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  • Domenica 19 dicembre 2010

In Darfur non è mai finita

Dodicimila persone stanno scappando verso nord in seguito agli scontri tra esercito sudanese e ribelli

di Elena Favilli

Sudanese children are pictured at the Kalma camp for the internally displaced, home to 80,000 people, on the outskirts of Nyala, the capital of South Darfur state, on November 29, 2010. AFP PHOTO/ASHRAF SHAZLY (Photo credit should read ASHRAF SHAZLY/AFP/Getty Images)
Sudanese children are pictured at the Kalma camp for the internally displaced, home to 80,000 people, on the outskirts of Nyala, the capital of South Darfur state, on November 29, 2010. AFP PHOTO/ASHRAF SHAZLY (Photo credit should read ASHRAF SHAZLY/AFP/Getty Images)

Dodicimila persone stanno scappando dal sud del Darfur in seguito agli scontri dell’ultimo mese tra l’esercito sudanese e i ribelli del Movimento di Liberazione del Sudan. Le forze dell’ONU – in missione di pace dal 2006 nel Darfur – hanno confermato che l’esercito ha attaccato i ribelli fedeli a Minni Minnawi la settimana scorsa e che gli scontri sono continuati fino a venerdì nel villaggio di Khor Abeche.

Minnawi era stato l’unico leader di un gruppo ribelle ad avere firmato un accordo di pace con il governo nel 2006. Ma all’inizio di dicembre Karthoum lo aveva accusato di avere violato i patti e lo aveva dichiarato ufficialmente un «obiettivo militare». La settimana scorsa Minnawi aveva a sua volta accusato il governo di tradimento e si era dichiarato «pronto a combattere».

Il conflitto nella regione del Darfur esplose per la prima volta nel 2003, quando alcuni gruppi ribelli presero le armi contro il governo centrale di Karthoum chiedendo più autonomia. Da allora, secondo le stime ufficiali, circa 400.000 persone sono state uccise e 2,7 milioni di persone hanno abbandonato le loro case e si sono rifugiate in Ciad, dando origine a una delle più gravi crisi umanitarie della storia dei paesi africani. Lo scorso luglio il presidente del Sudan, Omar Hassan al-Bashir, è stato incriminato dalla Corte Penale Internazionale con l’accusa di genocidio nel Darfur.

Il Sudan è uno dei paesi più devastati dalle guerre civili. Alle vittime del conflitto in Darfur si sommano quelle delle guerre tra nord e sud del paese: dal 1983 al 2005, più di due milioni di persone morirono e quattro milioni furono costrette a lasciare le loro case. Il nove gennaio si voterà un referendum per decidere della secessione: se le elezioni si svolgeranno regolarmente, è praticamente certo che il sud voterà in blocco per l’indipendenza.

Oggi il presidente al-Bashir ha annunciato che se ci sarà la secessione, il nord del Sudan adotterà una costituzione basata sulla legge islamica: «Se ci sarà la secessione cambieremo la costituzione e allora non ci sarà più tempo per parlare di diversità di culture e di etnie», ha detto ai suoi sostenitori nella città di Gedaref. «La sharia (la legge islamica, ndr) e l’Islam saranno la fonte principale della costituzione, l’Islam sarà la religione ufficiale e l’arabo la lingua ufficiale». Poi ha difeso il recente video della fustigazione pubblica di una donna, che aveva scatenato la protesta e il conseguente arresto di cinquantadue donne a Karthoum. «Se viene punita in accordo alla sharia non c’è bisogno di condurre nessuna inchiesta», ha detto «perché ci dovremmo vergognare? Questa è la sharia».

(foto ASHRAF SHAZLY/AFP/Getty Images)