Il matrimonio gay, già

È un diritto civile: e anche in Italia non ci sono più alibi per parlare d'altro

City Council Speaker Christine Quinn, Governor Andrew Cuomo and Cuomo's girlfriend Sandra Lee, left to right, walk in the annual Heritage of Pride March, one of the world's oldest and largest gay pride parades, Sunday June 26, 2011, in New York. The parade became a victory celebration after New York's historic decision to legalize same-sex marriage on Friday. (AP Photo/Diane Bondareff)
City Council Speaker Christine Quinn, Governor Andrew Cuomo and Cuomo's girlfriend Sandra Lee, left to right, walk in the annual Heritage of Pride March, one of the world's oldest and largest gay pride parades, Sunday June 26, 2011, in New York. The parade became a victory celebration after New York's historic decision to legalize same-sex marriage on Friday. (AP Photo/Diane Bondareff)

La scelta dello stato di New York di rendere legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso non ha delle implicazioni storiche solo per quello stato o per gli Stati Uniti nel loro complesso, che oggi ne aggiungono un settimo alla crescente lista di quelli che lo consentono. Ma rende inevitabile anche un’accelerazione della discussione e dello stesso percorso in altri paesi democratici e liberali, come l’Italia. A cominciare dalle persone che dicono di avere cari i diritti civili e le loro parità.

Tra chi afferma che uomini e donne omosessuali debbano avere riconosciuti tutti gli stessi diritti degli altri – ci sono molti che pensano di no, ma non è a loro che stiamo parlando, anche se dovremo farlo presto – esiste un pensiero che è tuttora ostile a una battaglia sul riconoscimento del diritto a sposarsi per tutti. Questo pensiero si appoggia – vuoi in buona fede, vuoi come alibi alla propria pigrizia o omofobia latente – su due argomenti maggiori: uno è che l’Italia non sia ancora pronta per una simile battaglia che quindi sarebbe non solo perdente ma “dividerebbe”, “non sarebbe capita”, eccetera. L’altro è che il partito che vi si impegnasse rischierebbe di perdere voti. Vediamo cosa nascondono queste obiezioni, a guardarci un po’ dentro.

Che l’Italia non sia pronta per il riconoscimento dell’uguaglianza dei suoi cittadini e a offrire a ognuno il diritto di sposare chi ama è intanto tutto da dimostrare. La disponibilità e la consapevolezza delle persone è molto cresciuta su questo tema e anche senza citare la abusata formula per cui “gli italiani sono più avanti di chi li governa”, è vero che la bellicosità alberga soprattutto tra le gerarchie vaticane e i loro sudditi politici e in alcune redazioni – tutte desiderose di promuovere scontri di civiltà – che non nelle serene coscienze della maggior parte degli italiani. Ma siccome non sottovalutiamo la capacità dei suddetti attori di accendere questo scontro, al momento in cui si proporrà una scelta, non eluderemo questo scenario.

Non fare una battaglia civile e di diritti perché sarebbe una battaglia è una sciocchezza: le campagne per cambiare le cose in meglio partono inevitabilmente dall’idea che le cose vadano migliorate. Che ci siano resistenze e avversari. Non possono aspettare che le cose cambino da sé. Ottenere la fine della segregazione dei neri fu un impegno che “divise” tantissimo. Porre la questione dei diritti delle donne negli anni Settanta suscitò indignazioni e opposizioni enormi, figuriamoci in un paese qual era l’Italia. Il referendum sul divorzio del 1974 vide due elettori su cinque votare a favore dell’abrogazione. Quello più recente sulla fecondazione assistita fu addirittura perso – per deliberata mancanza di quorum – dai fautori di una maggiore libertà per le donne e per le famiglie.
Rifugiarsi dietro lo spauracchio delle “divisioni” in un paese diviso ogni giorno su tutto non è quindi credibile. E non è tollerabile che si mettano in campo “sensibilità” o opinioni da non ferire. Impedire ad altre persone di avere i diritti che hanno tutti, ancora di più rispetto al tema dell’amore, non è un'”opinione”, né una sensibilità. È un’insensibilità. Dare a queste “opinioni” valore e peso è una ipocrisia che nel frattempo ferisce e tradisce le sensibilità di tantissimi altri cittadini, quelli sì discriminati e umiliati.

Quello che è successo a New York fa saltare all’improvviso questi argomenti. Stiamo parlando della capitale della civiltà occidentale, del modello culturale più implicitamente ed esplicitamente riconosciuto nelle nostre società. Non c’è più l’alibi del presunto libertinaggio degli scandinavi o dei californiani (tacciamo che legislazioni simili sono state accolte in Spagna, Portogallo e Argentina, tra gli altri). Per la prima volta negli USA il matrimonio è stato consentito a tutti da un Senato a maggioranza repubblicana, di destra. E la legge è stata firmata da un governatore italo-americano e cattolico che ha studiato in scuole cattoliche e tutta la stampa celebra questo come uno dei momenti più importanti della sua carriera politica. Cosa dovrebbe avere l’Italia di meno democratico e liberale dello stato di New York?

C’è poi la terrenissima questione del rischio che un partito che assuma sulle sue spalle la rappresentanza di questo diritto perda voti nello spingersi a farne un elemento del suo programma. Inutile dire quanto suoni inaccettabile che una battaglia sui diritti sia elusa e sfuggita per ragioni di consenso: significa perdere l’anima, prima che i voti. E se benissimo ha fatto ieri il nuovo assessore milanese Majorino a confermare il progetto del registro delle Unioni Civili nella sua città ma annunciando che poi “ragioneremo su cosa altro fare”, altrettanto non si può dire dei leader dei partiti del centrosinistra. A cominciare dall’impressionante sottrazione a questo impegno da parte di Nichi Vendola, che nel dirsi omosessuale e cattolico finora è sembrato far prevalere sulla questione la seconda delle due cose. Ma anche il PD, liberatosi nell’ultimo anno delle sue componenti più retrograde su questi temi, dovrebbe decidere di diventare maturo su questo tema.

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è una questione culturale, di dibattito da bar, di discussione sulla procreazione, sul nome da dargli, su chi ci tenga a sposarsi e chi no, sulla famiglia coi figli o senza, sulla religione. Alle coppie eterosessuali non è richiesto di discutere di questi aspetti per potersi sposare, e questo è uno stato laico. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è semplicemente una questione di diritti e libertà: in Italia ad alcuni è permesso di scegliere se sposare la persona che amano e costruire una famiglia basata su questo e ad altri no.

C’è un ultimo aspetto. Il nostro, come molti, è un paese in cui vive ed è ancora tollerata un’alta frequenza di omofobia e di discriminazione (malgrado gli sciocchi esempi rituali citati dagli omofobi: gli stilisti, la televisione…). Spacciarne la natura per “tradizione” o “sensibilità” significa esserne complici, legittimarla. Non è questo che ci si aspetta da persone che si dicano democratiche o liberali, di destra o di sinistra che siano. Ci si aspetta che mostrino di essere da un’altra parte, quella in cui – come nello stato di New York – tutti sono ritenuti uguali.