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  • Giovedì 13 gennaio 2011

Perché la Francia tace sulle proteste in Tunisia

Parigi invita alla riflessione, ma non condanna la repressione delle manifestazioni che ha causato decine di morti

Ieri, in seguito a una nuova serie di violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine in Tunisia, il presidente Ben Ali ha deciso di rimuovere dall’incarico il ministro degli Interni Rafik Belhaj Kacem. Le autorità del paese parlano di una ventina di morti, ma secondo le organizzazioni umanitarie le vittime potrebbero essere almeno cinquanta. Migliaia di persone protestano da giorni contro l’improvviso aumento del costo della vita, la disoccupazione e la corruzione nel paese. La comunità internazionale osserva con preoccupazione l’evolversi della protesta, eppure la Francia, lo stato tradizionalmente più vicino alla Tunisia per ragioni politiche e storiche, in questi giorni tace. Il ministro degli Esteri aveva detto l’altroieri che la Francia “non vuole dare lezioni” alla Tunisia, e la discussione in Francia sulle responsabilità del paese post-coloniale è assai vivace: oggi Le Monde ne da conto e intervista il senatore a capo del “gruppo di amicizia franco-tunisino” che contesta il suddetto silenzio.

Come ricorda Bruce Crumley su Time, di solito il governo francese è tra i primi a denunciare i casi di ingiustizia e a condannare i regimi oppressivi, eppure in questa occasione ha mantenuto un atteggiamento schivo e defilato. Negli ultimi giorni in Francia si è discusso molto sul ruolo del presidente Ben Ali, ritenuto da parte dell’opinione pubblica un dittatore a tutti gli effetti, mentre si è parlato molto poco del crescente numero di vittime e della dura repressione delle manifestazioni nella ex colonia un tempo controllata da Parigi.

La dichiarazione del ministro degli Esteri è ritenuta da molti osservatori politici debole e tesa a non disturbare più di tanto la politica di Tunisi. Le posizioni del governo francese, spiega Crumley, contrastano con quelle intransigenti e di condanna assunte contro i regimi della Corea del Nord e della Birmania, o con le richieste di allontanamento di Laurent Gbagbo in Costa d’Avorio, a dimostrazione di quanto Parigi non voglia compromettere le proprie relazioni con un alleato che si è dimostrato nel tempo leale e abbastanza affidabile. Il Ministro dell’Agricoltura Bruno Le Maire ha voluto ricordare in questi giorni “le molte cose” che ha fatto Ben Ali per il suo paese.

I rapporti tra i due paesi sono diventati particolarmente intensi a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo. Nel 1869 la Tunisia fu colpita da una grave crisi economica che portò alla creazione di una commissione finanziaria internazionale per tenere a bada i suoi conti. Il paese era fortemente indebolito e così nel 1881 i francesi non ebbero particolari difficoltà a invaderlo, motivando la scelta con il pretesto di una invasione tunisina subita nei territori dell’Algeria. Furono sufficienti 36mila uomini dell’esercito francese per convincere le autorità del paese ha firmare un trattato che rendeva la Tunisia un protettorato francese.

Negli anni successivi, la Francia investì molto nel paese, incentivando la formazione di nuove colonie. In una quarantina di anni, tra il 1906 e il 1945, il numero complessivo di coloni francesi raggiunse le 144mila persone. Nel 1956 la Tunisia ottenne l’indipendenza dalla Francia e l’anno seguente assunse un ordinamento repubblicano autonomo. I due paesi hanno mantenuto rapporti molto stretti, non solo sul fronte politico, ma anche sul piano economico e probabilmente per questo motivo Parigi sta mantenendo una posizione molto cauta sulle dure repressioni degli ultimi giorni. Per non parlare dei forti legami familiari e personali di molti francesi con l’ex colonia: sono nati in Tunisia anche il sindaco di Parigi e il ministro Pierre Lellouche.

Per questo, e per i molti interessi economici che un regime autoritario e stabile come quello di Ben Ali ha aiutato a rendere sicuri e protetti, le stesse autorità francesi negli ultimi anni sono state particolarmente indulgenti nei confronti del presidente tunisino, accusato invece dalle organizzazioni umanitarie e dagli osservatori internazionali di gestire un regime antidemocratico.

Il presidente tunisino è al potere da 23 anni, cosa che lo ha resto un alleato stabile in una regione critica per un’ampia quantità di interessi francesi. Il pugno di ferro di Ben Ali, inoltre, ha contribuito a mantenere alla larga gli estremisti islamici in Tunisia a differenza dell’Algeria, del Marocco e della regione del Sahel. «È un dato di fatto: uno dei vantaggi della dittatura di Ben Ali è stato quello di apportare una stretta costante contro i jihadisti» spiega un ufficiale francese, che ricorda come gli estremisti abbiano cercato più volte – senza successo – di costruire reti e campi di addestramento in Tunisia e lungo i confini del paese.

foto: LIONEL BONAVENTURE/AFP/Getty Images