Con questo le vittime non c’entrano

Sabina Rossa spiega al Foglio come la scarcerazione dell'assassino di suo padre non debba passare per il suo perdono

Sabina Rossa è figlia di Guido Rossa, l’operaio e sindacalista genovese ucciso nel 1979 dalle Brigate Rosse perché aveva denunciato un appartenente al gruppo terroristico. Nei giorni scorsi l’uomo che lo uccise è stato scarcerato anche grazie al consenso di Sabina Rossa, che ne ha parlato con Annalena Benini del Foglio.

Sabina Rossa, deputata del Pd, si ricorda di quando era piccola e suo padre tornava dalla fabbrica e si fermava sotto casa, ai giardinetti, per guardare lei e gli altri bambini che giocavano. “Si arrampicava sulle srutture di ferro, attirava subito l’attenzione di tutti, e sapeva fare una magia speciale: raccoglieva i sassolini e li trasformava in caramelle da offrirci”. Guido Rossa è stato ucciso proprio sotto casa, a Genova, una mattina del 1979 (aveva quarantaquattro anni), e Sabina uscì poco dopo per andare a scuola, alle magistrali, passò accanto alla macchina del padre ma non vide il suo corpo riverso sul volante. Se ne accorse lo spazzino. Dopo trent’anni Vincenzo Guagliardo, il brigatista che sparò i primi colpi a Guido Rossa e venne condannato all’ergastolo, ha avuto la libertà condizionale.
Non deve più tornare in carcere la sera a dormire, non è più un ergastolano, grazie a Sabina Rossa, che ha combattuto per lui, che ha chiesto al giudice di liberarlo, e poiché il giudice rispondeva che la sua richiesta era “isolata e poco rappresentativa”, ha cercato altre persone, altre vittime, “persone che voglio ringraziare”, racconta al Foglio con gli occhi che luccicano, lo sguardo fiero di chi sa che ci sono le cose giuste e sbagliate, e lei ha fatto quella giusta. “Queste persone, di cui non posso fare i nomi, provano come me fastidio per l’interpretazione che viene data dai giudici al concetto di ravvedimento. In questo sistema reocentrico il ravvedimento significa perdono da parte delle vittime, a cui vengono mandate lettere ferocemente burocratiche in cui si chiede se perdonano l’assassino. Ma il perdono è un fatto privato, dentro il quale ci sta una vita intera, un percorso, un pathos, un’energia, non è la logica dello scambio, e l’applicazione di una legge non deve essere una questione fra vittime e colpevoli”.

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