Il terzo occhio

Marco Belpoliti riflette su come è cambiato il nostro rapporto con le fotografie (e con il mondo)

Nella sua rubrica sulla Stampa dedicata ai cambiamenti che riguardano oggetti e consuetudini quotidiane, Marco Belpoliti scrive oggi dei nostri rapporti con la fotografia di quello che vediamo.

Dinanzi al celebre quadro della pinacoteca i turisti giapponesi stanno tutti con le mani alzate; impugnano il cellulare, o smartphone, e inquadrano. La medesima scena si ripete alla festa di fine d’anno della italianissima scuola materna; mentre i bambini stanno cantando in coro, mamme e papà inquadrano con il visore teso sopra le loro teste.

Sembra che stiano usando il terzo occhio, l’occhio frontale di Shiva, che poi corrisponde nella simbologia indiana al fuoco: la messa a fuoco. In effetti, la macchina digitale che si trova nel cellulare, con cui ora tutti scattano fotografie, o fanno riprese, è un oggetto luminoso, a colori, più colorato della stessa realtà circostante, e che lampeggia sopra le teste di tutti. Somiglia a un altro occhio, un occhio in più. Con l’introduzione dei nuovi sistemi di fotografia elettronica, e la loro inclusione nel cellulare, è cambiato lo statuto stesso della fotografia. Non più foto, bensì immagini. Questo non è solo un fatto concettuale; dal punto di vista materico, la foto non è più l’effetto della luce che s’imprime per via fisica e chimica sulla pellicola, ma diventa un processo elettronico, fisicamente smaterializzato. Ce lo ricorda Qentin Bajac in un recente libro: Dopo la fotografia. Dall’immagine analogica alla rivoluzione digitale (Contrasto). Inoltre, con la rivoluzione digitale è mutata anche la fruizione delle immagini.

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