I biglietti del cinema costeranno di più o no?

La questione è complicata, e sembra c'entrino anche le voci di oggi sulle possibili dimissioni di Bondi

arrives at the opening ceremony and 'Burn After Reading' Premiere during the 65th Venice Film Festival at Sala Grande on August 27, 2008 in Venice, Italy.
arrives at the opening ceremony and 'Burn After Reading' Premiere during the 65th Venice Film Festival at Sala Grande on August 27, 2008 in Venice, Italy.

Mercoledì scorso, nel descrivere i punti fondamentali del cosiddetto decreto Milleproroghe approvato dal Consiglio dei ministri, tutti i giornali italiani – compreso il Post – hanno incluso nei loro articoli l’aumento di un euro del biglietto per il cinema. Tale aumento è stato però smentito categoricamente qualche ora dopo dal ministro dell’economia Giulio Tremonti e poi, poco dopo, da Sandro Bondi, ministro per i beni culturali, che ha parlato di notizie “fuorvianti” e “prive di fondamento”.

Si potrebbe pensare a una svista della stampa – a una svista collettiva, diciamo. Difficilmente però la svista di un giornalista si propaga simultaneamente in una tale quantità di testate. Ed è altrettanto singolare che un giornalista si sia inventato di sana pianta addirittura un virgolettato, tratto dal decreto in questione e riportato il 22 dicembre da decine di testate:

Per il triennio 2011-2013 è istituito, per l’accesso a pagamento nelle sale cinematografiche o in altri luoghi per assistere a spettacoli cinematografici, un contributo speciale a carico dello spettatore pari a un euro, da versare all’entrata del bilancio dello Stato.

In realtà la porzione di testo in questione faceva parte della bozza del decreto Milleproroghe discussa nel Consiglio dei ministri ed è stata stralciata prima della sua approvazione. Da qui l’immediata smentita dei ministri Tremonti e Bondi. Il giorno dopo sul Riformista Michele Anselmi cercava di capire qualcosa in più del comportamento del governo: come quella norma era arrivata nella bozza finale del decreto e perché era stata eliminata all’ultimo momento. Anselmi scrive che “tutti negano, ma l’accordo c’era, eccome, e per nulla dei peggiori”.

Del provvedimento, già stampato, si sarebbe dovuto discutere in Consiglio dei ministri se gli esercenti cinematografici, in particolare i grandi circuiti The Space e Uci, spalleggiati dalle case hollywoodiane (Fox, Universal, Warner Bros, Sony, Disney), non avessero puntato i piedi all’ultimo momento, martedì sera, minacciando «ritorsioni e turbolenze», addirittura di smontare i film italiani in sala.

Nelle intenzioni del governo, il contributo straordinario di un euro doveva servire a reperire risorse da destinare al settore cinematografico: 90 milioni l’anno per finanziare tax-credit e tax-shelter, cioè le misure di agevolazione fiscale, e 30 milioni all’anno per la parte del Fondo unico per lo spettacolo riservata al cinema d’autore.

Sembrava fatta. Per l’Anca, la Confindustria del cinema, c’erano i sì di Paolo Ferrari, Giampaolo Letta e Riccardo Tozzi. Per l’Agis-Anec quelli di Paolo Protti, Carlo Bernaschi ed Enrico Di Mambro. Anche gli autori, attraverso Stefano Rulli, s’erano detti d’accordo, una volta tanto, con il governo, rappresentato dal capo di gabinetto di Bondi, Salvo Nastasi. Invece, in extremis, è arrivato il ripensamento degli esercenti, spaventati all’idea di passare per quelli che aumentano il prezzo del biglietto alla vigilia di Natale.

Lo stesso Giampaolo Letta conferma questa versione. «Da quel che so anche gli esercenti erano d’accordo, salvo poi rimangiarsi tutto all’ultimo momento».

Il secondo capitolo della storia è sui giornali di oggi, negli articoli di retroscena politico. Articoli che vanno sempre presi con le molle, infarciti come sono di virgolettati e ricostruzioni nel migliore dei casi poco precise, nel peggiore del tutto inventate. Ma che in questa occasione sembrano raccontare qualcosa interessante. Gli articoli, infatti, raccontano del crescente malessere del ministro Bondi, che sarebbe pronto a dimettersi dall’incarico di ministro. La fonte sarebbe l’entourage dello stesso Bondi: sarebbe stato lui stesso, secondo Repubblica, a “lasciare trapelare” l’intenzione di dimettersi. Tra le ragioni di questo malessere ci sarebbe proprio lo sgarbo subìto dal ministro Tremonti.

A indurre Bondi a ventilare il gesto più plateale, in ultimo, lo stralcio del Fondo unico per lo spettacolo dal decreto “Milleproroghe” approvato nei giorni scorsi. Tante promesse di reintegro per riportare il Fus a 398 milioni di euro e infine l’ennesimo stop dall’Economia: il budget resta a quota 258 milioni. Registi e attori ancora una volta sulle barricate a chiedere le dimissioni del responsabile della Cultura e lui costretto sulla difensiva: “Eppure mi sono battuto”. In privato la decisione, già comunicata, sembra, al presidente del Consiglio: “Ora basta”.

Il tutto è confermato dal Corriere della Sera. Il ministro Bondi non ha smentito queste ricostruzioni, così come non aveva smentito il Giornale, che giovedì scorso aveva riportato le stesse voci. Considerato che Bondi scrive lettere e smentite ai quotidiani un giorno sì e l’altro no, si tratta di un ulteriore indizio. Ovviamente l’eventuale decisione di dimettersi sarebbe accelerata dall’incombente mozione di sfiducia presentata alla Camera nei confronti del ministro Bondi: così come avvenuto in passato con Scajola e Cosentino, se il governo dovesse ritenere di non poter contare sulla maggioranza dei voti alla Camera, Bondi si dimetterebbe prima di arrivare al voto in aula.

foto: Dan Kitwood/Getty Images