• Libri
  • Giovedì 24 marzo 2011

Il grande libro del rock (e non solo) – 24 marzo

Le storie del rock di oggi raccontate da Massimo Cotto: Sinead O’Connor, Pink Floyd, Dario Fo

di Massimo Cotto

È un segno di umanità / quando le cose vanno male

Sacrifice, Sinead O’Connor

1990Sinead O’Connor diventa la prima artista donna irlandese a comandare le classifiche inglesi con l’album I Do Not Want What I Haven’t Got. È il trionfo vero, l’unico in queste dimensioni visto che comanda anche le chart in America e Canada, della cantautrice calva. Merito soprattutto del singolo, Nothing Compares 2 U, principesca rilettura del brano di Prince. Merito anche della simpatia verso un personaggio che ancora non aveva stracciato la foto del Papa e ancora non era stata corrosa irrimediabilmente dai suoi demoni, ma che già cominciava a manifestare segni di squilibrio che all’inizio furono confusi per coerenza e integrità. Dopo il primo posto nelle classifiche, la seconda parte dell’anno fu caratterizzata da dichiarazioni e comportamenti a dir poco sconcertanti: invece di ringraziare Prince, lo accusò di averla trattata con violenza; minacciò di cancellare un concerto nel New Jersey se fosse stata diffusa dagli altoparlanti la musica di The Star Spangled Banner, inno americano; accolse la feroce conseguente critica di Frank Sinatra dicendo che non era interessata ad ascoltare quello che Frank Sinatra aveva da dire; dichiarò pubblicamente che lei era nata per fare musica e non per ricevere premi e che per questa ragione non accettava le quattro nomination ai Grammy e nemmeno la statuetta come miglior performance alternativa. Infine cancellò la sua presenza al Saturday Night Live. Motivazione? Non le piaceva Andrew Dice Clay, il presentatore, colpevole di atteggiamenti e dichiarazioni pesanti e volgari contro le minoranze etniche e contro i gay. Per una volta aveva ragione Sinead.

— —– —

Non aver timore di interessarti / lascia, non lasciare me / guardati intorno e scegli il tuo terreno

Breathe, Pink Floyd

1973 – esce The Dark Side Of The Moon, secondo capolavoro dei Pink Floyd, dopo The Piper At The Gates Of Dawn e prima di Wish You Were Here e di The Wall. Per settecentoquarantuno settimane (equivalenti a oltre quattordici anni, dal 1973 al 1988) nella classifica degli album più venduti di Billboard, ha venduto nel mondo quarantacinque milioni di copie, tetto difficilmente raggiungibile con un solo disco. Fu registrato con tecniche sofisticate e d’avanguardia, sapientemente utilizzate da Alan Parsons. È un concept album sulla follia (è questo il lato oscuro della luna), il dolore e i passaggi di tempo, sull’alienazione e sulla parabola dell’essere umano nelle sue varie fasi; in sintesi, è un’opera strutturata sulla vita dell’uomo, che si apre con il battito cardiaco di Speak To Me e termina con Eclipse. Proprio Eclipse, a un certo punto, sembrava dover essere il titolo del disco. I Pink Floyd erano da tempo convinti che The Dark Side Of The Moon fosse il titolo adatto, ma pochi mesi prima della pubblicazione del disco, uscì un altro album dallo stesso titolo, dei Medicine Head. Tuttavia, l’insuccesso fu tale che i Floyd decisero di tornare sulla loro vecchia idea: nessuno si era accorto che esistesse un lato oscuro della luna dei Medicine Head. La copertina – un prisma su sfondo nero che colpito da un raggio di luce genera i colori dell’iride – è forse la più immediatamente riconoscibile nella storia del rock, tra quelle che non raffigurano i volti dei musicisti.

— —– —

Dove ognuno sia già pronto a tagliarti una mano / un bel mondo sol con l’odio ma senza l’amore

Vengo anch’io, Enzo Jannacci

1926 – nasce a Sangiano, in provincia di Varese, Dario Fo, premio Nobel per la letteratura di cui è inutile qui riassumere la grandezza nel grammelot, nel mistero buffo, nel teatro di narrazione e parola, nel rinnovamento della commedia dell’arte. Limitiamoci al suo apporto alla canzone, che non è da poco. Dalla sua penna, che spesso utilizzava l’inchiostro di Enzo Jannacci, sono nati grandi successi come Vengo anch’io, Ho visto un re,
Ma che aspettate a batterci le mani, La mia morosa va alla fonte (che Fabrizio De André trasformò poi in Via del Campo), la bellissima e struggente La brutta città. Non si tratta quasi mai di canzoni comiche, ma di canzoni che fanno ridere per poi sorridere per poi pensare. Un percorso obbligato, un effetto domino tipico dei grandi autori. Ho visto un re è un canto ironico contro il potere, da sempre storicamente disinteressato al popolo, che è tuttavia costretto a non lamentarsi per non intristire o irritare i regnanti. La mia morosa va alla fonte faceva parte di uno spettacolo intitolato 22 canzoni, del 1965, tutte composte a quattro mani. Vengo anch’io è una storia di solitudine e di alienazione che ha conosciuto anche la censura. Le ultime due strofe, infatti, si riferivano allo stato di dittatura di Mobutu in Congo e alla tragedia passata alla storia come il disastro di Marcinelle, avvenuta l’8 agosto 1956 in una miniera di carbone, in Belgio, quando morirono duecentosessantadue persone, di cui centotrentasei italiani. Le strofe soppresse dicevano: «Si potrebbe andare tutti insieme nei mercenari / vengo anch’io? No tu no / giù nel Congo da Mobutu a farci arruolare / poi sparare contro i negri col mitragliatore / ogni testa danno un soldo per la civiltà / Vengo anch’io? No tu no». E poi l’altra: «Si potrebbe andare tutti in Belgio nelle miniere / Vengo anch’io? No tu no / a provare che succede se scoppia il grisù / venir fuori bei cadaveri con gli ascensori / fatti su nella bandiera del tricolor».

Tutti i libri di Massimo Cotto

Foto: Evening Standard/Getty Images