Cosa sappiamo delle infezioni da E. coli

Ci sono migliaia di casi in Europa e almeno 18 morti, ma niente panico: basta lavare bene frutta e verdura

di Emanuele Menietti

A una settimana di distanza dai primi casi in Germania, le infezioni da batterio Escherichia coli continuano a diffondersi in Europa, spingendo molti paesi a fermare l’importazione di alcuni tipi di frutta e verdura, ritenute le possibili fonti del contagio. L’infezione causa forti dolori addominali accompagnati da diarrea sanguinolenta e febbre. Nei casi più gravi, il batterio può portare a gravi forme di insufficienza renale, che a volte si possono rivelare fatali.

Le autorità sanitarie della Germania stimano che nel paese ci siano stati almeno 1.064 casi di dissenteria emorragica e almeno 470 casi di insufficienza renale indotti da E. coli. Diciassette persone sono morte in Germania e una in Svezia. Altri pazienti hanno presentato sintomi simili riconducibili a una infezione da batterio in Danimarca, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito. Il timore è che il batterio continui a diffondersi nei prossimi giorni a causa della sua particolare aggressività, mai riscontrata prima in questo ceppo di batteri secondo l’Organizzazione mondiale della sanità.

Escherichia coli appartiene al gruppo degli enterobatteri ed è il batterio più comune che vive nella parte inferiore del nostro intestino e in quello di migliaia di altri animali a sangue caldo. La sua presenza è fondamentale per i processi digestivi del cibo, ma a volte alcune sue varianti possono provocare malattie gravi nell’uomo e negli altri animali che lo ospitano. Le varianti solitamente più pericolose appartengono ai ceppi EHEC (Escherichia coli enteroemorragico) e sono presenti nel bestiame. All’uomo arrivano attraverso cibi contaminati come carne poco cotta, latte non pastorizzato o frutta e verdura concimate con letame infetto e consumata cruda senza un lavaggio accurato.

Dal momento della segnalazione dei primi casi di E. coli in Germania, diversi centri di ricerca si sono messi al lavoro per identificare il ceppo di appartenenza del batterio. Dai primi risultati, sembra che la variante non fosse ancora nota e che sia particolarmente aggressiva. L’Istituto di Genomica di Pechino (BGI) ha annunciato poche ore fa di aver completato la sequenza dei 5,2 milioni di basi che costituiscono il genoma del batterio, il suo DNA. La ricerca ha messo in evidenza la presenza di alcuni geni particolarmente virulenti, non presenti nelle altre varianti di E. coli, tali da rendere il batterio EHEC “supertossico”.

La scoperta del BGI è stata sostanzialmente confermata anche dalla società Life Technologies Corporation, che utilizza sistemi all’avanguardia per velocizzare lo studio del DNA. Secondo i ricercatori, che hanno lavorato in collaborazione con l’Università di Münster, una delle più grandi della Germania, i primi risultati indicano la presenza di una variante ibrida, che potrebbe diffondersi rapidamente.

Ulteriori ricerche forniranno informazioni aggiuntive sulle caratteristiche del batterio e quindi sul modo migliore per contrastarlo. Gli esperti del BGI hanno anche notato che l’attuale variante ha circa il 93 per cento del proprio patrimonio genetico in comune con EAEC 55989, un tipo di E. coli scoperto nella Repubblica Centrafricana e noto per causare forme gravi di diarrea. La variante europea sarebbe però più aggressiva e si ipotizza che abbia alcuni geni in comune con il batterio della salmonella enterica.

La variante del batterio è inoltre resistente a numerosi antibiotici, solitamente utilizzati per contrastare le infezioni da E. coli. Sull’utilizzo stesso degli antibiotici per curare le infezioni da EHEC ci sono pareri discordanti tra i ricercatori. Secondo alcuni sono necessari per ridurre la loro proliferazione nei pazienti infetti, mentre secondo altri l’utilizzo degli antibiotici uccide i batteri, ma comporta la diffusione delle loro tossine nell’organismo. Nella maggior parte dei casi, l’infezione passa da sola dopo tre – quattro giorni di dissenteria e non lascia particolari conseguenze.

Lo studio di questa variante di E. coli è importante anche per capire quale sia stata la fonte primaria che ha portato alle prime infezioni. Nei giorni scorsi si era ipotizzato che la causa fosse una partita di cetrioli coltivati in Spagna ed esportati in Germania. Successive ricerche hanno dimostrato che i cetrioli spagnoli non c’entravano nulla, ma l’allarme dei primi giorni ha comunque portato a un blocco delle importazioni di questi vegetali in molti paesi europei, causando un serio danno economico alla Spagna, che ora vuole chiedere un risarcimento. La Russia per precauzione ha interrotto le importazioni di verdura europea, spingendo l’Unione Europea a protestare formalmente per una decisione ritenuta sproporzionata rispetto agli effettivi pericoli causati dall’infezione.

La diffusione della variante di E. coli è preoccupante e insolita, ma non deve comunque causare panico o inutili allarmismi. La situazione in Italia è tranquilla e basta seguire alcune regole elementari per ridurre al minimo la possibilità di contrarre il batterio. Questo può essere trasmesso mangiando cibi infetti o durante la preparazione degli stessi.

Come spiegano sul sito del ministero della Salute, bastano un po’ di buon senso e accortezza.

– Prima di preparare da mangiare lavati le mani con acqua e sapone accuratamente, per più di trenta secondi.
– Conserva e prepara la carne cruda separatamente dagli altri alimenti, non utilizzando gli stessi utensili per carne, frutta e verdura.
– Lava con acqua calda e strofinando energicamente la frutta e la verdura per almeno trenta secondi prima di consumarla, specialmente se cruda.
– Se mangi frutta e verdura sbucciate riduci di molto il rischio di infezione, anche se non elimini del tutto i germi.

Come tutti i batteri E. coli, anche questa variante sopporta poco il calore. Se cuoci il cibo, assicurati che al suo interno la temperatura superi i 70 gradi per almeno due minuti. Nel caso di forti dolori addominali accompagnati da febbre e dissenteria occorre bere molto e assumere fermenti lattici. Una telefonata al medico di famiglia non guasta.

foto di Sean Gallup/Getty Images