L’anatocismo è un fottuto Vietnam?

Il decreto milleproroghe rischia di perdere la maggioranza sulla questione della restituzione degli interessi illeciti da parte delle banche

In questi giorni il Parlamento si sta occupando del cosiddetto milleproroghe, il decreto che serve a prorogare o risolvere una serie di disposizioni urgenti, soprattuto in materia economica e di stanziamento di fondi. La conversione in legge del decreto è stata approvata dal Senato lo scorso 16 febbraio e ora manca il voto della Camera, dove sono venuti fuori diversi nodi, tra critiche dell’opposizione e dubbi della stessa maggioranza. Uno dei più ambigui è legato a un passaggio del decreto che riguarda l’anatocismo e gli istituti bancari.

Anatocismo è una parola complicata per descrivere una pratica altrettanto complessa. Il termine deriva dal greco anà (sopra, di nuovo) e tokòs (interesse) e definisce la capitalizzazione degli interessi su un capitale, così che gli stessi possano fruttare altri interessi. Semplificando un poco, possiamo dire che l’anatocismo è il calcolo degli interessi sugli interessi. In ambito bancario questo tipo di interesse viene solitamente definito “composto”.

Con una norma del 1942, il nostro codice civile vieta l’anatocismo, ma questo divieto viene sostanzialmente violato dalle banche per una congenita ambiguità della sua definizione. I contratti bancari fino ai primi anni del duemila hanno previsto la capitalizzazione degli interessi a favore della banca su base trimestrale e quella a favore del cliente con frequenza annuale. La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittima questa pratica, perché comporta un trattamento sbilanciato tra clienti e banche con i primi che ci rimettono. Ha sancito il diritto dei clienti a farsi rimborsare tutte le somme illegittimamente addebitate dalle banche con la capitalizzazione trimestrale degli interessi, e ha stabilito che la prescrizione del diritto del cliente a ottenere il rimborso scatta a partire dalla chiusura del rapporto con la banca e non dalla data della singola annotazione a debito.Inoltre la Corte Costituzionale ha bocciato una sorta di sanatoria che avrebbe salvato le clausole sull’anatocismo dei contratti fino al 1999 proposta nel medesimo anno.

La decisione della Consulta ha esposto le banche al rischio di dover restituire le somme ingiustamente percepite, un affare che secondo alcune stime potrebbe arrivare a diverse decine di miliardi di euro. In questi anni i correntisti che hanno deciso di impelagarsi nelle lungaggini della giustizia italiana hanno visto riconosciuti i loro diritti, ottenendo i danni dalle banche grazie a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale. Ora il Milleproroghe potrebbe cancellare questa possibilità, impedendo di fatto a migliaia di correntisti di ricorrere contro i loro istituti di credito.

Nel testo del Decreto viene infatti scritto chiaramente che le banche non dovranno provvedere alla «restituzione degli importi già pagati» da parte dei correntisti. Inoltre il maxiemendamento prevede un punto relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente che stabilisce che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno della singola annotazione, sconfessando così la decisione della Cassazione. In pratica i termini della prescrizione sono notevolmente anticipati, rendendo molto più complicato ottenere i risarcimenti dalle banche.

Oltre alle associazioni dei consumatori e all’opposizione, in queste ultime ore anche molti esponenti del Popolo della Libertà hanno chiesto al ministro Tremonti di rivedere quel passaggio del decreto, così da rimuovere il blocco dei rimborsi sull’anatocismo.

Con una nota congiunta, il vicepresidente della Commissione bilancio della Camera, Giuseppe Marinello (PdL), e il membro della Commissione finanze della Camera, Alessandro Pagano (PdL), hanno espresso formalmente le loro critiche per la norma:

La conseguenza più discutibile e controversa del ‘punto 9’ inserito nel maxiemendamento è senza dubbio quella relativa alla prescrizione del diritto del correntista ad ottenere la restituzione delle somme illegittimamente addebitate dalle banche sul conto corrente, la quale comincerà a decorrere dall’annotazione in conto anziché dalla chiusura del rapporto. In tal modo le cause avviate da migliaia di correntisti, il cui esito sarebbe stato la soccombenza in giudizio delle banche, saranno perse per legge. Le aziende, ma anche i singoli cittadini, che hanno intrapreso la via giudiziaria non solo non otterranno alcun risarcimento, ma addirittura saranno costretti a pagare le spese di giudizio. Non ci sottrarremo al voto di fiducia, tuttavia facciamo appello al ministro Tremonti affinché venga elaborato un sistema per salvaguardare i diritti dei cittadini e delle aziende che hanno giudizi pendenti avverso gli istituti di credito.