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  • Mercoledì 1 giugno 2011

Tutto sugli ascensori

Qual è il paese con più ascensori al mondo? A cosa serve il tasto di chiusura porte? Storia e notizie del mezzo di trasporto che usiamo di più

di Giovanni Zagni

Anche al più insensibile sarà capitato di avere un momento di incertezza durante un viaggio in ascensore e di considerare la possibilità che si fermi a metà tra due piani. Poi avrà alzato le spalle (è un insensibile) e avrà pensato di premere risolutamente il bottone di chiusura delle porte e partire più in fretta.
Gli ascensori hanno un ruolo da protagonista nella costruzione del nostro mondo (non esisterebbero i grattacieli, senza, ma neanche i palazzi alti), nelle vite quotidiane, e nell’immaginario colletivo, metaforico e non. E siti e giornali soprattutto americani ne raccontano storia, funzionamenti e cose ignote ai più: per esempio che quell’incertezza iniziale è giustificata, ma viaggiare in ascensore è comunque molto meno pericoloso che viaggiare in auto; e anche che premere quel bottone è molto probabilmente inutile.

Incidenti in ascensore
Ci sono due modi principali per far funzionare un ascensore. Nel primo, semplificando, un motore elettrico in cima all’edificio fa girare una ruota attorno a cui scorrono degli spessi cavi di acciaio, a cui sono appesi da una parte la cabina e dall’altra un contrappeso (che pesa circa il 40% più della cabina). Tra la ruota e il motore c’è un argano, che serve a ridurre il numero di giri tra il motore e la ruota: una specie di vite senza fine che di solito, per ogni cinquanta giri del motore, fa fare alla ruota (più propriamente alla puleggia) un giro solo. Questo sistema si chiama trazione elettrica ad argano. Nel secondo, invece, detto a trazione oleodinamica, il motore sta in basso e aziona una pompa. La pompa spinge del fluido in un pistone, che solleva la cabina; per far scendere l’ascensore, il pistone si svuota lentamente del fluido. Negli impianti a trazione oleodinamica non c’è il contrappeso, il motore è molto più potente e si possono usare in edifici alti al massimo una ventina di metri.

Quando vedete un film in cui una cabina precipita nel vuoto per la rottura dei cavi, si tratta inevitabilmente di ascensori a trazione ad argano. Nella realtà la possibilità che questo succeda è molto bassa. Gli ascensori sono di solito sostenuti da sei o otto cavi, ciascuno dei quali è abbastanza robusto da reggere l’intera cabina più il venticinque per cento del suo peso. Un apposito cavo è collegato a un apparecchio che registra se l’ascensore sta scendendo più velocemente della velocità massima prevista: in quel caso attiva i freni di emergenza, un tempo costruiti in bronzo, che sono installati nel vano in cui scorre la cabina e la fermano in modo abbastanza lento da non causare pericoli a chi ci sta dentro. La possibilità di incidenti gravi è molto bassa, in percentuale. Negli Stati Uniti muoiono in media ventisei persone all’anno, su circa 600.000 impianti: la maggior parte sono tecnici della manutenzione. Solo nella città di New York ci sono 58.000 ascensori, che fanno circa 30 milioni di viaggi al giorno.

Invece è ben più probabile che un ascensore si fermi improvvisamente tra due piani durante la corsa, per qualche guasto al sistema elettrico o malfunzionamento che attiva i numerosi meccanismi di sicurezza. Secondo una rivista specializzata dei vigili del fuoco americani, statisticamente a ciascuno di noi capita almeno una volta nella vita di rimanere bloccato in ascensore. Nel qual caso, la cosa migliore da fare è non fare nulla (a parte schiacciare il pulsante dell’allarme): gran parte degli incidenti, dicono le industrie produttrici, è causata da errori umani. Non bisogna cercare di forzare le porte chiuse e non bisogna arrampicarsi sopra o sotto la cabina. Il posto più sicuro dove stare, se un ascensore ha dei problemi, è dentro l’ascensore. Questo è il motivo per cui la botola di emergenza in cima alla cabina è sempre chiusa. Viene sbarrata con un lucchetto dall’esterno: il suo scopo è di permettere ai soccorritori di entrare, non ai passeggeri di uscire.

L'edificio di prova dell'Otis Elevator Research Center, a Bristol, Connecticut: 29 piani e 13 vani per ascensori. (AP Photo/Bob Child)

L’inventore degli ascensori
L’Italia risulta avere il numero più alto di ascensori del mondo: nel 2008 erano circa 850.000, secondo un’indagine dell’italiana ANIE (Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche). Seguono a distanza gli Stati Uniti, con più di 600.000 impianti. Nonostante il primato italiano, la storia degli ascensori moderni è quasi tutta americana.

Piattaforme sollevate da carrucole esistevano da tempi antichissimi. Intorno al 1850 c’erano già i motori che avrebbero potuto muovere le cabine, ma lo sviluppo di impianti che potessero essere utilizzati negli edifici per trasportare le persone era bloccato dalla scarsa sicurezza. Mancava un’invenzione che impedisse la caduta verticale della cabina nel caso di rottura delle funi. L’idea venne a un meccanico e inventore di Halifax, nel Vermont, di nome Elisha Graves Otis, che la provò nella fabbrica di letti Maize & Burns, dove lavorava, a Yonkers (nello stato di New York). Ricevette grande pubblicità quando diede una dimostrazione pratica dell’efficacia del suo sistema davanti a una folla di persone: nel 1854, al Crystal Palace di New York, Otis salì su una piattaforma retta solo da una fune e si sollevò a diversi metri da terra. Poi diede ordine che la fune venisse tagliata con un’ascia. Il freno entrò in funzione immediatamente e la piattaforma rimase sospesa.

La sua invenzione lo farà passare alla storia come “l’inventore dell’ascensore”. Otis installò il primo impianto per passeggeri in un grande magazzino di New York poco tempo dopo, nel 1857, ma morì nel 1861, prima di compiere cinquant’anni. Oggi la Otis è una delle aziende produttrici e installatrici di ascensori più grandi del mondo, insieme alla svizzera Schindler, alla tedesca ThyssenKrupp, alla finlandese Kone e alla giapponese Mitsubishi. Gran parte del mercato, oggi, è nelle città di nuova costruzione del Golfo Persico e della Cina.

La difficile arte del progettare ascensori
L’ascensore ha reso possibile i grattacieli e lo sviluppo verticale delle città. Decidere quali e quanti ascensori costruire in un edificio può essere estremamente complicato. Le variabili principali dell’elevatoring sono il tempo e lo spazio: tenendo conto di quante persone usano in media gli ascensori, e con quale frequenza, bisogna stabilire quanti costruirne, dove, quanto veloci e così via. La progettazione ideale è quella che permette che si vada su e giù rapidamente, senza che troppo spazio ai piani sia destinato agli ascensori. Nel caso di edifici molto alti, questo spazio poteva diventare proibitivo per la costruzione degli edifici e limitare l’altezza massima dei grattacieli. Almeno finché, nel 1973, i progettisti del World Trade Center non introdussero la sky lobby, una specie di stazione di scambio: un ascensore portava direttamente al venticinquesimo o al trentesimo piano, e da lì poi si prendeva un altro ascensore “normale” che fermava ad ogni piano.

Quanto ai tempi, un sistema di ascensori è ritenuto ottimale se è in grado di portare il tredici per cento della popolazione totale dell’edificio (ipoteticamente tutta in attesa) a destinazione entro cinque minuti. Le attese variano a seconda del tipo di edificio: negli Stati Uniti un grattacielo di uffici ha dei passeggeri disposti ad aspettare al massimo trenta secondi, quindi gli ascensori devono arrivare, in media, entro venti secondi. In un hotel o in un condominio la soglia di tolleranza si alza, ma solo di dieci o venti secondi.

La psicologia in ascensore
La paura degli ascensori è un tipo di claustrofobia. Dal punto di vista psicologico, la diffidenza o la paura verso gli ascensori nasce dal fatto che in uno spazio così ristretto non possiamo mettere in atto uno dei comportamenti di difesa innati nell’uomo, quello del “combatti o scappa”. Rimanere a lungo bloccati in ascensore poi può essere un’esperienza traumatica: in un lungo reportage il New Yorker ha raccontato la storia di Nicholas White, un dirigente di 34 anni della rivista Business Week, che una sera in cui era rimasto a lavorare fino a tardi decise di scendere dal suo ufficio per fumare una sigaretta. Rimase bloccato per 41 ore nell’ascensore numero 30 dell’edificio dove lavorava. La sua permanenza forzata nella cabina è stata interamente filmata da una telecamera di sicurezza: otto guardie si sono date il cambio davanti agli schermi delle telecamere a circuito chiuso del palazzo prima che qualcuno si accorgesse di White e lo contattasse con l’interfono. Di seguito, il video accelerato della sua disavventura: si vede White provare ad aprire le porte, fumare, dormire disteso sul pavimento. Alla diciannovesima ora si vedono operai controllare gli ascensori a fianco del suo.

Quando tornò in ufficio dopo essere stato tirato fuori, trovò sulla sua scrivania un messaggio arrabbiato da parte di un collega che venerdì sera era rimasto a lavorare fino a tardi insieme a lui, che lo rimproverava per essersene andato prima della conclusione del lavoro. Dopo l’incidente, White non è più tornato a lavorare a Business Week, ma prende ancora gli ascensori.

Al di là degli episodi estremi, ci sono molti altri comportamenti particolari legati agli ascensori. Quando degli estranei entrano nella stessa cabina, si dispongono nella stragrande maggioranza dei casi allo stesso modo. Due persone occuperanno gli angoli più lontani dall’ingresso, un terzo si metterà davanti alle porte, un quarto farà spostare il terzo verso uno dei due angoli rimasti liberi e liberando così lo spazio, al centro, per un quinto passeggero. Raramente gli sguardi si incontrano, e si tende a guardare in su o in giù, anche se spesso gli specchi aumentano il disagio. L’obiettivo è sempre quello di mantenere la massima distanza tra le persone, compatibilmente allo spazio: molte persone si trovano a disagio quando uno sconosciuto si avvicina a meno di sessanta centimetri circa, la distanza a cui si può avvertire l’odore e la temperatura di un altro corpo.

Nel campo degli affari esiste poi il mito dell’elevator pitch: ovvero il discorso che un dipendente deve tenersi pronto nel caso in cui gli capiti la rara fortuna di fare un viaggio in ascensore con un dirigente importante dell’azienda. Avrà circa un minuto per raccontargli il suo progetto brillante: dovrà essere rapido e conciso. Per chi si volesse allenare, la Harvard Business School fornisce un “Elevator Pitch Builder” per aiutare i suoi allievi (e gli interessati) nella preparazione.

Il futuro degli ascensori
Anche se nei suoi meccanismi fondamentali gli ascensori sono cambiati poco dalla metà dell’Ottocento, gli ultimi anni hanno visto qualche innovazione degna di nota. I cavi di acciaio hanno alcune limitazioni imposte dalle leggi della fisica. Oltre i cinquecento metri di lunghezza, diventano troppo pesanti per essere pratici, e oltre i 950 metri il loro stesso peso li fa allungare e rompere. La Otis ha introdotto da pochi anni un sistema per sostituire i cavi con cinture piatte fatte di poliuretano rinforzato: questa innovazione, che rende il sistema di trazione più leggero, più resistente e più conveniente dal punto di vista energetico, ha anche reso possibili impianti che occupano meno spazio.

Fino alla fine degli anni Cinquanta, gli ascensori erano manovrati da operatori in cabina che provvedevano manualmente a fermarsi ai piani desiderati. Nell’arco di qualche anno si passò al sistema automatico con i pulsanti in cabina che viene utilizzata ancora oggi: ma una delle novità degli ultimi anni riguarda proprio la possibilità di eliminare la pulsantiera. La Schindler e la Otis, infatti, hanno installato in alcune centinaia di edifici degli Stati Uniti (soprattutto sedi di uffici, o alberghi) un sistema centralizzato di gestione degli ascensori. Gli utenti selezionano su una consolle al piano terra il piano a cui vogliono andare e vengono indirizzati a un ascensore stabilito dal sistema. Questo può allungare i tempi di attesa, ma i viaggi sono senza interruzioni (e senza le snervanti “fermate fantasma”, quando l’ascensore si ferma e non entra nessuno) e c’è meno gente per ogni cabina. E ci sono anche altri vantaggi: a Denver, uno studio legale ha chiesto alla Schindler che il sistema di controllo non assegni mai lo stesso ascensore ai suoi impiegati e ai dipendenti di un ufficio dell’Internal Revenue Service, l’ente statunitense che si occupa delle tasse che ha sede nello stesso palazzo.

Gli “ascensori intelligenti” non hanno bottoni all’interno, perché sanno già qual è la destinazione dei passeggeri. Ma se sarà questo il sistema del futuro, dovranno fare di nuovo i conti con la psicologia: alcune persone provano un senso di disagio a non poter intervenire durante il viaggio in ascensore, sentendosi in qualche modo “rapiti” dalla macchina. I costruttori, in passato, hanno dimostrato di conoscere bene questo desiderio di tenere le cose sotto controllo: questo è il motivo per cui, nella maggior parte degli impianti costruiti a partire dagli anni Novanta, il pulsante di chiusura delle porte non funziona normalmente, ma solo quando viene inserita la chiave. È lì per dare l’impressione che funzioni, e per convincerci che in realtà siamo noi a poter decidere quando partire (o almeno di partire più in fretta) ma premerlo non ha nessun effetto. Come dice il New Yorker, è un po’ come una piccola preghiera.

foto: Mario Tama/ Getty Images