Cinque miti da sfatare sulla crisi greca

Si può aspettare, e non è tutta colpa della Grecia, spiega tra l'altro il Wall Street Journal

Simon Nixon è un giornalista del Wall Street Journal, vive a Londra e per il giornale cura la rubrica “Heard on the Street” (“Sentito per strada”), dove si occupa di fare chiarezza sui temi economici di attualità, smontando se necessario dicerie e convinzioni sbagliate sul mondo degli affari e l’economia in genere. In un articolo pubblicato martedì, Nixon ha analizzato la crisi economica della Grecia, provando a sfatare i luoghi comuni e i miti più ricorrenti da quando sono iniziati i guai più seri per il paese, circa un anno fa.

1. La Grecia è insolvente.
No, non lo è. Come hanno fatto notare alcuni economisti, i default dello Stato (il termine tecnico che sostanzialmente indica il fallimento sul fronte economico di un paese) sono in genere legati alla disponibilità a pagare più che alla effettiva capacità di pagare. La Grecia è piena di beni e possiede un enorme potenziale per tagliare la spesa, aumentare le imposte e migliorare la produttività se davvero vuole fare qualche sacrificio. La sfida per la Grecia è comprendere se i cambiamenti che sono necessari siano politicamente sostenibili, non capire se si stia rischiando l’insolvenza.

2. Il fallimento è nell’interesse della Grecia
Difficilmente. Il paese ha ancora un grande disavanzo primario (la differenza negativa tra entrate e spese pubbliche in un dato periodo di tempo), e quindi anche se imponesse tagli per chi possiede obbligazioni (lo Stato le vende per fare cassa e poi le rimborsa dopo un certo periodo di tempo con gli interessi) dovrebbe comunque prendere in prestito altro denaro o affrontare enormi tagli alla spesa in brevissimo tempo per tenere i conti in equilibrio. Inoltre, il sistema bancario greco collasserebbe perché con il fallimento il suo capitale verrebbe spazzato via e i suoi fondi prosciugati; la Banca Centrale Europea prevede poi che in un caso simile le obbligazioni del governo greco non avrebbero più valore. E non sarebbe facile nemmeno la strada dell’abbandono dell’euro, perché questo metterebbe sotto fortissimo stress il sistema bancario.

3. Un fallimento della Grecia non sarebbe uguale alle conseguenze portate dal fallimento della Lehman Brothers
Persino il governo tedesco ora sembra riconoscere di essere stato troppo conciliante nell’immaginare che i mercati fossero pronti per una ristrutturazione del debito greco. La Germania ha sbagliato nel prendere solamente in considerazione gli effetti di primo piano sui capitali bancari, trascurando gli effetti secondari sul governo e i costi per i prestiti bancari che potrebbero portare ai danni più seri. Quello della Lehman fu uno shock molto duro per il mercato, mentre un fallimento della Grecia potrebbe favorire una depressione dei mercati su scala globale a causa della riduzione del credito.

4. Non possiamo continuare a tergiversare
Certo che possiamo. Il tempo è la miglior medicina. Anche se c’è il rischio che il default della Grecia diventi inevitabile, ci sono delle buone ragioni per aspettare: in parte per incoraggiare il Portogallo e l’Irlanda a tener fede ai loro piani di risanamento e salvataggio, ma soprattutto per rassicurare gli investitori e lasciare che continuino ad acquistare altro debito bancario e dei governi. La zona dell’euro ha bisogno di evitare qualsiasi fallimento fino a quando paesi come la Spagna e l’Italia riusciranno a cavarsela e a uscire dalla zona di maggior pericolo. Anche se non piacerà ai tedeschi, che sostanzialmente pagano la fetta più grande del debito greco, la Grecia avrà probabilmente bisogno del sostegno economico degli altri paesi almeno fino al 2013.

5. È tutta colpa della Grecia
Non completamente. Ora che l’area dell’euro ha accettato che non ha altra valida alternativa se non quella di dare ancora una mano alla Grecia, il suo obiettivo dovrebbe essere quello di assicurarsi che le cose vadano per il meglio. Ma ancora adesso l’eurozona sta dando alla Grecia tassi di interesse punitivi rendendo più difficili le cose al paese in cattive acque. Questo non ha senso. L’Europa ha bisogno di una maggiore integrazione politica, un problema rimandato a lungo e che prima o poi dovrà essere affrontato seriamente.