• Mondo
  • Giovedì 25 agosto 2011

L'”Indiana Jones ebreo” accusato di truffa

Un rabbino diceva di viaggiare avventurosamente in tutto il mondo per recuperare le Torah perdute durante l'Olocausto: ora rischia 40 anni di carcere

Menachem Youlus, un rabbino di Wheaton, nel Maryland, aveva una missione: salvare, restaurare e restituire ai legittimi proprietari le copie scritte a mano della Torah – il libro sacro della religione ebraica – andate perdute durante gli anni dell’Olocausto. Come si legge nel sito di “Save a Torah“, l’organizzazione no-profit creata dal rabbino americano per raccogliere il denaro necessario a portare a termine la sua nobile impresa, “un solo uomo per più di vent’anni ha portato il grande peso di questa ricerca”.

Ora lo stesso uomo rischia di scontare fino a 40 anni di carcere per truffa. L'”Indiana Jones ebreo“, come amava definirsi, verrà giudicato dalla corte federale di Manhattan per aver ingannato centinaia di benefattori. Le autorità giudiziarie americane sostengono che il rabbino, proprietario del Jewish Bookstore di Wheaton, ha trasferito sul suo conto personale quasi un terzo degli 1,2 milioni di dollari raccolti dal 2004 tramite la sua organizzazione. I soldi sono serviti per pagare le rette delle scuole private per i suoi figli e altre spese personali. Preet Bharara, il porcuratore che si occupa del caso, ha dichiarato:

«Menachem Youlus si faceva chiamare l'”Indiana Jones ebreo”, ma le sue imprese non erano più reali di quelle del personaggio del film a cui credeva di somigliare. Ha agito in malafede, sfruttando un capitolo atroce della storia ebraica e internazionale per perpetrare una frode sfacciata che gioca con il cuore di persone per le quali i ricordi dolorosi di quel periodo non moriranno mai».

La storia della Torah di Oswiecim, il piccolo centro polacco che i nazisti rinominarono Auschwitz creandovi il più grande dei loro lager, arrivò fino in Italia. Tre giorni prima dell’arrivo dei tedeschi, nel 1939, un ebreo di Oswiecim salvò l’antica Torah della locale sinagoga dividendola in cinque parti, seppellendo la più grossa sotto al cimitero della cittadina. Youlus raccontò di aver perlustrato la zona con un metal detector per ritrovare il tubo metallico in cui era custodita una delle cinque parti della pergamena. La prima missione fallì, ma grazie ad una ricerca su internet (suggeritagli dal figlio tredicenne) Youlous tornò ad Auschwitz una seconda volta. E fu quella buona, disse.

Le altre quattro parti erano state affidate a un prete. Per ritrovarle, Youlus raccontò di essersi affidato a un’inserzione pubblicitaria. Il vecchio prete si fece avanti e promise di restituire le parti mancanti della Torah dietro un compenso in denaro. Un anonimo benefattore pagò 32.000 dollari direttamente a Youlus, che si occupò personalmente del restauro della Torah che in seguito è stata esposta alla Central Synagogue di Manhattan. Una bella storia, ma non c’è alcuna prova che sia vera.

Greg Ghiozzi, l’ispettore che sta indagando sul caso, non ha trovato nessuna prova dei viaggi in Polonia di Youlus e nemmeno del presunto ritrovamento, nel 2002, di una Torah sotterrata nel campo di concentramento di Bergen Belsen in Germania. Dai controlli della polizia, l’unico viaggio intrapreso dal rabbino nel 2004 è stato un soggiorno di due settimane in Israele, mentre dal 2001 al 2004 non risulta nessuno spostamento internazionale.