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  • Giovedì 3 marzo 2011

La prossima crisi

I prezzi del cibo non sono mai stati così alti negli ultimi trent'anni: l'Economist spiega perché

Oggi la FAO ha reso noto che il Food Price Index, l’indice che misura i prezzi del cibo, ha raggiunto questo mese un nuovo record. L’indice misura le variazioni di prezzo che subisce ogni mese un paniere di cibo composto di cereali, semi oleosi, latte, carne e zucchero. I prezzi del cibo in termini assoluti sono in questo momento i più alti dal 1984, e potrebbero salire ancora se la siccità dovesse colpire la Cina e seccare i raccolti, cosa che appare molto probabile. Il costo del cibo è un aspetto fondamentale per la stabilità di molti governi e il suo aumento è stato responsabile di numerose insurrezioni e cadute di governi nel corso dei secoli. Nel 2008 un forte aumento dei prezzi aveva causato proteste in molti paesi; ultimamente ha certamente giocato un ruolo importante nelle rivolte in Nordafrica e Medio Oriente. I paesi del G20 hanno messo la sicurezza alimentare tra le priorità da risolvere nel 2011.

L’Economist spiega che le principali cause dell’attuale aumento dei prezzi non sono strutturali ma momentanee e concomitanti: la siccità in Russia e in Argentina, le alluvioni in Canada e in Pakistan, l’atteggiamento autarchico di alcuni stati, che vietano le importazioni di prodotti esteri. Il costo del cibo è influenzato anche da fattori esterni all’agricoltura: su tutti l’aumento del costo del petrolio, necessario per produrre i fertilizzanti azotati che vengono impiegati nelle coltivazioni. Le speculazioni finanziarie, invece, non sembrano essere un fattore decisivo: possono rendere i prezzi più instabili, ma non a lungo termine. Anche i grandi cambiamenti strutturali dell’economia mondiale, come la crescita dell’India e della Cina, influenzano le fluttuazioni dei prezzi meno di quanto si pensi. È vero che i due paesi hanno bisogno di maggiori quantità e qualità di cibo, ma i loro agricoltori hanno già soddisfatto queste esigenze (le cose cambierebbero se la Cina dovesse iniziare a importare il grano, ovviamente).

Nei prossimi anni però alcuni fattori potrebbero avere più peso di quanto ne abbiano adesso. Per la prima volta dagli anni Sessanta il rendimento del riso e del grano sta aumentando più lentamente che la popolazione globale. Molti esperti sostengono che la produzione di cibo dovrà aumentare del 70 per cento entro il 2050 per tenere il passo con la crescita della popolazione mondiale. L’uomo è già riuscito in passato ad aumentare esponenzialmente la produzione, ma stavolta il salto dovrebbe essere più difficile che in passato: è rimasta meno terra coltivabile, la disponibilità di acqua è diminuita e alcune zone non possono rendere molto più di così, neanche con un impiego massiccio di fertilizzanti. Anche i cambiamenti climatici potrebbero peggiorare questi problemi.

Si possono prendere altre misure per cambiare rotta. Una di quelle che si cita sempre è semplicissima: sprecare meno cibo. Soprattutto nei paesi poveri, un terzo del cibo prodotto non viene utilizzato. Poi si può lavorare sul mercati: eliminare le barriere doganali, incentivare le esportazioni nei paesi poveri, abbandonare i biocarburanti. E incentivare la vendita al dettaglio agli stranieri: un’altra misura utile per evitare che grandi quantità di cibo vengano lasciate a marcire nei campi. La ricerca, infine. Funziona più dei sussidi, dice l’Economist.