1.080 tonnellate di legno di quercia impregnato d’acqua non si rivelò un problema di facile soluzione. I tecnici decisero di irrorare regolarmente il relitto con acqua mescolata a glicole polietilenico (PEG), un polimero che riesce a penetrare nel legno prendendo il posto dell’acqua, così da evitare la riduzione di volume del legno e la possibilità che si spacchi.

Il Vasa al momento dell’emersione era impregnato di un chilo e mezzo di acqua per ogni chilo di legno. C’erano quindi circa 580 tonnellate di acqua da espellere e da sostituire con il polimero. Il trattamento iniziò nel 1962 e andò avanti per 17 anni al ritmo di 25 minuti di spruzzatura e 20 di pausa ogni giorno, 24 ore su 24. Ancora oggi il relitto viene costantemente monitorato e mantenuto in atmosfera protettiva, mentre un gruppo internazionale di esperti valuta periodicamente quali siano le migliori soluzioni per evitare il suo deterioramento.

Il museo
Pochi mesi dopo l’emersione, il Vasa fu esposto ufficialmente al pubblico per la prima volta in un museo temporaneo nel novembre del 1961. Nel 1988 la nave fece il suo ultimo viaggio per essere trasferita all’interno della sede permanente del museo, un enorme hangar sormontato da tre simbolici alberi dove è tutt’ora conservata in atmosfera protettiva. Nel museo sono esposti anche tutti i manufatti trovati all’interno del relitto e intorno all’area del fondale marino in cui era rimasto per tre secoli. Si stima che in cinquant’anni di esposizione, il Vasa sia stato visto da quasi trenta milioni di visitatori, diventando una delle principali e più popolari mete turistiche di tutta la Svezia. E di nuovo il vascello più famoso della flotta svedese.