I quattro di cui la Camera ha accettato l’arresto

Alfonso Papa è il quinto deputato per cui la Giunta accoglie la richiesta di arresto: l'aula voterà mercoledì

Ieri la Giunta per le autorizzazioni della Camera ha votato a favore dell’arresto di Alfonso Papa, deputato del Popolo della Libertà e magistrato. È la quinta volta nella storia della Repubblica che la Giunta si esprime a favore di un simile provvedimento che interessa un parlamentare, non accadeva da 27 anni.

Che cos’è la Giunta per le autorizzazioni
È un organo collegiale della Camera e si occupa di svolgere compiti legati al corretto funzionamento del Parlamento, tutelandone l’autonomia dagli altri poteri. Oltre a quella delle autorizzazioni, esistono una Giunta delle elezioni e una per il regolamento della Camera.

Dopo la riforma dell’articolo 68 della Costituzione avvenuta nel 1993, la magistratura non deve più chiedere l’autorizzazione alla Camera prima di avviare indagini su un deputato. Tuttavia, i magistrati devono chiedere il parere della Giunta quando hanno intenzione di procedere all’arresto o ad altre limitazioni delle libertà personali del parlamentare indagato. La decisione della Giunta non è vincolante, ma ha una sua utilità perché le richieste per gli arresti sono spesso complesse ed è opportuno che ci siano un po’ di persone che si facciano carico di analizzarle, capirle e siano poi in grado di dare un indirizzo a tutti gli altri deputati, che poi potranno votare senza alcun vincolo.

Da chi è composta
È formata da 21 deputati che vengono nominati dal presidente della Camera, tenendo conto delle esigenze espresse dai diversi gruppi parlamentari. Quella attuale ha: due componenti di Futuro e Libertà, uno dell’Italia dei Valori, due della Lega Nord, uno del Gruppo Misto, cinque del Partito Democratico, sette del Popolo della Libertà, uno di Popolo e Territorio e due dell’Unione di Centro.

Il caso di Alfonso Papa
I pm della Procura di Napoli, che stanno indagando sulle attività di dossieraggio clandestino della cosiddetta “P4”, accusano Papa di favoreggiamento, concussione e rivelazione di segreti d’ufficio. Il parlamentare sarebbe stato uno dei nodi fondamentali nello scambio di informazioni riservate con Luigi Bisignani. Papa dice di essere un perseguitato e di voler dimostrare la propria innocenza. Oggi, intanto, il Consiglio superiore della magistratura ha deciso di sospenderlo dalle sue funzioni di magistrato e di bloccargli lo stipendio. La Giunta si è espressa venerdì a favore della richiesta di arresto, i deputati daranno il voto decisivo mercoledì.

I quattro casi in cui la Camera ha accolto la richiesta di arresto

1. Massimo Abbatangelo (1984)
Politico del Movimento Sociale Italiano, dopo alcuni anni nel Consiglio comunale di Napoli, divenne deputato nel 1979 e nel 1984 la Giunta concesse l’autorizzazione all’arresto nei suoi confronti. Era accusato di detenzione illegale di materiale esplosivo, che sarebbe poi servito per la strage del Rapido di Natale, l’attentato dinamitardo avvenuto il 23 dicembre del 1984 ai danni del treno rapido 904 che viaggiava da Napoli a Milano. L’esplosione causò la morte di 17 persone e il ferimento di 267.
Nel 1991 Abbatangelo fu condannato in primo grado all’ergastolo per aver fornito l’esplosivo e fu assolto in appello dal reato di strage, ma fu condannato a sei anni di reclusione per detenzione dell’esplosivo. Ora milita nella Fiamma Tricolore.

2. Toni Negri (1983)
Politico e filosofo, verso la fine degli anni Settanta fu arrestato con diverse accuse molto discusse sul suo ruolo di “mandante morale” e ispiratore di attività terroristiche di sinistra. Nel 1983 Marco Pannella gli propose di candidarsi alla Camera con i Radicali durante il periodo di carcerazione preventiva, creando così una “candidatura critica” per mettere in discussione i metodi usati dai magistrati. Una volta eletto, Negri fu scarcerato ma pochi mesi dopo la Giunta concesse l’autorizzazione all’arresto. Negri fece in tempo a fuggire in Francia: tornò nel 1997 in Italia per finire di scontare la sua pena.

3. Sandro Saccucci (1976)
Importante esponente del Movimento Sociale Italiano, fu al centro a metà anni settanta di un caso giudiziario legato alla morte di un ragazzo a Sezze Romano. Saccucci era stato contestato dalla folla durante un comizio, ne era seguito uno scontro a fuoco che aveva portato alla morte del giovane Luigi Di Rosa. Il 27 luglio del 1976, la Giunta concesse l’autorizzazione all’arresto del deputato accusato di omicidio, cospirazione politica e istigazione all’insurrezione armata nel tentato golpe organizzato da Junio Valerio Borghese, già comandante della Decima Flottiglia MAS, che aveva aderito dopo l’8 settembre 1943 alla Repubblica di Salò. Saccucci fuggì prima di essere arrestato in Gran Bretagna, poi in Francia e successivamente in Spagna e in America del Sud.

4. Francesco Moranino (1955)
Fu la prima autorizzazione data dalla Giunta. Moranino era un ex partigiano che era stato eletto nel Partito Comunista Italiano. Il 27 gennaio del 1955 arrivò l’autorizzazione a procedere con l’accusa per Moranino di omicidio plurimo aggravato e continuato e occultamento di cadavere nell’eccidio della “Missione Strassera” nel 1944. Emanuele Strassera era un agente del governo italiano e dell’OSS (Office of Strategic Services) attivo nella Seconda guerra mondiale e aveva ricevuto dagli alleati il compito di fare rapporto sulla lotta partigiana ad alcuni agenti in Svizzera.

Strassera chiese aiuto a Moranino, che all’epoca era al comando di un distaccamento partigiano nel biellese. Ma gli aiuti non arrivarono e i cinque partecipanti alla missione di Strassera, sospettati di essere spie nazifasciste, furono uccisi in un’imboscata. Successivamente furono anche uccise due mogli dei partecipanti alla missione. Dopo molti anni la raccolta di nuove prove e una serie di indagini ufficiali portarono gli inquirenti a ipotizzare una responsabilità di Moranino nell’eccidio.

Nel 1956 il processo contro Moranino, svoltosi in contumacia perché l’ex partigiano era fuggito in Cecoslovacchia, si concluse con la condanna all’ergastolo per sette omicidi. Pena confermata dalla Corte d’Assise d’Appello l’anno seguente. Nei mesi seguenti emersero sospetti e dubbi sul regolare svolgimento del processo e l’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, commutò la pena in dieci anni di reclusione. Moranino si rifiutò di tornare e rimase a Praga. Nel 1965 Giuseppe Saragat decise di graziarlo.