Le 18 canzoni più belle di De Gregori

Che oggi compie gli anni: e a guardare nei ricordi sembra ancora ieri

Francesco De Gregori è nato a Roma il 4 aprile 1951. Il Post si unisce agli auguri e alle celebrazioni riproducendo la selezione personale delle sue più belle canzoni compiuta da Luca Sofri (il peraltro direttore del Post) in Playlist, nel 2008.

Oltre a essere stato sempre dannatamente bravo, De Gregori è “il” cantautore italiano. Non si è mai addolcito in canzoni d’amore convenzionali e si è sempre preso molto sul serio. E ha fatto sempre di tutto per farsi prendere molto sul serio, mostrando di divertirsi solo in occasioni rarissime: come se facesse tutto per la posterità o per qualche ente morale superiore. Ma se c’è un ente morale superiore, le canzoni di De Gregori gli piaceranno senz’altro: come a tutti.

Alice (Alice non lo sa, 1973)
“E Cesare, perduto nella pioggia, sta aspettando da sei ore il suo amore, ballerina”. «La ragazza che lo frastorna è appunto una cantante-ballerina, che lavora nel caffè-concerto La Meridiana […]. Una sera, dopo averla sentita cantare, Pavese rompe la sua timidezza, prende il coraggio a due mani, e fissa con lei un appuntamento. Aveva scambiato con la ragazza qualche parola nelle sere precedenti, e ne aveva ricavato l’impressione che non fosse disattenta alle sue premure, fatte soprattutto di sguardi insistenti. L’appuntamento è per le sei del pomeriggio, di fronte alla porta principale del caffè. Alle sei in punto, Pavese è in attesa. Ma l’attesa si prolunga; la cantante-ballerina non arriva né alle sei, né alle sette, né alle nove. Pavese aspetta sempre, e prolungherà l’attesa fino alla mezzanotte. Non lo fa deflettere dal suo proposito la pioggia insistente che dalle undici gli cade addosso; né si muove quando è certo che la ragazza non verrà più. Soltanto quando un orologio batte i dodici tocchi della mezzanotte, triste, annichilito, si decide a tornare a casa fradicio d’acqua e di freddo. Saprà l’indomani che la ballerina è uscita alle sei in punto, ma da una porta secondaria del caffè, dove la aspettava un meno insistente ma più fortunato spasimante. La notizia, la pioggia, il freddo lo prostrano nel morale e nel fisico. Dopo la prima febbre, si aggrava e lo colpisce una pleurite che lo costringerà a disertare per tre mesi la scuola» (Davide Lajolo, Il vizio assurdo, storia di Cesare Pavese, Il Saggiatore).

La casa di Hilde (Alice non lo sa, 1973)
Una passeggiata con un padre, da bambino. Molto romanzata, si immagina: il padre di De Gregori era un illustre bibliotecario, difficile immaginare trafficasse in diamanti con una misteriosa suonatrice di cetra. Una canzone molto Cohen.

Il ragazzo (Alice non lo sa, 1973)
“È quasi ora di cena, quando viene giù: suo padre ormai non lo capisce più”. Il ragazzo ha qualcosa che non va, ma è solo perché è un ragazzo: “chissà la gente che ne sa?”. Dei suoi segreti e del suo mondo, che ne sa?

Niente da capire (Francesco De Gregori, 1974)
Giovanna Marinuzzi (che non è Giovanna Marini, che pure lei avrebbe avuto a che fare con De Gregori) è una cantante e chitarrista innamorata della musica brasiliana, di cui è diventata la più importante interprete in Italia. Cominciò al Folkstudio, come De Gregori: ed è lei la Giovanna di “Niente da capire”.

Informazioni di Vincent (Francesco De Gregori, 1974)
“È una sera che il fiore mi pesa”: adesso non ci si fa più caso, ma il problema con le canzoni di De Gregori, i primi tempi, è che non ci si capiva un beneamato cappero. Chi è ‘sto Vincent? Che informazioni ha? C’è una rivalità sentimentale? (Perché lei dovrebbe voltarsi dall’altra parte e fare quello che Vincent non permetterebbe mai?) E la foto di Angela Davis, che ci fa? Chi lo aspetta, a Parigi? Così passavano le giornate, a sentire quei dischi: lambiccandosi. Poi ci si è fatto il callo.

Rimmel (Rimmel, 1975)
Quando lui canta “e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro”, mi viene sempre un dubbio. Non è che voglio saperla più lunga del sommo, per carità. Probabilmente sbaglio io. Ma è da quando sono bambino che me lo chiedo. Se quella di cui si parla è una separazione, con l’elencazione delle diverse occasioni in cui un altro prenderà il suo posto (“ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo”, e i tuoi quattro assi li puoi nascondere o giocare come vuoi, “o farli rimanere buoni amici come noi”) allora non dovrebbe essere la faccia di “chissà chi altro” a venir sovrapposta alla sua? O lei ha un portafoto degli ex?

Pablo (Rimmel, 1975)
Quando Pablito Rossi, reduce dall’aver scontato la condanna per lo scandalo delle scommesse, fece vincere all’Italia la Coppa del Mondo del 1982, un quotidiano titolò: “Hanno pagato Pablo, Pablo è vivo”.
Lucio Dalla figura come coautore ma solo per una consulenza sul ritornello.

Buonanotte fiorellino (Rimmel, 1975)
De Gregori raccontò di aver voluto copiare lo stile e la metrica di “Winterlude” di Bob Dylan. Il resto, sono leggende.

Bufalo Bill (Bufalo Bill, 1976)
Mi sono sempre chiesto se “il mio amico Culo di Gomma famoso meccanico” sia la stessa persona di “quel gran genio del mio amico” che ha competenze meccaniche in “Sì, viaggiare” di Lucio Battisti.

Renoir (De Gregori, 1978)
Per menti geometriche, “gli aerei stanno al cielo come le navi al mare” è sempre stata una proporzione perfetta: la matematica fatta realtà poetica.

Raggio di sole (De Gregori, 1978)
Una delle più belle canzoni di De Gregori, tra quelle meno celebri e nobili. Meravigliosa da cantare ai bambini, che rimangono solo un po’ perplessi sul fatto che “nessuno ti vuole bene”; anche se “nessuno ti vuole male”. Ma quando poi “lontano passa una nave, tutte le luci accese”, se ne sono già dimenticati.

I muscoli del capitano (Titanic, 1982)
A parte l’epica e fallica immagine del capitano che si leva l’ancora dai pantaloni e la getta nelle onde, c’è un meraviglioso passaggio di pianoforte, che cresce e diventa “questa nave fa duemila nodi, in mezzo ai ghiacci tropicali, ed ha un motore di un milione di cavalli che al posto degli zoccoli hanno le ali”. Il Titanic viaggia fiero ed entusiasta verso il suo impensato destino: “c’è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole, andiamo avanti tranquillamente”. Bellissima.

La leva calcistica della classe ’68 (Titanic, 1982)
“Sole sul tetto dei palazzi in costruzione, sole che batte sul campo di pallone”. Una canzone che poteva scriverla Paolo Conte, e invece l’ha scritta De Gregori, rendendo immortali nell’affollato mondo della letteratura calcistica il piccolo Nino e il suo rigore, nonché alcune frasi leggendarie: “non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”.

La donna cannone (La donna cannone, 1983)
La storia era vera: lui lesse di un circo in difficoltà dopo che la sua maggiore attrazione era fuggita dietro a un grande amore. C’è un passaggio di pianoforte familiare a tutti, definitivo.

La storia (Scacchi e tarocchi, 1985)
È una questione assai più grande di questa canzone (che pure è grande), se la storia la facciano davvero i popoli o i singoli leader: se la storia siamo davvero noi. Ci si era quasi convinti di sì, quando arrivò Gorbaciov e rovesciò il mondo da solo. E poi pensare di essere inutili, ininfluenti, superflui alla storia implica una dose di umiltà che coi tempi che corrono è merce rara: meglio pensare che no, la storia non siamo noi. Noi, al massimo possiamo godere come dei pazzi quando De Gregori fa “nananà, nananà…”.

La valigia dell’attore (La valigia dell’attore, 1997)
Quattro minuti e mezzo in cui l’interprete lascia trapelare una grande appassionata emozione: come-sono-contento-di-aver-usato-la-parola-“sciantosa”!

Passato remoto (Pezzi, 2005)
Invecchiando, De Gregori fa canzoni sempre più simili a quelle che fa Dylan, invecchiando. E anche come canta. “Consegna il mio stipendio al dio dei ladri”, non si sa cosa voglia dire, come al solito, ma è bella.

La linea della vita (Calypsos, 2006)
Era da “Capo d’Africa” che non si appoggiava così tanto sulle pi e sulle bi e sulle ti: “è ttutta una vita”, “persone che ppassano”, “il tempo che ccambia”, “cani bbianchi”, “va bbene, perdonami”. Coro gospel trasteverino, persone che passano, lui che passa, e una specie di canzone d’amore (passa sempre qualcuno o qualcosa nelle canzoni di De Gregori: “lontano passa una nave”, “le donne vanno e vengono”, “passa l’angelo”, “senza passare per la stazione”, “vide passare l’Italia ai suoi piedi”, “quei treni che non passano più”, “ed il vento passava”, “e il tram di mezzanotte se ne va”, “passano e tornano tristezza e amore”).