La Padania è una pianura

L'opportuna lezione di geografia di Gianfranco Fini, e qualche informazione in più

Fa male, il presidente della Camera, a ricordare ciclicamente quanto sia artificiale e vuoto il preteso concetto politico o storico di “Padania”, entrato stabilmente nel linguaggio italiano? È più saggio ritenere che vi sia entrato come uno di quei soprammobili kitsch e inguardabili arrivati come regalo di nozze di cui abbiamo imparato a sopportare l’esistenza, pensando che non bastino a deturpare la casa che ci siamo costruiti a nostro gusto? Non dovremmo forse rimanere fedeli al nostro senso della misura e del ridicolo e continuare a rifiutarci di discutere una cosa che non esiste, e che non merita nemmeno la legittimazione di una smentita?

Fa bene, il presidente della Camera, secondo noi. Perché certo, altri sono i problemi, e perché è vero che bisogna conservare sempre la distinzione tra il paese che si vorrebbe e quello che è in realtà: e però la realtà si modifica giorno per giorno, non consentendo alle sciocchezze di radicarsi, non dandovi avallo, smettendo di turarsi il naso e basta. Fini ha detto, ieri:

“La più grande sciocchezza è quella di parlare di Padania. Che cosa tiene insieme, infatti, Ventimiglia con il Cadore se non l’essere italiani? Non si può sostituire all’identità nazionale quella artefatta della Padania. Che non è una identità culturale, è una pianura…”.

Fini si è espresso con grande correttezza: non ha infatti negato l’esistenza di una cosa che si può chiamare Padania. Ma ha ricordato di cosa si tratta: un sinonimo di ciò che abbiamo più frequentemente chiamato Pianura Padana, o Val Padana. Il luogo dove scorre il Po. Wikipedia ha una ricca ricostruzione della storia del termine.

L’aggettivo padano nasce nel XIX secolo, derivato da Padus, il nome latino del Po. I regni napoleonici in Val Padana inclusero la Repubblica Cispadana e la Repubblica Transpadana, secondo l’uso di denominare i territori in base ai corsi d’acqua, nato con la rivoluzione francese. Anche l’antica Regio XI augustea (che insisteva sull’attuale territorio di Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia), venne così denominata Regio XI Transpadana solo nella letteratura accademica degli ultimi secoli.
Gianni Brera usò poeticamente il termine Padania a partire dagli anni sessanta per indicare il territorio che ai tempi di Catone corrispondeva alla Gallia Cisalpina (o, per usare le parole di Brera, alla «Gallia Cis- e Transpadana»).
Negli anni ’60 e ’70 il termine Padania era considerato un sinonimo geografico di Val Padana: come tale era incluso nell’enciclopedia Universo e nel dizionario Devoto-Oli del 1971. Nel 1975 usò il termine Padania in un articolo su La Stampa l’allora presidente della Regione Emilia-Romagna Guido Fanti, e successivamente il presidente del CNEL Giuseppe De Rita. Quindi fu la volta di Indro Montanelli per indicare gli stessi territori. Tali usi non corrispondevano all’attuale, in quanto tendevano a considerare un territorio limitato alla pianura del Po, escludendo le zone alpine, la liguria, e il nord-est.
Un ulteriore uso del termine Padania era limitato ad alcune ricerche linguistiche, in relazione all’insieme degli idiomi galloitalici, talvolta allargato anche agli idiomi retoromanzi. Negli anni settanta la sezione di Lombardia, Ticino e Grigioni lombardi dell’ Association Internationale pour la Défense des Langues et des Cultures Menacées (AIDLCM) cominciò ad usare il terminepadano per riferirsi all’insieme degli idiomi galloitalici. Nell’analisi glottologica di Geoffrey S. Hull, linguista della University of Western Sydney, Padania indica la terra in cui si parlano gli idiomigalloitalici, nonché il veneto, l’istrioto e, come anfizona, gli idiomi retoromanzi, considerati fondamentalmente tutti delle varianti divergenti locali di un unico sistema linguistico: la linguapadanese. Tali definizioni, di diffusione marginale, di Padania etnolinguistica, inclusi (come per Hull) o meno (come secondo l’AIDLCM lombardo-ticinese e lo scrittore Sergio Salvi) i territori di idioma retoromanzo, veneto e istrioto, non corrispondono a quella successivamente introdotta nella politica dalla Lega Nord, che ha reso popolare la parola Padania.
Un primo utilizzo socio-economico del termine Padania si trova nel volume «La Padania, una regione italiana in Europa», redatto da vari accademici nel 1992 per conto della Fondazione Agnelli. In tale studio, oltre ad analizzare le caratteristiche socio-culturali ed economiche che contraddistinguono la Padania, viene auspicata la formazione di uno spazio politico padano capace di rappresentare direttamente il proprio territorio in Europa.

Certo, niente vieta di introdurre termini nuovi quando concetti nuovi appaiono, o di estendere i significati a seconda dei cambiamenti. Ma in Italia nessun concetto nuovo meritevole di essere battezzato è mai nato a questo proposito: non esiste nessuna identità di pensieri, condivisioni, comunanze che possa in qualche modo riunire lo spazio che sta tra le Alpi e gli Appennini, se non quella geografica, di trovarsi tra le Alpi e gli Appennini. L’unico fatto nuovo, indiscutibile, è stata la nascita di un partito e del consenso che ha ricevuto. E per questo è apparso giustamente un nuovo nome: Lega Nord. È un partito italiano con un piccolo ma apprezzabile radicamento nel Nord Italia: ovvero il 12% circa dei voti nelle ultime elezioni politiche. È un fatto che non si avvicina lontanamente a costituire un elemento di prevalenza o omogeneità in un territorio in cui più quasi nove persone su dieci questa idea della Padania non la prendono sul serio (e probabilmente non la prendono sul serio nemmeno molti elettori stessi della Lega Nord).

Il Bollettino 2010 della Società Geografica Italiana riporta che la “nazione padana” non ha alcun fondamento storico-culturale: “La Padania di oggi appare un’aggregazione piuttosto tardiva di tessere regionali espulse da mosaici precedenti”.

Non è insomma una brutta parola, “Padania”, anche se non le ha fatto bene il gonfio suono della voce di Umberto Bossi a cui l’abbiamo sentita pronunciare nella quasi totalità dei casi. Basta sapere cos’è, come dice il Presidente della Camera: “non è una identità culturale, è una pianura”. Si può, se si vuole, rinnovare la vecchia frase fatta “nebbia in val padana” con “nebbia in Padania”.