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  • Sabato 3 settembre 2011

Sono i giorni di Burning Man

Niente scambi in denaro, niente elettricità, niente telefoni, niente fotografi e 50.000 persone per il festival più creativo e regolamentato del mondo

Lunedì prossimo, 5 settembre, si concluderà nel deserto del Nevada il festival di arte, musica e “autosufficienza” che si chiama Burning Man e che ha caratteristiche creative e spettacolari uniche. Burning Man si tiene ogni anno dal 1991 durante la settimana che precede la festa del Labor Day (la festa dei lavoratori statunitense, che si svolge il primo lunedì di settembre). Migliaia di persone si radunano nel deserto e costruiscono dal nulla una città che funziona con regole anarchiche e rigide insieme, Black Rock City, e che faranno scomparire alla fine della settimana.

L’idea del festival venne a tre amici, Kevin Evans, John Law e Michael Mikel, nel 1990; il nome deriva dall’ultima notte del festival, in cui viene bruciata un’enorme scultura di legno dalla forma umana, un rito che i fondatori di Burning Man avevano mutuato dai falò annuali sulla spiaggia di Baker Beach a San Francisco in cui un’altra coppia di amici, Larry Harvey e Jerry James, davano fuoco alle sculture di legno preparate dall’artista Mary Grauberger.

Burning Man però non è un festival come tutti gli altri, come sa chi ci è stato ma anche chi negli anni si è abituato a vederne le immagini spesso raccolte in servizi giornalistici per la loro forza spettacolare. Se ne capisce lo spirito leggendo la guida scaricabile dal sito, che raccoglie le regole del festival, piuttosto articolate per un raduno di artisti. «Burning Man» vi si legge «è un esperimento annuale di creazione di una comunità temporanea, dedicato alla radicale espressione di sè, e ad una forma radicale di autosufficienza».

Non è Woodstock, insomma. Non ci sono concerti con grandi nomi, non c’è un palco principale, non ci sono esibizioni pubblicizzate. Ognuno dei partecipanti è democraticamente libero di organizzare esibizioni, mostre d’arte, performance, workshop e giochi e segnalarli (o non segnalarli) all’organizzazione del festival, che pubblica sul sito gli eventi già registrati prima dell’inizio del festival.

L’obiettivo primario, però, è esattamente quello che spiega la guida, ovvero la costruzione di una comunità urbana (per quanto temporanea), in tutte le sue dinamiche e regole di comportamento. A Black Rock City, come in tutte le piccole città, si sviluppano forme di collaborazione e reti di rapporti basati sulla prossimità delle proprie abitazioni o sul legame affettivo. Come tutte le città, anche Black Rock City ha un piano regolatore. Chi va al festival, infatti, non si può accampare dove vuole, ma deve rispettare la griglia tracciata nei giorni precedenti dagli organizzatori. La pianta di Black Rock City è uguale ogni anno, ed è stata disegnata nel 1998 dall’urbanista Rod Garret (morto qualche giorno fa). La città è formata da cerchi concentrici, che circondano un grande spazio vuoto, al centro del quale c’è l’altissima scultura di legno che prenderà fuoco l’ultima notte, The Man. I burner (così si definiscono i partecipanti del festival) si possono accampare su 2/3 della circonferenza; lo spicchio vuoto, come lo spazio centrale, viene utilizzato per installazioni artistiche ed esibizioni.

Burning Man si basa su tre regole ferree. La prima è che all’interno di Black Rock City non si può né vendere né comprare niente. Né acqua, né cibo, né beni di prima necessità. L’organizzazione fa due sole eccezioni per il ghiaccio, di cui c’è gran consumo, e per il caffè. Il baratto e il dono sono le uniche forme ammesse di passaggio di proprietà dei beni, cibo compreso.

La seconda regola deriva dalla prima: è obbligatorio portarsi tutto quello di cui si può avere bisogno in una settimana di campeggio nel deserto, dalle attrezzature al cibo, all’acqua, ai teli per creare ombra attorno alla propria tenda, camper, capanna. Chi vuole illuminare il proprio accampamento, poi, deve portarsi un generatore, perché non esiste un sistema di distribuzione dell’energia elettrica.
Se i volontari che controllano gli accessi alla città valutano che un partecipante appena arrivato non è sufficientemente attrezzato, possono decidere di non farlo entrare e rimandarlo a casa, anche se ha già pagato il biglietto, che costa tra i 210 e i 320 dollari. Chi scopre di non avere qualcosa di fondamentale, o finisce l’acqua o il cibo, può chiederlo ai vicini, sperando nella loro generosità, o barattare qualcosa che ha in più con quello di cui ha bisogno.

La terza regola è “Leave no trace”, non lasciare traccia. Black Rock City è una città che sorge e sparisce completamente nel giro di una settimana. Ogni burner è responsabile di tutti i rifiuti che crea, e li deve portare via con sè quando riparte, perché l’organizzazione del festival non fornisce cassonetti per lo stoccaggio della spazzatura. I bagni ci sono, però.

Per il resto Black Rock City funziona davvero come una piccola città: anche se il denaro non può essere utilizzato, ci sono bar, ristoranti e locali, negozi, asili, saloni di bellezza (tutti ovviamente all’interno di tendoni o capanne costruite dai burner), un ufficio postale, un pronto soccorso, e il quartier generale dell’organizzazione che funziona da municipio (a Black Rock City si possono celebrare matrimoni validi a tutti gli effetti).

Per spostarsi nelle vie della città non si può usare l’automobile (a meno che non sia decorata in modo da essere “un’opera d’arte”, l’auto va lasciata ferma per tutta la settimana), ma la pianta della città è stata progettata in modo da essere facilmente percorribile a piedi o in bicicletta, e non offre nessun tipo di barriera architettonica per chi è in sedia a rotelle.

Il tessuto della città è costituito dai Theme Camp, “quartieri” tematici registrati in anticipo sul sito del festival, e segnalati sulle mappe di Black Rock City, in modo che chi arriva possa accamparsi in zone in cui si tengono attività di suo interesse. Rispetto alle prime edizioni, quando il luogo del festival era poco più di un accampamento di tende sparse per il deserto, l’organizzazione è cresciuta parecchio. Quest’anno i campi registrati sono circa 250: c’è ad esempio quello sul fai-da-te, quello in cui si tengono corsi di samba, quello in cui si coltivano “piaceri sensuali”, quello in cui sono state portate piante tropicali che lo rendono una piccola giungla, quello in cui si preparano costumi e maschere. Altri sono semplicemente nomi con cui gruppi di amici arrivati insieme hanno voluto contrassegnare la propria zona. I Theme Camp, infatti, servono anche come punto di riferimento per trovarsi tra amici o conoscenti: i cellulari a Black Rock City non funzionano, quindi non ci si può mettere d’accordo per telefono per incontrarsi.

Al di là delle regole a cui i burner aderiscono volentieri, a Black Rock City si può davvero fare ed essere ciò che si vuole, al punto che uno dei campi più celebri è quello che emette un (finto) certificato di divorzio della validità di una settimana (quella del festival, ovviamente). Non mancano le critiche a come alcuni, specialmente i partecipanti con più disponibilità economiche, decidono di vivere l’esperienza di Burning Man: negli ultimi anni, come racconta il Wall Street Journal, un numero crescente di persone si sono presentate a Black Rock City con camper con l’aria condizionata e multiaccessoriati, mentre si sta sviluppando anche un mercato nero – con soldi veri – per “beni di lusso” come tagli di capelli o pranzi a domicilio.

Forse è proprio per conservare la sensazione che “quello che succede a Black Rock City resta a Black Rock City” che è stata stabilita l’ultima regola, quella che spiega perché del festival non circolano molte immagini: tutte le macchine fotografiche e le videocamere vanno registrate all’arrivo, e chi ha intenzione di effettuare delle riprese o fare dei servizi fotografici per scopi commerciali deve accordarsi preventivamente con l’organizzazione del festival. Chi poi vende le foto che ha fatto al festival senza aver preventivamente ottenuto i permessi, secondo il regolamento «va incontro a azioni legali ed è punibile con la morte».