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  • Lunedì 24 gennaio 2011

Che cosa c’è nei Palestine Papers

L'Autorità Palestinese era pronta a offrire a Israele «la più grande Gerusalemme della storia»

di ELENA FAVILLI

Alle 21 di domenica sera, simultaneamente, i siti di Al Jazeera e del Guardian hanno pubblicato articoli e notizie su un blocco di documenti riservati riguardanti il conflitto israelo-palestinese e presentati sotto il titolo “The Palestine papers”. Si tratta di quasi 1700 documenti: migliaia di pagine di rapporti diplomatici sulle tensioni tra israeliani e palestinesi, risalenti al periodo tra il 1999 e il 2010.

Che cosa sono
Quasi tutti i documenti sono verbali, trascrizioni letterali di quello che veniva detto durante gli incontri ufficiali, più alcune note e appunti. La fonte è palestinese: sono stati redatti dalla Palestinian Negotiation Support Unit (NSU), che ha fornito supporto tecnico e legale all’Autorità Palestinese durante i negoziati, e quindi potrebbero differire in alcune parti dalle stesse trascrizioni redatte dalla controparte israeliana, che invece non sono contenute nei Palestine Papers. In ogni caso, si tratta di documenti che erano stati prodotti per uso strettamente confidenziale, e che rivelano grosse discrepanze tra le dichiarazioni private e quelle ufficiali sia dei leader palestinesi che di quelli israeliani.

Da dove vengono i Palestine Papers
I documenti sono quasi tutti scritti in inglese, la lingua usata ufficialmente da entrambe le parti durante i negoziati, e sono stati consegnati ad Al Jazeera nell’arco di alcuni mesi da fonti diverse. Al Jaazera li ha poi condivisi col Guardian, che li ha autenticati sottoponendoli a diplomatici che avevano partecipato ai colloqui. Nessuno dei due siti di news indica le fonti da cui sono arrivati, motivandolo con la loro delicatezza.

Che cosa c’è nei Palestine Papers
Sono stati definiti la più grande fuga di informazioni nella storia del conflitto mediorientale: Al Jazeera continuerà a diffondere nuovi documenti fino a mercoledì 26. I verbali pubblicati fino a questo momento contengono rivelazioni estremamente delicate su una serie di concessioni che l’Autorità Palestinese era disposta ad accordare ad Israele. La più rilevante è sicuramente quella che riguarda Gerusalemme e che fu proposta durante l’incontro del 15 giugno 2008 alla presenza dell’allora ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, dell’allora premier dell’Autorità Palestinese, Ahmed Qurei, del negoziatore per l’Autorità Palestinese, Saeb Erekat, e dell’allora segretario di stato americano, Condoleeza Rice. Questi documenti fanno riferimento ai colloqui portati avanti dall’amministrazione Bush e non a quelli, più recenti, condotti altrettanto infruttuosamente dall’amministrazione Obama.

«La più grande Gerusalemme della storia»
Durante l’incontro del 15 giugno, Erekat offrì a Israele «la più grande Gerusalemme della storia», concedendo allo stato israeliano l’annessione definitiva di tutti gli insediamenti di Gerusalemme Est, tranne quello di Har Homa, in cambio del riconoscimento dello stato palestinese. La questione degli insediamenti a Gerusalemme è particolarmente delicata perché ufficialmente tutti i territori di Gerusalemme Est occupati da Israele durante la guerra del 1967 sono considerati illegali a livello internazionale. Nonostante questo, il governo israeliano ha continuato sempre a trattarli a tutti gli effetti come parte legittima del proprio territorio e l’attuale presidente Benjamin Netanyahu ha detto più volte che «costruire a Gerusalemme non è diverso che costruire a Tel Aviv».

Nel documento si legge che Erekat sottolineò ai rappresentanti del governo israeliano il valore della concessione che stava offrendo: «È la prima volta nella storia del conflitto israelo-palestinese che viene fatta ufficialmente un’offerta del genere». Niente di simile era mai stato accordato dall’Autorità Palestinese neanche durante i colloqui di Camp David del 2000. Ma l’offerta fu rifiutata dal governo israeliano perché non includeva l’insediamento di Har Homa e alcuni altri insediamenti della Cisgiordania, tra cui Ariel. «Non ci piace questa offerta perché non risponde alle nostre esigenze», rispose l’allora ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, «anche se la apprezziamo molto perché ci rendiamo conto che non deve essere stato facile per voi».

Le debolezze degli attori
Dai documenti emerge che i rappresentanti del’Autorità Palestinese erano davvero pronti a fare concessioni di proporzioni mai sentite prima nella storia del conflitto mediorientale. Secondo il Guardian si tratta di un segnale di estrema debolezza e disperazione da parte dei leader palestinesi, preoccupati di avere ormai perso la loro credibilità politica rispetto ad Hamas. Per rendersene conto basta leggere alcuni passaggi dell’incontro tra Erekat e il consigliere di Obama, David Hale, nel gennaio del 2010:

Erekat: Gli israeliani non si fidano di noi. Vogliono più di quello che lei pensa, a volte vogliono più degli stessi palestinesi. Quello che c’è scritto in quel documento offre loro la più grande Gerusalemme della storia, il ritorno di un numero simbolico di rifugiati, la demilitarizzazione dello stato… che altro posso offrire?


Gli Stati Uniti, a loro volta, si dimostrarono meno super partes – e anche meno influenti – di quello che hanno sempre sostenuto nelle loro posizioni ufficiali. Durante il braccio di ferro sugli insediamenti della Cisgiordania a cui Israele non era disposta a rinunciare, si legge questo passaggio, datato luglio 2008:

Rice: Non penso che nessun leader israeliano sarà mai disposto a cedere l’insediamento di Ma’ale Adumim.
Qurei: Neanche nessun leader palestinese sarà mai disposto a rinunciarvi.
Rice: Allora non avrete mai uno stato!

Allo stesso modo, anche Israele non ne viene fuori bene: respingere un’offerta come quella fatta dai palestinesi è considerata dalla stampa internazionale la prova che il governo israeliano in questa fase non ha ragione di cercare soluzioni diverse dallo status quo, specie ora che il muro e le misure anti terrorismo hanno fatto crollare quasi a zero il numero di attentati suicidi nelle città di Israele.

Le conseguenze
Detto dell’intransigenza di Israele, c’è anche un’altra cosa che compromette la sua reputazione: è ufficialmente smentita, infatti, la scusa che in questi anni ha sempre usato di fronte ai fallimenti dei colloqui di pace: «non c’è nessun partner palestinese». I documenti dimostrano invece che non solo il governo israeliano avrebbe avuto a disposizione un partner con cui trattare, ma anche che si trattava di un partner disponibile e accomodante.

Le conseguenze più negative restano comunque quelle che colpiranno l’Autorità Palestinese. La prima vittima di queste rivelazioni, scrive sul Guardian Jonathan Freedland, sarà sicuramente l’orgoglio nazionale. Scoprire che il proprio leader ha offerto a Israele «la più grande Yerushalayim della storia», usando addirittura il nome ebraico della città, sarà percepito da molti come una profonda umiliazione. E leggere che chiamava «amico» Ariel Sharon – l’uomo che per la maggioranza dei palestinesi è il «macellaio di Beirut» per il suo ruolo durante l’invasione israeliana del Libano – certamente sarà percepito come un’offesa incancellabile.

Non è un caso, infatti, che gli attacchi più virulenti nei confronti di Al Jazeera in queste ore non stiano arrivando da Israele bensì dai palestinesi, che hanno accusato il network di voler “dichiarare guerra alla Palestina” e di aver pubblicato “menzogne” e “bugie”. Il principale beneficiario a questo punto sarà quasi sicuramente Hamas, sostenitore del terrorismo e della resistenza armata come unica strategia per arrivare al riconoscimento di uno stato palestinese e alla cancellazione di Israele, che ha sempre rifiutato e combattuto – anche violentemente – l’approccio diplomatico del partito Fatah. Ora Hamas avrà gioco fin troppo facile non solo nel dire, come ha sempre fatto, che la diplomazia non porta nessun risultato, ma anche nel sostenere che serve solo per essere umiliati.

Il rischio di un nuovo conflitto
Secondo molti osservatori internazionali, le informazioni rivelate dai documenti rischiano di far saltare definitivamente il processo di pace, confermando l’idea già abbastanza radicata da entrambe le parti che non sarà mai possibile raggiungere un accordo. I Palestine Papers dimostrano infatti che anche la più ampia delle concessioni da parte palestinese non basta a soddisfare le richieste minime degli israeliani. Il rischio è che quindi vengano usati come conferma definitiva della necessità di ricorrere alle armi.

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foto: MENAHEM KAHANA/AFP/Getty Images