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  • Giovedì 25 agosto 2011

Le teste dei dittatori

Marco Belpoliti racconta di quando il potere simbolico dei dittatori si rivolta contro di loro

6th July 1945: A bust of Adolf Hitler lies amidst the ruins of the Chancellery, Berlin. (Photo by Reg Speller/Fox Photos/Getty Images)
6th July 1945: A bust of Adolf Hitler lies amidst the ruins of the Chancellery, Berlin. (Photo by Reg Speller/Fox Photos/Getty Images)

Marco Belpoliti scrive su Doppiozero di quanto accaduto martedì a Tripoli, quando i ribelli libici hanno assaltato e distrutto i simboli del regime di Gheddafi, e delle molte simili scene che quel fatto rievocava: la liberazione da un regime dittatoriale passa sempre per la “profanazione” e per la distruzione dei suoi simboli, siano questi monumenti, statue, ritratti, palazzi o uffici.

Le teste rotolano. A ogni rivoluzione i rivoltosi e i rivoluzionari si avventano sui simboli del passato regime: abbattono statue, rovesciano monumenti, sbriciolano emblemi e insegne. Ma è dalla metà del XX secolo che le sculture marmoree o bronzee dei capi sono state deliberatamente prese d’assalto, colpite e ridotte a terra. E non solo quale opera di iconoclastia del vecchio potere, ma come effettiva azione sostitutiva dell’aggressione al corpo stesso del re, del tiranno o del despota. La statua di Mu’ammar Abu Minyar ‘Abd al-Salam al Qadhdhafi, meglio la sua testa dorata, giace ora a terra in una evidente decapitazione in assenza, per il momento, del suo corpo fisico.

Il potere simbolico dei monumenti dei dittatori è tale che nel 1956, nel corso della rivolta ungherese, schiacciata dai cingoli dei carri armati sovietici, il popolo di Budapest rischiò la vita per demolire la gigantesca effige del dittatore di Mosca eretta nel centro della città. L’abbattimento della scultura era una risposta al potere idolatrico di Stalin, così che correre a picconarla sotto il tiro dei cecchini aveva il valore di un esorcismo contro al sua perdurante presenza, come ricorda Deyan Sudjc nel recente Architettura e potere (Laterza). In quella occasione gli abitanti della capitale ungherese ricorsero, tra i colpi di arma da fuoco, a scale, funi, fiamme ossidriche, e occorsero molte ore di duro lavoro per vederla schiantare al suolo. La testa sbrecciata del capo sovietico, il cui nome, Stalin, significa non a caso acciaio, baffuta e sorridente, fu vandalizzata e presa a calci, e vi fu persino chi vi defecò sopra per spregio. La medesima cosa è accaduta dopo la caduta del Muro nei vari stati satelliti del potere sovietico. La prima cosa che i rivoltosi fanno, una volta conquistato il campo, è infatti avventarsi sul corpo metallico del Capo che con la sua presenza fisica campeggia nel centro della piazza principale della capitale. Nella Cecoslovacchia, cui era toccato un destino analogo a quello dell’Ungheria, del monumento a Stalin a poche ore dall’evaporare dell’Impero non era rimasto che il piedistallo.

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