• Mondo
  • Sabato 23 luglio 2011

Timothy McVeigh e la storia dell’attentato di Oklahoma City

Tutti lo paragonano a quello di ieri a Oslo: che cosa successe il 19 aprile del 1995?

di Elena Favilli

Nel descrivere la dinamica dell’attentato di ieri a Oslo, in Norvegia, molti giornali oggi hanno ricordato l’attentato di Oklahoma City del 1995, quando 168 persone morirono in seguito all’esplosione di una bomba nel centro della capitale dell’Oklahoma, negli Stati Uniti. Anche in quel caso l’ordigno era stato realizzato con grosse quantità di fertilizzante e anche in quel caso l’obiettivo era stato un edificio del governo.

La dinamica dell’attentato
Alle 9.02, ora locale, del 19 aprile 1995 un furgone carico di oltre 2.200 kg di esplosivo saltò in aria davanti all’Alfred P. Murrah Federal Building, nel centro di Oklahoma City. L’esplosione fu così violenta da danneggiare 324 edifici nel raggio di sedici isolati e fu sentita fino a 90 km di distanza. Novanta minuti dopo Timothy McVeigh fu fermato dalla polizia per guida senza targa e arrestato per possesso illegale d’arma da fuoco. Le indagini lo collegarono presto all’attentato che aveva appena colpito il centro della città. Poco dopo fu arrestato il suo complice, Terry Nichols, che lo aveva aiutato a preparare l’ordigno.

McVeigh era arrivato in città a bordo del furgone alle 8.50 di mattina. Alle 8.57 le telecamere del Regency Towers Apartment registrarono il suo passaggio verso l’Alfred P. Murrah Federal Building. Parcheggiò il furgone davanti all’edificio e dopo avere detonato l’ordigno si allontanò con un’altra macchina che aveva parcheggiato lì vicino pochi giorni prima. Indossava una maglietta con il motto “Sic semper tyrannis” – Così sempre ai tiranni – le parole che secondo la tradizione latina furono pronunciate da Bruto nell’atto di assassinare Giulio Cesare, e le stesse che aveva urlato John Wilkes Booth dopo avere assassinato il presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln.

L’ordigno
McVeigh aveva iniziato a lavorare alla bomba con Nichols dall’agosto del 1994. A metà aprile dell’anno successivo, tutto era pronto: 108 sacchetti di nitrato di ammonio da 23 kg ciascuno, tre stagne di nitrometano da 210 litri ciascuna, alcune cassette di Tovex e diciassette sacchi di ANFO. Tra il 17 e il 18 aprile presero a noleggio un furgone e lo caricarono con tredici barili riempiti con una miscela degli esplosivi raccolti. Poi misero a punto un sistema di detonazione in due tempi. Un primo innesco avrebbe fatto esplodere i primi 160 kg di Tovex, che a loro volta avrebbero innescato l’esplosione dei barili. Dei tredici barili, nove contenevano nitrato di ammonio e nitrometano, quattro una miscela di fertilizzante e benzina. Tre giorni prima avevano parcheggiato la macchina che poi sarebbe stata usata da McVeigh per la fuga a pochi isolati di distanza dall’Alfred P. Murrah Federal Building. Dopo avere rimosso la targa, McVeigh aveva lasciato un biglietto su cui era scritto: «Non è abbandonata. Per favore non la portate via. Sarà rimossa entro il 23 aprile».

Le motivazioni
Timothy McVeigh e Terry Nichols si erano conosciuti a Fort Benning, in Alabama, durante un periodo di addestramento militare. Avevano deciso di vendicarsi contro il governo americano per come aveva gestito il caso di Randy Weaver e per il cosiddetto «assedio di Waco», in cui erano morte 82 persone. Secondo la ricostruzione di McVeigh durante il processo, l’Alfred P. Murrah Federal Building fu scelto per il suo rivestimento esterno in vetro e per la grande quantità di spazio che si estendeva su uno dei suoi lati, che avrebbe potuto assorbire parte della forza dell’esplosione evitando di uccidere persone che non avevano niente a che fare con il governo, e che avrebbe fornito una prospettiva migliore per eventuali foto successive all’attentato con cui amplificare l’effetto propagandistico del gesto. L’attentato fu programmato per il 19 aprile, in coincidenza con l’anniversario dell’assedio di Waco e delle battaglie di Lexington e Concord durante la guerra d’indipendenza americana.

Il processo
Le indagini che seguirono all’attentato, conosciute come “OKBOMB”, furono il più grande caso d’investigazione criminale nella storia degli Stati Uniti. Gli agenti dell’FBI interrogarono 28mila persone e raccolsero prove per un peso complessivo di 3,2 tonnellate. McVeigh e Nichols furono processati e condannati nel 1997. McVeigh fu condannato a morte e ucciso con un’iniezione letale l’11 giugno 2001. Nichols fu condannato all’ergastolo. Anche i coniugi Michael e Lori Fornier furono processati, perché accusati di essere a conoscenza del piano. Michael Fornier fu condannato a dodici anni, mentre alla moglie fu garantita l’immunità in cambio della sua testimonianza. McVeigh aveva chiesto al suo avvocato di presentare una linea di difesa minima, in cui in sostanza dichiarava di avere agito perché si sentiva «in pericolo immediato» e che voleva prevenire futuri crimini da parte del governo. Durante il processo l’avvocato di McVeigh cercò di smontare le accuse sostenendo che nessuno aveva visto il suo assistito quel giorno nel luogo del delitto e che un attentato del genere non poteva essere stato organizzato soltanto da due persone. Ma le prove di una cospirazione più ampia e pilotata non furono mai dimostrate.

Le vittime
Circa 646 persone si trovavano all’interno dell’edificio quando la bomba esplose. Morirono in 168, tra cui 19 bambini sotto i 6 anni che si trovavano all’interno dell’edificio nell’America’s Kids Day Care Center. I feriti furono più di 680. Delle vittime, soltanto 99 lavoravano effettivamente per il governo degli Stati Uniti. Quando durante il processo gli fu chiesto che cosa pensasse della morte di tutti quei bambini, McVeigh rispose: «Non sono io che ho definito le regole. Le regole, se non sono scritte, sono definite dall’aggressore. Donne e bambini furono uccisi a Waco. Abbiamo restituito al governo quello che ci aveva dato».