La manovra economica in progress

A tre giorni dal varo del decreto da parte del Governo, nel centrodestra si discute già di come cambiare la legge anche nelle sue misure fondamentali

©Mauro Scrobogna /LaPresse
08-11-2006 Roma
Politica
Camera - finanziaria 2007 
Nella foto: fascicolato degli emendamenti sul banco del Governo

Chamber of Deputy - financial act 2007
©Mauro Scrobogna /LaPresse 08-11-2006 Roma Politica Camera - finanziaria 2007 Nella foto: fascicolato degli emendamenti sul banco del Governo Chamber of Deputy - financial act 2007

Per la prima volta da venerdì i giornali di oggi dedicano più spazio ai commenti e alle opinioni sulla manovra economica che alla spiegazione delle misure in essa contenuta. Moltissimi chiedono cambiamenti, e fin qui non ci sarebbe niente di sorprendente, se non fosse che tra chi chiede cambiamenti anche significativi ci sono illustri esponenti della maggioranza nonché, pare, lo stesso presidente del Consiglio. Sia Repubblica che Corriere che il grosso degli altri quotidiani sono ricchi di virgolettati e ricostruzioni secondo cui Silvio Berlusconi sarebbe determinato a modificare la riforma correggendo o addirittura rimuovendo del tutto la sua misura più incisiva, il cosiddetto “contributo di solidarietà”. Scrive oggi il Corriere della Sera, definendo l’obiettivo “acquisito”, nel PdL:

Per «aggirare Tremonti» e la sua resistenza, spiega un ministro, la strada è tracciata: si apre al confronto con l’opposizione, mossa gradita anche al capo dello Stato; si «concede qualcosa all’Udc», ai sindacati, a Confindustria; si fanno alcuni emendamenti targati pdl, che verranno presentati al Senato dove inizia la discussione e poi si blinda il provvedimento alla Camera con la fiducia, per evitare imboscate o il rischio di rimanere impantanati. Si chiude insomma «presto e bene», in «30 o 40 giorni complessivi», sperando che nel frattempo i mercati abbiano promosso il Paese, evento niente affatto scontato e che tiene sulle spine tutti, da Berlusconi in giù.

Il “contributo di solidarietà” potrebbe essere depotenziato, nel tetto di reddito o inserendo un qualche meccanismo di quoziente familiare.

Anche sugli enti locali si potrebbe intervenire con qualche alleggerimento, così come sul blocco del Tfr e sul rischio di decurtazione della tredicesima (lo chiede la Cisl), magari pescando qualche risorsa da un intervento (richiesto da Confindustria) limitato sulle pensioni: quelle di reversibilità, finora indenni e forse anche di anzianità, sempre che la Lega molli qualcosa. L’Iva sarebbe inserita in manovra solo come ultima risorsa possibile, altrimenti verrebbe tenuta a disposizione come «tesoretto» da inserire nella delega fiscale, per evitare che i 4 miliardi di tagli già messi a saldo si trasformino in una mazzata su assistenza e detrazioni.

A queste incertezze si aggiungono quelle su un’altra misura simbolicamente molto rilevante inserita nella manovra: l’abolizione delle province. Il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, aveva promesso l’abolizione di circa il 30 per cento delle province. Dai primi conti la quota pare piuttosto inferiore, in tutto 22 province su 109. E ancora oggi i giornali raccontano le proteste di molte delle 22 province la cui sopravvivenza è minacciata, che lamentano un trattamento iniquo e criteri non sempre trasparenti nell’individuazione degli enti da abolire.

In tutto questo, e considerato che passeranno almeno 40 giorni prima dell’approvazione definitiva del decreto legge, le istituzioni europee hanno già fatto sapere di non gradire lentezze e perdite di tempo. Un portavoce della Commissione europea ha “incoraggiato” ieri il Governo a “cercare un ampio consenso sul programma di riforme economiche e di budget al fine di assicurarne la rapida approvazione del Parlamento”. Senza contare i mercati, che non gradiscono le incertezze e che domani, alla riapertura delle borse in Europa e in Italia, daranno il loro giudizio sull’affidabilità della manovra e del Governo.

foto: Mauro Scrobogna /LaPresse