La pillola si può migliorare?

Sui giornali americani un dibattito sull'innovazione del metodo anticoncezionale femminile più diffuso

Nel 2004 una ricerca mostrò che il 20% delle donne americane non era soddisfatto del metodo contraccettivo che utilizzava. Oggi Ann Friedman sul sito Good.is (parte del network americano GOOD, che pubblica anche una rivista trimestrale su temi ambientali, educativi e filantropici) ritorna sul fatto che i metodi contraccettivi per le donne rimangano, oggi, largamente insoddisfacenti. Le sue critiche si rivolgono soprattutto alla pillola anticoncezionale.

La pillola funziona essenzialmente somministrando alla donna una dose aggiuntiva dell’ormone progesterone, che, dopo il periodo di produzione degli ovuli, prepara l’utero per l’impianto di eventuali embrioni e favorisce la gravidanza, ma d’altra parte blocca la produzione di ovuli nuovi. Quando una donna è incinta, i livelli di progesterone salgono per impedire nuove fecondazioni che possano minacciare la gravidanza già in atto. L’ormone è, in altre parole, la principale sostanza contraccettiva già presente nel corpo della donna. Con la pillola, questa è assunta in dosi e per periodi tali da bloccare del tutto l’ovulazione, ed è combinata con estrogeni per non avere conseguenze negative sui tessuti uterini.

Diversi studi hanno dimostrato che il metodo ormonale, però, peggiora sensibilmente l’umore e diminuisce il desiderio sessuale. Uno studio recente, dice Friedman, ha mostrato che solo il 57% delle donne americane che utilizzano la pillola ne è soddisfatta. La chimica della pillola, inoltre, è rimasta sostanzialmente invariata nei cinquant’anni successivi alla scoperta: altri metodi ugualmente efficaci non sono stati scoperti, per cui le donne non hanno altra scelta alternativa, per evitare le controindicazioni, che astenersi dai rapporti, basarsi rischiosamente sulla tabella dei propri periodi fertili o lasciare la contraccezione all’uomo. Che, da parte sua, ha a disposizione solamente il preservativo, dato che la famosa “pillola maschile” viene annunciata come imminente da almeno trent’anni, senza che compaia mai in commercio.

Il mercato per nuovi metodi contraccettivi è potenzialmente vastissimo, dato che la quasi totalità delle donne occidentali ne utilizza almeno uno nel corso della sua vita; si tratta di decine di milioni di persone solo negli Stati Uniti. Perché le grandi case farmaceutiche non sono riuscite a sviluppare nuovi prodotti negli ultimi anni?

All’articolo di Friedman ha risposto su The Atlantic Megan McArdle, elencando alcuni motivi per cui dagli anni Cinquanta si sono fatti in effetti pochi passi avanti, e probabilmente se ne faranno altrettanto pochi nel prossimo futuro.

Per prima cosa, l’estrogeno e il progesterone sono i due principali ormoni sessuali, e quindi le principali sostanze su cui si deve basare la contraccezione con mezzi chimici. Potrebbe essere che sì, il meccanismo da scoprire sia solamente quello scoperto cinquant’anni fa e non ci siano margini di innovazione. E poi nel nostro corpo a questi ormoni sono collegati altri meccanismi che aiutano la donna a desiderare e ad essere desiderabile quando è fertile: per cui, anche in questo caso, intervenire in quei meccanismi può rendere inevitabile anche una diminuzione del desiderio e dell’attrattiva.

E poi ci sono questioni di mercato e di controllo sanitario, aggiunge McArdle: intervenire in un settore dove ci sono già molti marchi e molti prodotti è molto difficile e abbassa i margini di guadagno. Se una ditta volesse commercializzare un nuovo metodo, poi, dovrebbe dimostrare con dati molto convincenti che la sua efficacia è maggiore e i suoi effetti collaterali sono minori: questo vorrebbe dire compiere test molto approfonditi su molte persone, e dunque test molto costosi senza avere la certezza del successo. Un grave e irreversibile effetto indesiderato, anche in un caso su un milione, stroncherebbe il progetto senza appello. E dunque, conclude McArdle, è difficile che nel campo della contraccezione venga fuori qualcosa di realmente nuovo e migliore della pillola.

foto: AP Photo/Jerry Mosey