Dichiarare bancarotta conviene?

Un grafico dell'Economist spiega come sono andate le cose nei paesi andati in default, o che sono a rischio come la Grecia

Il timore di un default dello Stato, il termine tecnico che sostanzialmente indica il fallimento sul fronte economico di una nazione, accompagna da oltre un anno molti paesi, che non sono riusciti a contenere gli effetti della crisi economica e arginare il debito pubblico. Le preoccupazioni più grandi in Europa sono per la Grecia, che si appresta a varare un piano di tagli molto duro e un progetto di privatizzazione di numerose aziende pubbliche, allo scopo di fare cassa e rispettare i patti con l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale.

Eppure, a guardare il grafico realizzato dall’Economist, gli effetti di un default vengono spesso recuperati rapidamente sul fronte del PIL dalle economie dei paesi che dichiarano fallimento. Il grafico mostra l’andamento in percentuale del prodotto interno lordo prima (barre azzurre) e dopo il default (barre blu) sulla base di cinque anni. L’Argentina, per esempio, vide ridursi il proprio PIL del 10,9 per cento nell’anno seguente al default del dicembre 2001. Ma le cose iniziarono a migliorare già negli anni seguenti portando a una importante crescita del PIL. Qualcosa di analogo accadde anche a Russia, Uruguay e Indonesia.

Come ricordano analisti ed economisti ci sono comunque molte altre variabili da valutare, tali da rendere sconsigliabile il default e raccomandabili azioni di recupero e salvataggio delle economie nazionali. I default si verificano solitamente nei momenti più bassi dei cicli economici, quindi gli anni che li precedono tendono a essere anni con una crescita molto bassa rispetto a quella media dei paesi a rischio fallimento.