Itabolario: Social Network (2010)

Massimo Arcangeli ha raccolto 150 storie dell'Italia unita, una per ogni anno: Itabolario. L'Italia unita in 150 parole (Carocci editore)

di Mario Morcellini

2010. Social network (locuz. m.)

Il 12 novembre 2010, sull’onda del successo americano, arriva The Social Network, diretto da David Fincher; protagonista il mondo di Facebook, come nel nostrano Feisbum. Il film, otto episodi e cinque sketch (approdato nelle sale cinematografiche nel maggio 2009). Il numero degli iscritti italiani al più famoso dei social network, secondo i dati riportati in www.vincos.it, raggiunge nello stesso mese di novembre la cifra record di 17.616.000 persone (nel dicembre 2009 erano “solo” 13.500.000); ma il 2010 non è solo l’anno di conferma di Facebook: anche Badoo, Netlog, Myspace, Twitter, LinkedIn fanno la loro bella figura. Il tumultuoso sviluppo della potenza simbolica ed evocativa dell’espressione social network aveva goduto di una significativa legittimazione ufficiale nel giugno del 2009, quando era comparsa tra gli argomenti della prima prova scritta dell’esame di maturità: il significato utilizzato dagli esperti del ministero era stato il giorno dopo sanzionato dai giornali, che avevano parlato di “tema su Facebook”. Nei testi forniti agli studenti per la compilazione del saggio breve, o dell’articolo di giornale, comparivano le due principali forme con cui il fenomeno era (ed è tuttora) noto in Italia: l’introduzione di Giovanni Boccia Artieri a un testo di Henry Jenkins usava proprio social network, mentre il brano di Daniel Goleman attestava la formula social networking; nel primo testo il riferimento era ai siti basati sulla costruzione di reti di contatti organizzati in liste, nel secondo alla generale propensione per forme di collaborazione mediate dalle piattaforme digitali.

Il riferimento di social network alle piattaforme web che consentono all’utente di costruire un profilo pubblico o semipubblico e di organizzare le proprie liste d’amici è da qualche anno ampiamente attestato nel linguaggio dei media e nel parlato comune e sembra semplificare la formula social network sites, che mantiene invece una più stretta attinenza al fenomeno e viene preferita dalla comunità degli studiosi di internet studies. In un recente intervento (marzo-giugno 2009) all’interno della lista di discussione degli Association of Internet Researchers (AOIR), Danah Boyd e Nicole Ellison hanno allestito una precisa classificazione delle differenti espressioni usate in tema, emblematica di una loro utilizzazione specialistica ampiamente condivisa dagli studiosi: social network viene riferita ai legami tra persone, indipendentemente dall’ambiente che li supporta; online social network ai legami che prendono forma in spazi tecnologicamente mediati; social networking è la pratica di costruzione dei social network personali (mediati e non); online social networking l’attività correlata, espressa attraverso la frequentazione di tecnologie di rete; social network sites le piattaforme come MySpace e Facebook. La precisione terminologica è utile a disinnescare una pericolosa tendenza a scivolare in forme di determinismo che sembrano regalare alle piattaforme tecnologiche il potere di rinvigorire e sostenere i legami sociali. Siti come Facebook, infatti, consentono di articolare e gestire un network sociale concettualmente distinto e parzialmente indipendente dalla specifica tecnologia esperita dai navigatori. Rispetto a questo tema si osservano segnali contrastanti, che non esitiamo a definire paradossali. Il digitale – poderoso moltiplicatore delle possibilità di mutamento sociale – propone alle persone un ambiente ricco di chance che rischiano però di essere declinate al singolare; la rete dischiude inedite forme di autorappresentazione della propria cultura che possono concretizzarsi in forme di euforizzazione dell’io, in palese contrasto con la possibilità di sperimentare l’attraversamento di suggestivi bouquets relazionali.

Al di là delle valutazioni di ordine teorico è evidente che queste piattaforme calchino attualmente il centro della scena, conquistato in poco più di dieci anni di storia. La prima è stata Six Degrees (1997), che ha integrato una serie di funzioni già presenti; il nome faceva esplicito riferimento alle teorie dei sei gradi di separazione e alla possibilità per gli utenti di navigare tra i contatti secondo la formula “amico di un amico”. Nel 2001 è stato lanciato Ryze.com, esempio di sito orientato alle reti professionali (come sarà più tardi LinkedIn, lanciato nel 2003) e nel 2002 Friedster, oggetto di interesse accademico e primo sito per il social networking a raggiungere elevati livelli di diffusione (nel 2008 ha dichiarato 90 milioni di utenti). In tutti questi casi è stato possibile osservare un meticoloso lavorio degli utenti, che hanno, di fatto, orientato le potenzialità tecnologiche ai loro bisogni: Six Degrees ha conosciuto una fine prematura perché in quel periodo c’erano pochi utenti on-line e la possibilità di aggiungere contatti significativi era bassa; Friendster ha adottato una politica di eliminazione dei profili non strettamente appartenenti a persone come i gruppi musicali, possibilità che pochi anni più tardi avrebbe sancito il trionfo di MySpace. Ma la lista è ancora lunga, e va da siti per la condivisione dei contenuti musicali (Last.fm, fondato nel 2003) a quelli per la condivisione delle fotografie (Flickr, fondato nel 2004), fino a due giganti: MySpace, che inizia a diffondersi negli Stati Uniti a partire dal 2004, e Facebook, che nasce nello stesso anno per essere oggi, con più di 500 milioni di utenti, il più diffuso nei paesi occidentali.

Il recente protagonismo di questa forma di comunicazione vive di un’imbarazzante rimozione che fa partecipi i social network di una più generale retorica del nuovismo che accompagna le cronache riferite ai media digitali. Ma, a ben guardare, non c’è poi molto di nuovo nei siti per il social networking. Valga come riferimento il termine network, attestato in Italia sin dai primi anni ottanta con il significato metaforico di “artefatto (ingl. work e ted. Werk, da cui Netzwerk) che ha la forma o la struttura di una rete”. Utilizzato pochissimo (in riferimento, per esempio, ai network radiotelevisivi), è ora ampiamente presente sia nei testi specialistici sia nel racconto che i media fanno dello sviluppo della rete. La possibilità di sfruttare rappresentazioni grafiche del legame tra elementi è ancora più antica e fa riferimento alla teoria dei grafi, indispensabile punto di partenza per interpretare le successive applicazioni allo studio dei reticoli sociali a opera della social network analysis. Il matematico Eulero, nel 1763, aveva utilizzato una rappresentazione a grafo per dimostrare l’impossibilità di risolvere il “problema di Königsberg”: riuscire a compiere un percorso attraverso gli isolotti della cittadina che non passasse per più di una volta sullo stesso ponte. E si ricordi ancora, per concentrarci sul recente passato, il celebre – e metodologicamente contestato – esperimento di Stanley Milgram, che nel 1967 chiese ai soggetti selezionati, scoprendo alla fine il principio dei sei gradi di separazione, di recapitare un pacco postale in una vicina cittadina contando sui propri contatti diretti o, in alternativa, sfruttando passaggi di consegna intermedi (il già ricordato meccanismo dell’amico dell’amico). A questa poliedrica costellazione di riferimenti se ne aggiunge almeno un altro: la tradizione teorica della social network analysis che, secondo alcune ricostruzioni (cfr. A. M. Chiesi, L’analisi dei reticoli, Franco Angeli, Milano, 1999), affonda le sue radici nella sociometria di Jacob Levi Moreno (anni trenta) e nella Scuola di Manchester. Il campo applicativo di queste tecniche è vasto: lo studio della struttura relazionale dei gruppi di persone, l’analisi dei rapporti tra gruppi terroristici, i rapporti commerciali
fra Stati.

E siamo ai nostri giorni e alla prodigiosa crescita di Facebook in Italia. La piattaforma creata da Mark Zuckerberg è il social network per eccellenza, in grado di monopolizzare l’attenzione dei media mainstream e di calamitare l’attenzione dell’immaginario, anche per la sua capacità di attrarre utenti poco esperti di tecnologie. La domanda “Ci sei su Facebook?” sta entrando a far parte dei galatei sentimentali (e non) dei giovanissimi, che sempre più spesso entrano in contatto attraverso la mediazione della piattaforma. La presenza di molti ragazzi, e di utenti poco accorti dal punto di vista delle competenze tecnologiche, solleva questioni di sicurezza delle informazioni che vengono scambiate on-line, offrendo ai media tradizionali ricchi bacini di notizie che vanno dall’almanacco delle bizzarrie all’allarme sociale per gli usi più sconsiderati. Ma una nuova piattaforma ruberà prima o poi il centro della scena, declinando al futuro i bisogni e le aspettative degli internauti.