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  • Domenica 23 gennaio 2011

Si poteva mandare via Saddam?

Otto anni fa i radicali provarono a scongiurare la guerra in Iraq: Emma Bonino ricostruisce come andò

di Emma Bonino

BAGHDAD, IRAQ - DECEMBER 7: Saddam Hussein attends a session in court during the 'Anfal' trial against him on December 7, 2006 in Baghdad, Iraq. The trial continues on charges of murdering Kurds during the 1987-88 Anfal campaign. (Photo by Chris Hondros/Getty Images)
BAGHDAD, IRAQ - DECEMBER 7: Saddam Hussein attends a session in court during the 'Anfal' trial against him on December 7, 2006 in Baghdad, Iraq. The trial continues on charges of murdering Kurds during the 1987-88 Anfal campaign. (Photo by Chris Hondros/Getty Images)

Il 20 marzo del 2003 gli Stati Uniti di George W. Bush iniziano la Guerra in Iraq. Per giustificare l’intervento militare contro il dittatore iracheno Saddam Hussein, Bush evoca nei mesi precedenti l’esistenza di armi di distruzione di massa, che nessuno ha mai trovato, e legami con l’organizzazione terroristica al-Qaeda, che nessuno ha mai documentato. Oggi queste menzogne sono di pubblico dominio e infangano di fatto la reputazione della più grande democrazia del mondo.
C’è dell’altro, però: è la deliberata operazione di sabotaggio dell’unica iniziativa concreta che avrebbe, da una parte, scongiurato la guerra, risparmiato la vita di decine di migliaia di persone, evitato rovine e distruzioni e, al tempo stesso, liberato l’Iraq dalla dittatura di Saddam. E’ la storia, insomma, di come è stata boicottata l’iniziativa politica “Esilio per Saddam, Iraq libero” di Marco Pannella e dei radicali. Una lettura dei fatti inedita e clamorosa. Ripercorrere le tappe di questa vicenda farà capire di cosa stiamo parlando.

E’ il 19 gennaio 2003 quando Pannella e i radicali danno il via alla campagna “Esilio per Saddam” che, giorno dopo giorno, conquista il formale impegno del Parlamento e del Governo italiano, nonché l’adesione di gruppi di sostegno e personalità di oltre 150 paesi. Il presupposto da cui si parte è che Saddam, ormai finito in un vicolo cieco, non può che trovare conveniente la proposta di un esilio che gli garantisca salva la vita. Una volta esiliato Saddam, sarà poi compito delle Nazioni Unite e della comunità internazionale avviare un processo di transizione verso la democrazia dell’Iraq, affidato ad un’Amministrazione fiduciaria.
Il 5 febbraio si svolge al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il dibattito decisivo in cui Colin Powell cercherà di dimostrare l’esistenza delle armi di distruzione di massa (lo stesso Powell parlerà poi di questa circostanza come di una “macchia indelebile” sulla sua carriera di soldato e di civil servant) . Il ministro degli Esteri francese Dominique de Villepin si fa portavoce di una “novità” della posizione francese: inviare molte centinaia di osservatori internazionali in Iraq. La proposta non può essere considerata estranea alla posizione, contrapposta, degli Stati Uniti e della “Coalition of the Willing”, di cui faranno parte l’Italia, la Spagna ed altri. Si può, insomma, superare la drammatica spaccatura europea e, contemporaneamente, giungere all’unità di quanti hanno come obiettivo la liberazione dell’Iraq dalla dittatura di Saddam. Da questo momento comincia il fuoco di sbarramento contro la proposta “Esilio per Saddam”.

L’8 febbraio la stampa italiana riferisce che il Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, avrebbe inviato un lungo e complesso memorandum a Gheddafi: si configurano i possibili scenari d’intesa con Saddam.
Il 19 febbraio 2003 il Parlamento italiano, con l’adesione del Governo, vota a larghissima maggioranza la proposta radicale di esilio per Saddam e il suo entourage, garantendo al rais immunità (ma non impunità). Il voto sancisce così il formale impegno del Parlamento e del Governo italiano, impegno che il Governo allora in carica non manterrà. La proposta viene accolta con favore anche dal presidente greco di turno dell’Unione europea, George Papandreu.
Il 22 febbraio Bush accoglie nel suo ranch di Crawford, in Texas, il primo ministro spagnolo José Maria Aznar. E’ un momento chiave per comprendere quello che accadrà. A quel colloquio, partecipano, in collegamento telefonico, anche Blair e Berlusconi.

Il verbale ufficioso dell’incontro è, per il governo spagnolo, redatto dall’ambasciatore Javier Rupérez; un documento (successivamente desecretato dal governo Zapatero e pubblicato su El Pais nel settembre 2007) che racconta come Bush ritenga necessario e urgente muovere guerra all’Iraq. Da quel colloquio emerge anche come Aznar abbia suggerito prudenza a Bush. In questo contesto, il presidente americano rivela quel che gli ha in precedenza comunicato Berlusconi (l’8 febbraio), e cioè la risposta positiva di Saddam, attraverso Gheddafi, a proposito dell’esilio. Bush è però irremovibile nel suo rifiuto a qualsiasi accordo con il dittatore; giudica la condizione di Saddam disperata: potrebbe essere ucciso, dice, “entro due mesi”. Aggiunge che Saddam – da lui definito “un ladro, terrorista, criminale di guerra, a confronto di Saddam Milosevic è Madre Teresa” – chiede “un miliardo di dollari”. Bush vuole la guerra ed esclude l’alternativa dell’esilio prospettatagli da Aznar. «È vero che esistono possibilità che Saddam vada in esilio?» chiede Aznar a Bush, che replica: «Sì, esiste questa possibilità. C’ è anche la possibilità che venga assassinato».

Marco Pannella in quei giorni cerca di mettere in guardia Governo italiano, Ue e Blair dal “dar fiducia” a Gheddafi come mediatore. La conferma dell’inaffidabilità del leader libico emerge in occasione del summit della Lega Araba a Sharm el-Sheik, che si tiene il 1 marzo del 2003. Secondo quanto riferito dai giornali di tutto il mondo, inclusi quelli arabi – lo ricordo bene poiché in quel periodo ne curavo la rassegna per Radio Radicale – Gheddafi riesce ad impedire che la Lega Araba riesca a dibattere la proposta di esilio per Saddam, presentata dagli Emirati Arabi Uniti. Una riunione importante, quella sabotata da Gheddafi: funzionari inviati dal presidente degli Emirati Arabi Uniti, Zayed al-Nahyan, avevano avuto diversi incontri con Saddam, e l’emiro stesso si preparava ad annunciare che il dittatore iracheno era pronto ad accettare l’esilio; chiede solo che la proposta gli giunga ufficialmente dalla Lega Araba e “non dagli americani”.

Siamo arrivati alla vigilia della guerra. Il 18 marzo, Bush pone un ultimatum: Saddam ha 48 ore per lasciare il paese, senza alcuna garanzia di avere salva la vita. Anzi: nelle stesse ore l’opinione pubblica viene messa a conoscenza dei clamorosi risultati di un sondaggio del 25 gennaio, e fino ad allora non diffuso: la maggioranza degli americani (62%) si dice favorevole all’esilio di Saddam.
Nelle ore che precedono l’attacco militare via terra, il Bahrein offre ufficialmente a Saddam “un esilio sicuro, purché si eviti una nuova guerra nei territori del Golfo”. Niente da fare: Bush e Blair hanno voluto la guerra, e guerra sarà.
Pannella e i radicali li accusano di avere deliberatamente voluto evitare la soluzione pacifica, accelerando i tempi della guerra. Chiedono di poterlo documentare e di essere ascoltati; che insomma si sia messi nella condizione di sapere e di poter giudicare: “Noi, Partito Radicale Nonviolento Gandhiano, da sempre “americani” per più di mezzo secolo”, dice Pannella, “ci e vi chiediamo se non ci si sia resi – in tal modo – colpevoli del reato di alto tradimento del giuramento di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America e alla Repubblica che essa rappresenta”.

C’era un’alternativa alla guerra e al tempo stesso la possibilità di liberare l’Iraq di Saddam. Perché non la si è perseguita? E ha ragione Pannella quando parla di sabotaggio? Giovedì si è svolta una “Veglia per la Verità” organizzata dai radicali di fronte alla sede della Commissione d’inchiesta Chilcot, a Londra, dove era in corso l’audizione di Tony Blair; analoghe iniziative si sono tenute davanti alle rappresentanze britanniche a Roma, Milano, Napoli, Venezia, Firenze, Palermo, Cagliari, Barcellona, Bruxelles e San Francisco. Per avere delle risposte a queste domande.