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  • Mercoledì 16 marzo 2011

Il grande libro del rock (e non solo) – 16 marzo

Le storie del rock di oggi raccontate da Massimo Cotto

di Massimo Cotto

Lo chiamano lunedì tempestoso, ma giovedì è altrettanto brutto
mercoledì è peggio e martedì altrettanto triste

Call It Stormy Monday (But Tuesday’s Just As Bad), T-Bone Walker

1985 – muore a Los Angeles, per un ictus, T-Bone Walker, fantastico interprete e compositore il cui genio chitarristico è stato beatificato in chiese anche diverse da quella del blues, come dimostra l’ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1987. Introducendo tecniche e armonie molto vicine al mondo del jazz e spingendo l’acceleratore sulla chitarra elettrica (che prima di lui era utilizzata solo in minima parte nel blues), T-Bone ha svolto un ruolo importante nell’evoluzione del suono nero. Il suo capolavoro, Call It Stormy Monday (But Tuesday’s Just As Bad), che è passato alla storia con il titolo semplificato (Stormy Monday), è stato riletto da un’infinità di stelle del rock (a partire dagli Allman Brothers e Chuck Berry) e del blues. B.B. King (che da T-Bone Walker imparò anche il trucchetto di suonare la chitarra dietro la testa), dopo averlo ascoltato corse ad acquistare una chitarra elettrica. Era il 1947 e secondo alcuni esegeti del blues, è quel brano lo spartiacque, l’acqua santa che battezza il blues moderno. T-Bone fu anche uno degli eroi riconosciuti di Jimi Hendrix, che impazzì nel vedere un vecchio filmato dove suonava la chitarra con i denti, proprio come avrebbe fatto lui durante la sua ascensione ai cieli del rock.

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È la poesia sospesa sulle onde / che timida si affaccia / che si diffonde

Ai naviganti in ascolto, Eugenio Bennato

1947 – nasce a Napoli Eugenio Bennato, quello che in Rinnegato accusava il fratello Edoardo di tradire i suoni della sua terra nel nome del rock and roll: «Eugenio dice che io sono un rinnegato, perché ho rotto tutti i ponti col passato…». Fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare e di Musicanova, da molti anni si dedica a Taranta Power, movimento che si propone di portare nel mondo la taranta, mettendola a confronto con altre realtà musicali del luogo. Ha suonato ovunque, dall’est dell’Europa (Belgrado, Sarajevo, Varsavia, Praga, Pristina) alla Tunisia al Marocco all’Algeria, ma anche Canada, Australia, Argentina, Stati Uniti. Nel 2007 ha incorporato i suoni dell’Africa e iniziato un nuovo viaggio, in una sorta di allargamento dell’orizzonte mediterraneo a più lontane latitudini. L’Africa diventa così una mitica sponda che custodisce la fonte di tutte le leggende e il segreto di un suono battente primitivo che, attraverso deserti e mari, viaggia e si diffonde fino a noi, entra a contatto con le nostre radici e poi riparte. Zaino in spalla e via, perché il bagaglio è tutto nei suoni.

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Quando la luna fu quella giusta / potemmo spegnere la luce e ascoltare

Rock Ballad, Elliott Murphy

1949 – nasce a New York Elliott Murphy. È un nome che forse vi dirà poco, se non siete springsteeniani doc e non amate quel suono metropolitano che il Boss ha portato anche in collina. Se invece lo siete, allora non avrete nemmeno bisogno delle mie parole, perché Elliott Murphy è uno dei vostri eroi, un fratellino meno fortunato e certamente meno bravo ma con la dannazione di essere sempre paragonato a chi, accanto a te, oscura la tua bravura. Come è accaduto tra fratelli veri: Giorgio con Paolo Conte, Ferruccio con Sandro Mazzola, Peppino con Eduardo De Filippo. Elliott Murphy ha esordito nella prima metà degli anni Settanta con Aquashow, un piccolo capolavoro figlio del Blonde on Blonde di Dylan. La rivista «Rolling Stone» accomunò nella stessa recensione il disco di Elliott Murphy con Greetings From Asbury Park, N.J. di Springsteen, definendo entrambi i nuovi Dylan. Poi, Bruce ha virato verso il rock and roll ed Elliott non è riuscito ad accelerare. Storia comunque bella, la sua. Ha vissuto molto a Roma, dove ha preso anche parte a Roma di Fellini, ad Amsterdam e a Parigi, dove si è trasferito negli anni Novanta e dove oggi vive con la moglie e il figlio. Continua a suonare e cantare – oltre cento concerti l’anno – raccogliendo comunque un buon pubblico. Mai folle oceaniche, d’accordo, ma nemmeno poca roba, mai scarti da fine carriera. Anche lui come l’amico Springsteen (con cui ha duettato in Selling The Gold) è nato per correre.

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Mi guardo nello specchio e sono contenta di vedere / risate, negli occhi abituati alle lacrime

Your Precious Love, Marvin Gaye e Tammi Terrell

1970 – muore a Philadelphia, per un tumore al cervello, a ventiquattro anni, Tammi Terrell, star della Motown grazie ai duetti con Marvin Gaye. Tre anni prima, il 14 ottobre del 1967, era collassata proprio tra le braccia di Gaye durante un concerto all’Hampton Institute, in Virginia. Ricoverata d’urgenza in ospedale, le diagnosticarono un tumore maligno e nessuna possibilità di sopravvivenza. Dopo la sua morte, Marvin Gaye rimase quasi quattro anni in isolamento, distrutto e depresso. Quando tornò, nel 1971, con What’s Going On portò in scena una nuova figura, più aperta al sociale e alle storture della vita, non solo ai canti d’amore che aveva magistralmente interpretato insieme alla compagna d’arte. Quasi come se quello strappo brutale avesse portato in dote una nuova consapevolezza, una raggiunta maturità di chi aveva sperimentato, attraverso la morte di un’amica, che la vita non era solo ritornello ma anche strofa.

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